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Avvenire - L'Osservatore Romano - Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
03.05.2019 Yom haShoah: il ricordo in Israele, il caso di Eva Heyman su Instagram, la disinformazione del Fatto Quotidiano
Con Daniela Ranieri che riprende la sciagurata ipotesi di Hannah Arendt sulla 'banalità del male'

Testata:Avvenire - L'Osservatore Romano - Il Fatto Quotidiano
Autore: Daniela Ranieri
Titolo: «Israele, la giornata per il ricordo di sei milioni di ebrei uccisi - Eva Heyman la Shoah ai tempi di Instagram - Shoah, la banalità di Instagram»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 03/05/2019, a pag. 21, la breve "Israele, la giornata per il ricordo di sei milioni di ebrei uccisi; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 3, la breve "Eva Heyman la Shoah ai tempi di Instagram"; dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 1-15, il commento di Daniela Ranieri da titolo "Shoah, la banalità di Instagram", preceduto dal nostro commento.

Segnaliamo la correttezza dei due quotidiani cattolici

Ecco gli articoli:

AVVENIRE: "Israele, la giornata per il ricordo di sei milioni di ebrei uccisi"

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Suonano le sirene, Israele si ferma per Yom haShoah

Alle dieci, per due minuti il suono delle sirene: in piedi, in silenzio per le vittime della Shoah Ieri alle 10 in punto Israele si è fermata per commemorare i 6 milioni di ebrei uccisi nella Shoah. Le sirene sono risuonate per due minuti e gli israeliani, ovunque si trovassero - nelle scuole, negli uffici, nei negozi, nelle basi militari, per strada, in spiaggia - si sono fermati in piedi in silenzio. «È paradossale: l'ammirazione per Israele va avanti con l'aumento dell'antisemitismo», ha detto il premier Benjamin Netanyahu durante la cerimonia a Gerusalemme con il presidente Reuven Rivlin.

L'OSSERVATORE ROMANO: "Eva Heyman la Shoah ai tempi di Instagram"

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Eva Heyman

Cosa sarebbe successo se ai tempi dell'Olocausto ci fosse stato Instagram, se la Shoah fosse stata "vissuta", attimo per attimo, in ogni parte del mondo? L'account "Eva's stories" — che nasce da un progetto innovativo creato da un miliardario israeliano, Mati Kochavi, che vive negli Stati Uniti — prova a rispondere a questa domanda, raccontando la storia di una ragazzina ebrea Eva Heyman, realmente esistita, morta a 13 anni in un campo di concentramento nazista ad Auschwitz nell'ottobre del 1944. Eva, la Anna Frank ungherese, che sognava di diventare una fotoreporter, consegna ai posteri, nelle pagine del suo denso e toccante diario, la tragedia della Shoah. Da quelle pagine ha tratto ispirazione Mati Kochavi, che insieme alla figlia ha concepito l'idea, trasformando quelle parole in storie su Instagram. Il progetto, che sta facendo discutere, ha ricevuto il plauso anche del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale in un video postato lunedì sui social network ha detto che sta seguendo con interesse lo sviluppo della pagina Instagram, concepita per comunicare ai giovani cosa è stata la Shoah mediante un approccio innovativo. Netanyahu ritiene inoltre utile l'iniziativa in quanto serve «per mostrare al mondo e ricordare a noi stessi cosa abbiamo perso nell'Olocausto e cosa abbiamo ottenuto creando lo stato d'Israele». I post sulla pagina Instagram "Eva's Story" — equivalenti a un film di 50 minuti — sono stati resi disponibili dal 1° maggio, vigilia della giornata dedicata in Israele alla memoria delle vittime Shoah. Il museo dell'Olocausto Yad Vashem — che nel frattempo in occasione di Yom Ha-Shoah ha reso noto che sarà deposta la prima pietra di un vasto «Campus della memoria», che rappresenta il culmine un'operazione avviata nel 2011, chiamata «Raccogliendo i frammenti» — non ha commentato direttamente ma ha fatto sapere che l'uso dei social media per commemorare le vittime è «legittimo». Il Museo ha raccolto 265 mila oggetti personali appartenuti a ebrei morti nella Shoah o ai loro congiunti, tra cui fotografie, testimonianze, opere d'arte. L'obiettivo è dare voce alle vittime e ai superstiti perché se ne preservi la memoria, proprio nel momento in cui il rapporto annuale sull'antisemitismo, pubblicato ieri dal centro Kantor dell'Università di Tel Aviv, alla vigilia appunto di Yom Ha-Shoah, evidenzia un aumento della violenza antisemita e del senso di insicurezza tra gli ebrei in molti paesi. Nel 2018 nel mondo sono stati uccisi più ebrei che in ogni altro anno nei passati decenni. Il rapporto — redatto insieme all'European Jewish Congress — mostra una crescita del numero di morti e «incidenti» antisemiti definiti come «violenti o gravi»: 387 casi nel 2018 con una crescita del 13 per cento rispetto agli anni passati. Il paese con il maggior numero di incidenti antisemiti sono gli Stati Uniti, che conta la popolazione ebraica più numerosa fuori da Israele, ma la crescita si registra anche in Europa occidentale, in Germania, con un aumento del 70 per cento.

IL FATTO QUOTIDIANO - Daniela Ranieri: "Shoah, la banalità di Instagram"

Daniela Ranieri strumentalizza il ricordo della Shoah per attaccare il premier israeliano Benjamin Netanyahu, paragonato nell'articolo a un "Papa". Come se non bastasse, il commento è tutto imperniato sul concetto di "banalità del male", diffuso dal libro omonimo di Hannah Arendt. Questo volume è stato di aiuto a chi ha cercato e ancora cerca di negare o ridurre la portata della Shoah, e ha dunque provocato danni incalcolabili. Arendt insiste da una parte sulla collaborazione dei consigli ebraici in Europa orientale, malintendendone la possibilità di agire e sminuendo la drammaticità delle condizioni in cui si muovevano; dall'altra, descrivendo il male come "banale", lo ha tirato fuori dalla storia e relegato in una dimensione teologica. Il risultato è stato sminuire le responsabilità di chi ha compiuto la Shoah.

Ecco il pezzo:

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Hannah Arendt

Leggiamo sui siti di autorevoli testate (Corriere) che è appena partito un "progetto innovativo" consistente nel "raccontare lo sterminio nazista su Instagram trasformando in post e filmati il contenuto dei diari di una Benne morta ad Auschwitz"; cosa che ha avuto pure "il plauso del premier israeliano" Benjamin Netanyahu, che è come dire il sigillo papale. Ce ne sarebbe abbastanza per metterci in guardia: un miliardario ha un'idea per migliorare il mondo; i media globali chiamano questa idea " progetto" (le cose s i fanno o non si fanno; quando sono progetti, a meno che non si tratti di ospedali in costruzione, di solito sono fregature politiche o start-up schiavistiche o installazioni di arte contemporanea o tutt'e tre le cose insieme). Il miliardario distribuisce l'idea a costo zero su una piattaforma di proprietà di altri miliardari; i sacerdoti del politicamente corretto plaudono alla trovata spremendosi dagli occhi la lacrimuccia anti-antisemita tenuta in serbo per casi simili. Sul profilo Instagram di Eva.stories ecco l'idea del miliardario, che si chiama Mati Kochavi, è israeliano, vive negli Stati Uniti ed è Ceo di numerose società di cybersicurezza con sede in Svizzera per pagare meno tasse. "Cosa sarebbe successo se una ragazza durante l'Olocausto avesse avuto Instagram?", dice la schermata iniziale del video che lanciala serie basata sui diari di Eva Heyman, l3en ne ungherese morta a Auschwitz nel `44. Una vocina fatata dice: "Ciao, sono Eva, benvenuti nella mia pagina. Seguitemi".È il primo passo con cui una vittima del nazismo viene resa simpatica (si chiama nice touch in pubblicità), attualizzata, formattata secondo i codici delle sue coetanee di oggi con molti follower. Quindi una Eva nativa digitale acconciata e vestita secondo lo stile degli anni '40 si fa selfie mentre sorride, balla, spegne candeline, scherza col nonno; poi piange, viene insultata per strada in quanto ebrea, si selfa mentre passano i soldati tedeschi, subisce la retata delle SS, viene deportata. Tutto ciò che il "progetto"richiede è la sospensione dell'incredulità: ci fossero stati lnternet e i telefonini sotto il nazismo, Anna Frank avrebbe scritto tweet dalla mansarda, e di Eva avremmo storie di Instagram. Che male c'è a piegare la Storia a questa fantasiosa torsione? Direbbe Sciascia: è il contesto a fare le cose. L'Instagram di Eva vende (anche se sembra gratis) la tragedia di una deportata a Auschwitz mettendola in scena nella forma accattivante del prodotto digitale. Non ci chiede nulla, se non un like: il massimo della deresponsabilizzazione ci viene donata insieme all'infrazione del tabù dentro un'estetica da serie Tv. È ovvio che per giustificare l'alta futilità didattica dell'operazione si ricorra a ogni trucco e funambolismo verbale, si chiami in causa il valore della memoria e la necessità di insegnare la Storia ai giovani con gli occhi sempre fissi sugli smartphone, dunque impossibilitati (da chi?) ad accedere alle fonti ufficiali sull'Olocausto. I quali giovani, si sa, dedicheranno alla storia di Eva la frazione di secondo e di mente consentita dalla modalità compulsiva con cui tutti scorriamo lo schermo per visualizzare i profili di influencer, calciatori, spettri vari delle mille incarnazioni di Sua Santità la Merce. Il capitalismo funziona cosi: desacralizza ciò che è sacro. La pseudo-partecipazione emotiva richiesta dal progetto Eva si basa sull'assunto che la scelta sia tra negare l'Olocausto, come ancor'oggi fanno criminali % esponenti politici, e seguire acriticamente, o peggio col sadico piacere dello spettatore che assiste al naufragio, la serie di Auschwitz su Instagram; come se non esistessero più, o non avessero più alcuna efficacia persuasiva, la scuola, i libri degli storici, le testimonianze dei sopravvissuti, le fotografie e i filmati veri del momento in cui l'umanità ha distrutto sé stessa. Forse è cosi, e se è così il miliardario ci presenta non la tragedia di ieri, ma quella di oggi.

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