Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/05/2019, a pag. 13 con il titolo "'Ingresso vietato a ebrei e gay': l'artista scatena la polemica", la cronaca di Mauro Zucchelli.
L'idea dell'artista Ruth Beraha è ottima. Ma in Italia manca ancora il senso dello humour... speriamo che chi la leggerà ne capisca il vero significato
Ecco l'articolo:
Mauro Zucchelli
“Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali”. Così sulla targa in ottone che l’artista Ruth Beraha ha affisso all’esterno del Museo della Città, nel cuore di Livorno: è uno schiaffo contro il riaffiorare delle discriminazioni, una provocazione artistica. Ma, equivocandola per un cartello vero o comunque contestando l’arte contemporanea che si spinge fino a questi limiti, sono rimbalzate sui social reazioni indignate e si sono moltiplicati gli scatti degli smartphone.
A poche ore dalla festa del primo compleanno dell’istituzione culturale livornese, a colpi di spray nero viene coperta la targa. Da chi? Uno studente livornese - si fa vivo quasi per rivendicare il gesto.
A pochi passi di distanza, insieme con l’autrice dell’installazione, è presente la direttrice dei musei civici labronici, Paola Tognon. È lei a raccogliere la sfida della contro-provocazione del giovane: avverte che l’indignazione è paradossalmente la stessa che ha animato Ruth Beraha, artista ebrea e omosessuale, che ha intitolato l’opera “Io non posso entrare”. La curatrice lo invita a spiegare il perché del suo gesto.
Il ragazzo non resta indifferente a quel che dicono l’artista e la curatrice ma dice fermamente: «Per quanto si tratti di provocazioni artistiche, così si sdogana una deriva pericolosa e, siccome non tutti hanno le chiavi per decifrare i codici dell’arte contemporanea, in questo modo si presta troppo il fianco al fraintendimento». Come dire: non c’è scritto da nessuna parte che è un’opera d’arte invece che un cartello vero para-fascista, perciò si finisce per far credere alla gente che discriminare ebrei e gay sia socialmente accettabile al punto che una istituzione pubblica lo scrive sul muro di un museo.
«Ma – ribattono artista e curatrice – è stata usata vernice nera, il colore è quello che copre tutto e per impedire la discriminazione finisce per censurare: e non un’opinione discriminatoria bensì un’operazione artistica volutamente disturbante che punta ad alzare il velo di quel che siamo nel profondo».
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