Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/04/2019, a pag.31, con il titolo "Razzismo e populismo proliferano nei paesi dei 'senza memoria'" la recensione di Mirella Serri al libro " I senza memoria. Storia di una famiglia europea" di Geraldine Schwarz
Nella sua per altro interessante analisi, Mirella Serri - come gran parte della storiografia italiana- evita con cura di raccontare quel che avvenne in Italia quando nel primo governo repubblicano Palmiro Togliatti venne nominato Ministro della Giustiza. Fu grazie alla amnistia da lui voluta per tutti coloro che avevano avuto responbailità nel regime fascista, che il nostro paese rimase "senza memoria". Fu Togliatti e con lui il PCI, a essere il responsabile del mancato processo al fascismo. Fu la tessera del PCI che ripulì i crimini commessi durante il ventennio. Fu l'inizio dal catto-comunismo, divenuto poi il maggior ostacolo che impedì all'Italia di diventare un paese laico. Dirlo e scriverlo è un tabù che continua ancora oggi.
Mirella Serri
Il colpo di spugna sui crimini fascisti
"Per la patria pronti!". Oggi in Croazia atleti, calciatori, tifosi e gruppi di intellettuali vorrebbero che venisse adottato come saluto ufficiale dell'esercito questo slogan degli ustascia che, durante la Seconda guerra mondiale, si dedicarono allo sterminio dei serbi, degli ebrei e dei rom. Un modo per sottolineare il legame tra l'attuale governo e il nazionalismo fascista. In Slovacchia il leader del Partito Popolare Slovacchia Nostra, Marian Kotleba, si fa chiamare «Vodca» (Duce) e si esprime con toni molto ostili nei confronti dell'Unione Europea. In Ungheria Viktor Orbán, esponente di spicco dei sovranisti del Vecchio Continente, ha definito «incomparabile statista» il persecutore degli ebrei Miklós Horthy, elogia spesso Albert Wass, scrittore antisemita condannato come criminale di guerra, e l'artista Jozsef Nyiró gran estimatore di Joseph Göbbels.
In Italia gli adepti di Casa Pound non sono da meno dei colleghi europei in quanto a rievocazione positiva dei trascorsi fascisti: amano lo scontro fisico, si esercitano nel saluto romano e inneggiano ai gagliardetti. Sembra così ritagliato proprio su questi nostri recenti giorni il saggio di Geraldine Schwarz "I senza memoria. Storia di una famiglia europea" (in uscita la prossima settimana per Einaudi, pp. 333, € 21), dedicato al ritorno del passato in Europa: per il 25 aprile, festa della Liberazione, i neofascisti hanno esposto striscioni con scritto «Onore a Benito Mussolini» e hanno animato manifestazioni con il braccio teso, in un revival che da anni non si vedeva tanto diffuso e appassionato. Nel suo dotto lavoro, che si è conquistato il riconoscimento per il «Libro europeo«, l'autrice espone la tesi che sovranismo, razzismo e populismo proliferano nelle nazioni più «smemorate», in quei Paesi che alla fine del secondo conflitto mondiale non si sono impegnati in un serio ripensamento della loro storia.
In questa mappa del vuoto mentale e di memoria, che parte dal 1938 e arriva ai nostri giorni, all'Italia, per la Schwarz, tocca in senso letterale la maglia nera. Nel dopoguerra nessun governo della Penisola si è assunto l'onere di un mea culpa per la violenza praticata contro gli slavi nei Balcani («Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica dello zuccherino ma del bastone», sentenziava Mussolini), né ha avuto l'accortezza di imporre nelle scuole l'insegnamento delle stragi compiute dagli italiani in Grecia e soprattutto in Africa (alla Libia sono stati versati risarcimenti ma non all'Etiopia).
Da noi non si è avviato alcun processo di Norimberga, nemmeno per l'applicazione delle leggi razziali, realizzata anche con il contributo di solerti funzionari italiani durante l'occupazione tedesca. Nell'Europa dei «senza memoria» l'Italia è comunque in buona compagnia: in Francia Germania, Romania, Paesi baltici hanno invece saputo affrontare le loro responsabilità il collaborazionismo è stato cancellato (persino il presidente François Mitterrand era stato un funzionario del governo di Vichy) e solo all'inizio degli anni Ottanta s'iniziò il primo processo per crimini contro l'umanità. Ma aveva fatto in tempo a rinascere circa dieci anni prima la destra razzista e antidemocratica di Jean-Marie Le Pen che ha poi passato il testimone alla figlia Marine.
Tra le nazioni colpite da dimenticanza è anche l'Austria, che non ha fatto i conti con l'apporto dato all'Olocausto dopo l'annessione al Reich: Jörg Haider, capo del partito conservatore (scomparso nel 2008), e il suo successore Heinz-Christian Strache hanno ottenuto grandi consensi proprio elogiando il Terzo Reich.
La Polonia non ha praticato alcuno scavo sulle nefandezze degli anni Quaranta compiute in collaborazione con i nazisti: a Varsavia si svolge ogni anno la più imponente «marcia dell'indipendenza» d'Europa al grido di «Orgoglio nazionale» e «Polonia bianca».
Ma è tutta così nera la mappa del Vecchio Continente? In Germania, alle prime elezioni democratiche, esattamente settanta anni fa, Konrad Adenauer smantellò il percorso di rieducazione del popolo tedesco avviato dagli Alleati. Ma per fortuna, osserva la saggista, nel 1968 gli studenti misero sotto accusa gli ex filo-hitleriani che erano al potere come, per esempio, il cancelliere Kurt Kiesinger. Si avviò lo studio della Shoah nelle scuole e furono promulgate leggi per la messa al bando delle organizzazioni politiche antidemocratiche. Queste misure, sostiene la Schwarz, sarebbero un efficace baluardo contro i proclami della destra estrema, anche se la sua tesi è parzialmente contraddetta dai recenti successi di Alternative für Deutschland, partito euroscettico, sovranista e razzista.
I Paesi baltici, dopo aver trascorso un anno sotto il giogo dei sovietici, nel giugno del 1941 accolsero i soldati tedeschi come liberatori e li affiancarono nella persecuzione antiebraica. Negli ultimi anni, obbedendo ai richiami dell'Unione Europea, hanno affrontato le proprie responsabilità.
La Lituania si è scusata con la comunità ebraica e ha promulgato una serie di leggi sulla restituzione dei beni, mentre film e romanzi hanno risvegliato l'interesse della popolazione sulla Shoah. La Romania, che aveva vissuto gli annidi guerra sotto il dittatore Ion Antonescu, ha rinominato le vie a lui intitolate, ne ha rimosso le statue, ha riconosciuto la propria collaborazione nello sterminio avviando con i giovani la rivisitazione dei crimini del passato.
Il culto della memoria, insomma, come dimostra la lunga carrellata storica della Schwarz, è oggi il miglior scudo per le nostre democrazie. Bisogna dunque potenziare questo serbatoio di valori inestimabili e il legame con l'Unione Europea. Al Vecchio Continente va il merito di aver saputo sconfiggere il nazifascismo e di aver contribuito al mantenimento della pace per oltre 70 anni.
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