Il New York Times, i palestinesi e la verità storica
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Anna Della Vida)
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Il New York Times fa parte del cosiddetto "Mainstream Media" che potrebbe essere tradotto come ‘media di riferimento’. Per i democratici americani e per la stampa occidentale vicina alla sinistra è il giornale più citato. Non è stato premiato con più di 100 premi Pulitzer sin dal suo inizio nel 1851? Domenica 21 aprile, mentre la cristianità celebrava la Pasqua e la risurrezione - un periodo in cui l'antisemitismo era diffusissimo in passato - il giornale ha scelto di affrontare il problematico futuro dei palestinesi. Una decisione del tutto legittima. Come il titolo: « Per le famiglie palestinesi, non c'è luce alla fine del tunnel. » È vero che nella situazione attuale ci sono poche ragioni per sperare. Due giornalisti esperti hanno scritto un articolo. Il primo, David M. Halbfinger, è il capo dell'ufficio del NYT a Gerusalemme, dove risiede con moglie e tre figli; la seconda, Miriam Berger, giornalista indipendente con una laurea a Oxford, parla arabo ed ebraico e ha scritto per riviste prestigiose. Ci si potrebbe quindi aspettare una presentazione ragionevolmente obiettiva della situazione e delle sue cause. Ahimè. Probabilmente non era il loro obiettivo. Vediamo come iniziano : "I palestinesi volevano sbarazzarsi del dominio israeliano dal momento che la West Bank è stata occupata nella guerra arabo-israeliana del 1967. Per oltre un quarto di secolo hanno aspettato che il processo di pace guidato dagli Stati Uniti conferisse loro uno Stato."
Il lettore poco informato non si chiederà perché questo Stato, i palestinesi non l’ hanno avuto prima del 1967. Probabilmente ignora che dal 1948 alla guerra del 1967, la Cisgiordania e Gerusalemme Est era occupata dalla Transgiordania, per cui i palestinesi avrebbero quindi potuto creare il loro Stato, ma la Transgiordania preferì semplicemente annettere i loro territori prendendo il nome di Giordania. Per inciso, quando l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina fu fondata al Cairo nel 1964, non fu per liberare la Cisgiordania e Gerusalemme Est, che allora erano parte della Giordania, o della Striscia di Gaza, occupata dal Egitto, ma solo per "liberare" lo stato ebraico nato nel 1948. Una liberazione sinonimo di distruzione. I palestinesi, scrivono di nuovo Halbfinger e Berger, aspettano invano che il processo di pace dia loro uno Stato. Di chi è la colpa? Di Israele, naturalmente. Avremmo voluto magari sapere perché i molti piani presentati da Israele sono stati respinti dai leader estremisti palestinesi che non hanno mai fatto alcuna proposta e per di più in ogni occasione che non accetteranno mai di riconoscere che il loro vicino è uno stato ebraico. Segnaliamo ancora una volta come vengono presentati se non giustificati gli attacchi con i coltelli perpetrati dai giovani palestinesi contro civili israeliani. Un notabile palestinese, già consigliere del primo ministro, racconta di essersi impegnato in uno studio approfondito sulle cause della grande ondata di attacchi degli anni 2015 e 2016. La sua conclusione? "Molti di loro sentivano che nessuno stava proteggendo la loro dignità. " Frase curiosa. Come può un passante incontrato casualmente e aggredito a coltellate proteggere o ripristinare la dignità di un adolescente? E chi ha fallito per davvero nel suo dovere di proteggere la dignità dei giovani se non i leader palestinesi stessi?
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".