Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/04/2019 a pag.5 con il titolo "'Pronti a partire in centomila' il rischio esodo dal fronte libico" l'analisi di Paolo Mastrolilli
Paolo Mastrolilli
Arriva a circa 100mila, il numero complessivo dei migranti posizionati lungo tutta la costa libica, che sarebbero pronti ad imbarcarsi per l’Italia appena dovessero ricevere il segnale di farlo. Se l’offensiva lanciata dal generale Haftar contro Tripoli si trasformasse in una guerra riconosciuta ufficialmente come tale dall’Onu, lo status legale di queste persone cambierebbe, e per il governo italiano diventerebbe impossibile rifiutare di aiutarle. Uno scenario molto preoccupante per l’esecutivo gialloverde, in particolare perché questo esodo potrebbe corrispondere proprio con la fase finale della campagna elettorale per il voto europeo di fine maggio. In questa luce, acquista ancora più importanza la seconda telefonata avvenuta ieri tra il presidente americano Trump e il premier Conte:«Ho parlato con il premier italiano riguardo all’immigrazione, agli scambi commerciali, le tasse e le economie dei nostri rispettivi paesi» ha twittato The Donald. Durante un’intervista con il Corriere della Sera, il premier Sarraj ha detto che circa 800.000 persone potrebbero invadere le nostre coste, tra cui anche criminali e jihadisti. Forse il suo obiettivo era spaventare, per attirare l’attenzione sulla crisi e ricevere aiuto, ma i rapporti di intelligence parlerebbero di almeno 6.000 profughi pronti a partire. La stima complessiva più realistica, effettuata sul campo, dice invece che lungo l’intera costa libica ci sono circa centomila esseri Le stime dei rapporti di Intelligence. Il governo Conte potrebbe affrontare l’emergenza umanitaria prima delle elezioni “Pronti a partire in centomila” Il rischio esodo dal fronte libico umani praticamente con i piedi nell’acqua. Alcuni si qualificano come rifugiati, e altri come migranti, mentre al numero complessivo andrebbero aggiunti anche i cittadini libici, come ha avvertito l’Alto commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi, che nel caso dell’esplosione di una vera guerra civile a tutto campo potrebbero iniziare anche loro a cercare rifugio lontano dal proprio paese. Sul piano legale la materia è regolata dalla Convention Relating to the Status of Refugees del 1951, che garantiva lo status si rifugiati alle persone che hanno fondati motivi di essere perseguitati «a causa della razza, la religione, la nazionalità, l’appartenenza ad un particolare gruppo sociale o opinione politica». Questo testo poi era stato ampliato nel 1967 dal Protocol Relating to the Status of Refugees, mentre nel 1984 la Cartagena Declaration aveva stabilito che lo status andava esteso alle «persone che sono fuggite dal proprio paese perché le loro vite, la sicurezza o la libertà sono state minacciate dalla violenza generalizzata, l’aggressione straniera, i conflitti interni, massicce violazioni dei diritti umani, o altre circostanze che hanno seriamente disturbato l’ordine pubblico». Il testo di Cartagena non è vincolante come gli altri, ma davanti alla fuga di massa da una guerra civile ufficialmente riconosciuta dall’Onu, per Roma diventerebbe giuridicamente molto difficile, e moralmente impossibile, tenere chiusi i porti e negare assistenza. La stima delle centomila persone pronte a partire è riservata, ma realistica, e quindi tiene in grande apprensione il governo. Già durante il precedente esecutivo Renzi, gli sbarchi erano molto diminuiti per gli accordi con le milizie libiche, gli acquisti delle imbarcazioni usate per i trasporti, ma anche perché il ministero dell’Interno si mobilitava ogni mattina prima dell’alba per capire attraverso le previsioni del tempo dove sarebbero avvenute le partenze, e quindi aiutare le autorità locali ad intercettarle. Questa attività è proseguita, e con Salvini si è aggiunta la determinazione a tenere chiusi i porti e osteggiare le attività delle ong. Tutto ciò però difficilmente resisterebbe all’urto di centomila persone in fuga da una vera guerra, con le immagini e le storie delle vite minacciate o perdute. Questo scenario, alla vigilia del voto europeo, accresce ancora di più l’attenzione dell’Italia per quanto sta avvenendo tra Haftar e Sarraj, a cui la settimana scorsa si è aggiunta la telefonata dal presidente Trump al generale, avvenuta due giorni prima di quella col premier Conte. Ieri i due si sono risentiti, per chiarire la strategia e il senso del riconoscimento offerto dal capo della Casa Bianca ad Haftar. Sul piano tattico il generale si è esposto, allungando troppo le retrovie, ma dall’esito della sua sfida dipende ora anche il destino dei migranti con i piedi nell’acqua.
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