Che cosa può fare Israele con Gaza?
Analisi di Antonio Donno
Se Gaza dovesse essere riconquistata da Israele, il problema del pericolo costituito dall’enclave palestinese sarebbe risolto? Sharon sbagliò quando abbandonò la Striscia di Gaza nel 2004? Alcuni sostengono che si trattò di un errore, altri ritengono che la mossa di Sharon ricalcò opportunamente quella di Sadat, il quale volle liberarsi di un fardello ingestibile. Fatto sta, però, che da quando Gaza è nelle mani di Hamas, la deterrenza israeliana messa in atto nei confronti del movimento terroristico ha dato frutti non definitivi. Ora che la “questione palestinese”, intesa come problema della West Bank, è caduta ai margini della più complessa e grave “questione mediorientale”, Gaza è divenuta una problematica centrale per Israele. E questo, anche perché tra l’Olp e Hamas non si è giunti mai ad un accordo sui mezzi e gli obiettivi della lotta contro Israele. Da un certo punto di vista, il mancato accordo tra le due parti terroristiche giova alla causa di Israele, ma, d’altro canto, la marginalizzazione del problema della West Bank e del ruolo dell’Autorità Palestinese sull’area conferisce ad Hamas una centralità che raramente aveva avuto nel passato.
Così, le lunghe dimostrazioni popolari ordinate da Hamas nei mesi scorsi ai confini di Israele, benché improduttive, ed anzi costate molte vittime ai palestinesi, hanno avuto la funzione di riproporre la questione politica generale all’attenzione, quasi sempre faziosa, delle istituzioni internazionali. A questo occorre aggiungere la gravissima situazione economica della Striscia. Hamas continua a spendere tutti i denari provenienti dall’esteri in armi, condannando la sua popolazione ad una vita grama. Ma oggi l’accusa ad Israele di essere il responsabile della povertà della gente di Gaza non incanta più neppure gli abitanti della Striscia e le recenti manifestazioni contro la dirigenza di Hamas – tutte brutalmente represse – lo stanno a dimostrare. Con ogni evidenza, con il progressivo incremento delle difficoltà economiche, è probabile che il sostegno politico che la gente di Gaza ha sempre dato ai suoi leader cominci a vacillare, con esiti che è oggi impossibile prevedere. Insomma, la marginalizzazione di Gaza, in conseguenza degli accordi di pace tra Egitto e Israele del 1979, ha avuto effetti contraddittori sulla politica di Israele verso la Striscia: da una parte, ha esacerbato la questione di Gaza, perché il peso della gestione passò tutta sulle spalle di Israele, con la conseguenza che Israele si trovò con il nemico in casa; dall’altra, Israele si illuse di controllare direttamente il terrorismo di Hamas mettendo piede nel territorio fino a quel momento posseduto dalla formazione terroristica. Quando, poi, si addivenne agli accordi di Oslo del 1993, la questione di Gaza restò insoluta e continuò a rappresentare un peso politico e militare sempre più gravoso per Israele. In sostanza, la questione di Gaza oggi è ancora al centro delle preoccupazioni di Israele. La politica di Netanyahu è consistita nel controllare la situazione, usare la deterrenza ed attendere pazientemente che la situazione interna sfuggisse dalle mani di Hamas. I fatti recenti forse gli stanno dando ragione. Da parte sua, Hamas è in evidente difficoltà, economica e politica. È indubbio che di fronte ad uno Stato come quello israeliano, forte dal punto di vista militare, economico, sociale, politico, una formazione terroristica chiusa in un territorio limitato, senza risorse e con una popolazione in crescita non può avere prospettive di alcun genere, se non la prosecuzione di un’attività terroristica fine a se stessa e con un consenso politico che appare in discesa. D’altro canto, Israele ha una tecnologia così avanzata da consentirgli di controllare ogni tipo di attacco da parte di Hamas e di replicare molto efficacemente. Come ha scritto Seth Frantzman su “The Jerusalem Post” del 31 marzo scorso, “nonostante le denunce dei gruppi per i diritti umani o delle Nazioni Unite – che potrebbero sostenere che Israele ha usato una forza eccessiva, o che il fuoco dei cecchini non dovrebbe essere mai utilizzato contro le rivolte violente – sembra che Gerusalemme stia avanzando con successo sul percorso di questo conflitto”. Del resto, l’attuale centralità della questione iraniana nel cuore del Medio Oriente, se oggi interessa Israele in modo prioritario, nello stesso tempo, pur restando centrale nella politica israeliana, produrrà una progressiva emarginazione della questione di Gaza, come di quella della West Bank, nel contesto della politica internazionale.
Antonio Donno