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La Stampa Rassegna Stampa
17.04.2019 Le luminose carriere pubbliche dei firmatari del Manifesto della razza
Commento di Ariela Piattelli

Testata: La Stampa
Data: 17 aprile 2019
Pagina: 27
Autore: Ariela Piattelli
Titolo: «Antisemiti in carriera»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/04/2019, a pag.27, con il titolo "Antisemiti in carriera", il commento di Ariela Piattelli.

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Ariela Piattelli

Nel fascicolo di Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza poi messo a capo della Corte Costituzionale nell’Italia repubblicana, non c’è alcuna traccia del suo operato durante il fascismo. Tutto si ferma al ’31 per poi riprendere nel ’49. Nell’Archivio Centrale dello Stato c’è però, a fargli da controcanto, un fascicolo di procedimento di epurazione che raccoglie varie denunce, tra cui una richiesta di messa a riposo, visti i trascorsi fascisti di Azzariti, dove una mano ignota appunta «non lo ritengo opportuno». E fu così che il giudice ebbe una luminosa carriera dopo la guerra in un’Italia che aveva in gran parte rimosso operosamente, come nel fascicolo, le colpe e le vergogne del Ventennio.

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Gaetano Azzariti


Su Azzariti, che tentò sempre di minimizzare il suo passato, fino a oggi c’erano tante prove indiziarie, ma mancava la «pistola fumante». La prova regina l’hanno ritrovata i funzionari dell’Archivio centrale dello Stato, ed è il decreto di costituzione del Tribunale della razza (10 settembre 1939) in cui Azzariti viene nominato presidente. Il ritrovamento del documento si affianca alla vasta missione di recupero lanciata dalla Direzione generale Archivi nel 2018, che ha riportato alla luce centinaia di carte inedite del fascismo e della persecuzione antisemita. Oggi il risultato dell’operazione, condotta dai Documents Men delle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche con l’aiuto del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, viene presentato a Roma in una giornata di studi dal titolo «Carte di razza, di governo e di coraggio civile».
«C’è voluto un anno di lavoro, abbiamo rinvenuto documenti e archivi che costituiscono un importante contributo per lo studio della storia nazionale». spiega Micaela Procaccia, sovrintendente dell’Archivio centrale dello Stato. «Il decreto di nomina di Azzariti è stato ritrovato alla Corte dei Conti. Non solo lui, ma tutti i componenti del Tribunale della razza diventarono nell’Italia repubblicana giudici della Corte costituzionale. Questa vicenda ci dice quanta continuità ci sia stata tra fascismo e i primi anni della Repubblica. Nell’Italia repubblicana ci si prese la briga di salvare le anime di queste persone, che avevano contraddetto i principi fondamentali della nostra Costituzione».
Furono molti i personaggi che minimizzarono o giustificarono il loro ruolo nella politica razzista del regime, e che nel dopoguerra continuarono indisturbati, senza essere epurati, la loro attività: i dieci firmatari del Manifesto della razza, medici e antropologi, in gran parte dopo la guerra continuarono le loro carriere, e giustificarono, ognuno a suo modo, di aver firmato perché costretti da Mussolini: «Il punto è studiare e capire quanto aderirono alle posizioni razziste del regime», continua Procaccia. E un importante recupero delle Soprintendenze, che aiuta a comprendere la verità, è quello di cinque archivi dei firmatari: tra questi quello dell’antropologo Lidio Cipriani.
«Nei 46 quaderni di riflessioni “scientifiche” che iniziano nel 1913 emerge che Cipriani era un razzista convinto», spiega Claudia Borgia della Soprintendenza archivistica della Toscana, che sta studiando il caso presso il Museo Nazionale di Antropologia di Firenze dove è conservato l’archivio. «Anche nel testo di una lezione inaugurale dell’anno accademico del ’38 si richiama esplicitamente al razzismo di regime». Di Cipriani, che non subì alcuna epurazione e continuò a fare spedizioni e lavorare come antropologo sino alla morte nel ’62, si è ritrovato il manoscritto di un articolo uscito nell’agosto del ’38 intitolato Il problema semitico: pagine intrise di feroce antisemitismo.
Tra i faldoni oggi allo studio degli storici c’è anche l’archivio di Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all’Interno dal 1933 al 1943 e poi ministro dell’Interno nella Repubblica Sociale Italiana, per la quale emanò l’ordine che disponeva l’internamento degli ebrei in campi di concentramento provinciali: ci sono i carteggi sulle leggi razziali, sulle dure modifiche peggiorative del ’44, una lettera di Pietro Tacchi Venturi, ambasciatore informale del Vaticano presso Mussolini (che dopo la caduta del fascismo suggerì di mantenere in parte le leggi razziali) che si appella al ministero dell’Interno per chiedere che dalla legislazione vengano esentati i matrimoni misti. Ci sono anche gli appunti al duce di Giovanni Preziosi, famigerato capo dell’Ispettorato razza della Repubblica di Salò, che lamenta di non aver ricevuto né saputo nulla degli archivi sequestrati alle comunità ebraiche e ne sottolinea il «valore storico».
Ricomporre il ritratto dell’Italia fascista è compito assai arduo per i Documents Men: durante la guerra, nel governo ricostituito da Mussolini a Salò, furono portate le carte dei ministeri, ma queste subirono varie dispersioni. Tra i documenti, adesso rinvenuti, erano anche 110 fotografie, con relative schede, provenienti dall’Ufficio razza del ministero della Cultura popolare: a essere schedati sono i «tipi della razza italiana» in cui anche gli «ariani» venivano classificati. Le buste ritrovate, che finirono in mano a un antiquario, rintracciate in vendita sul web e protagoniste di varie vicende giudiziarie, inchiodano il regime fascista sul razzismo biologico. «La cosa interessante», osserva Procaccia, «è che il razzismo biologico fascista è a tutto campo, anche per la cosiddetta razza ariana. Questo ritrovamento rafforza l’idea che ci fosse una cultura di razzismo biologico generalizzata, sulla quale le leggi razziali hanno attecchito».
Oltre agli «scheletri nell’armadio» dell’Italia razzista, nel silenzio dell’archivio ci sono gli esempi di resistenza civile. È la storia di Alfonso Gallo, fondatore e direttore dell’Istituto di patologia del libro, che nella Roma occupata diede filo da torcere ai tedeschi. Gallo, che inventò il concetto di restauro del libro, ricevette più visite dalle SS, stupite dal suo eccellente lavoro su codici tedeschi. «Quando un maggiore delle SS si presenta e gli notifica il sequestro di tutti gli strumenti, tenta anche sotto minaccia di evitare la requisizione», spiega Maria Letizia Sebastiani, direttore dell’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, «ma i suoi tentativi disperati si riveleranno vani. I tedeschi volevano distruggere l’impianto dell’Istituto per costituirne uno in Germania: a Gallo proposero anche di dirigerlo, ma lui, con coraggio, rifiutò».

 

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