Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/04/2019, a pag. 4, con il titolo "Le mire di Erdogan su Istanbul destabilizzano l’economia turca", l'analisi di Eugenio Cau.
Eugenio Cau
Recep Tayyip Erdogan
Milano. Berat Albayrak, ministro delle Finanze turco e genero del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha annunciato ieri la più grande iniezione di denaro pubblico alle banche negli ultimi vent’anni. La manovra, decisa assieme alla creazione di fondi speciali per liberare le banche e alcuni settori strategici dell’industria dei titoli tossici che hanno in pancia, è l’elemento principale del nuovo pacchetto di riforme annunciato da Albayrak per risollevare l’affaticata economia turca, che l’anno scorso è andata in recessione per la prima volta in un decennio. Il pacchetto per salvare le banche (di proprietà dello stato) e aumentare la disponibilità di credito varrà 28 miliardi di lire turche (poco meno di 4,4 miliardi di euro) e appesantirà il bilancio pubblico. Il ministro Albayrak fa annunci di eccezionali riforme ormai diverse volte all’anno, e questo è un indice tanto degli insuccessi delle politiche economiche turche quanto della necessità per il governo di rassicurare gli investitori e i mercati, specie in giorni come questi, in cui Erdogan, dopo aver subìto sconfitte pesanti alle elezioni amministrative di due settimane fa, si appresta a fare un passo ulteriore verso la dittatura pur di mantenere il controllo della città di Istanbul. Alle elezioni del 31 marzo il partito del presidente, l’Akp, ha perso tutte le più importanti città del paese (pur rimanendo la prima forza politica), comprese la capitale Ankara e Istanbul. A Istanbul Ekrem Imamoglu, candidato sindaco del partito di opposizione Chp, ha ottenuto un vantaggio di pochi decimali sul suo avversario dell’Akp, l’ex premier Binali Yildirim: lo stacco era di appena 29 mila voti. Immediatamente, l’Akp ha deciso di contestare il voto. Il Consiglio elettorale supremo (Ysk) ha verificato circa il 6 per cento dei voti, quelli più incerti, e il vantaggio di Imamoglu si è ridotto a 14 mila voti, ma è rimasto. In un contesto democratico, Imamoglu sarebbe sindaco di Istanbul. La Turchia di Erdogan, tuttavia, non è più un contesto pienamente democratico, e il presidente non può permettersi di perdere la più importante città della Turchia, non soltanto per ragioni simboliche. L’Akp governa Istanbul dal 1994, quando proprio Erdogan fu eletto sindaco, e in 25 anni la città è diventata il fulcro del potere economico ed elettorale del partito. La megalopoli ha 15 milioni di abitanti, foraggia 82 mila impiegati pubblici e l’amministrazio - ne genera un introito da 4,2 miliardi di dollari all’anno, che servono a finanziare opere pubbliche magniloquenti, come il nuovo aeroporto (i dati sono di Soner Cagaptay, ricercatore del Washington Institute). Istanbul è una macchina elettorale e un centro di potere che l’Akp non può permettersi di perdere. Per questo, il partito ha chiesto il riconteggio completo del voto. Poi, quando il Consiglio elettorale lo ha negato, Erdogan ha deciso di estendere la dimensione del conflitto, e ha denunciato brogli generalizzati durante il voto, citando perfino la “criminalità organizzata”. Il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, gli è subito andato dietro, parlando di “corruzione” e “crimini”. C’è una sola soluzione, hanno sostenuto il governo e l’Akp: bisogna rifare le elezioni. Il partito di Erdogan ha già presentato una richiesta per annullare le elezioni a Istanbul presso il Consiglio elettorale, a cui spetta la decisione finale. Imamoglu non può fare altro che sperare che il Consiglio sia il più equanime possibile. I mercati, ovviamente, sono spaventati dal fatto che una lunga battaglia politica ed elettorale destabilizzi la città più importante della Turchia, che è anche uno dei principali centri finanziari della regione. Per questo Albayrak è stato chiamato a intervenire. Ma come sempre quando si tratta delle mire politiche di Erdogan, non c’è rassicurazione che tenga.
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