Riprendiamo dalla STAMPA - Tuttolibri di oggi, 06/04/2019, a pag.2, con il titolo "Alla famigliola ebrea sterminata il mercante turco rubò l’identità e gli affari" la recensione di Mirella Serri.
Mirella Serri
Il secolo delle identità negate, ovvero il Novecento, raccontato come il susseguirsi di decenni di sottrazioni e di perdite. Il nuovo romanzo della scrittrice, giornalista e autrice di graphic novel Cinzia Leone, Ti rubo la vita, è un’imponente cavalcata nel passato e inizia con un trauma: l’omicidio di un commerciante ebreo, Avrahàm Azoulay, e della sua famiglia, assassinati a Giaffa, durante un pogrom, il 19 aprile 1936, da un gruppo di fondamentalisti arabi.
Cinzia Leone - la copertina del libro (Mondadori ed.)
La famigliola sterminata a bastonate è depredata non solo della vita ma anche della propria storia e del diritto alla memoria. Un ladro s’impadronisce dei documenti di padre, madre e figlia per assumerne l’identità. Ad appropriarsi di carte e passaporti, è il socio dell’ebreo venditore di stoffe, Ibrahim Özal, mercante turco islamico, pronto a spacciarsi per Azoulay per mettere le mani sui suoi quattrini e sui suoi affari.
Filo conduttore del complesso intreccio sono tre protagoniste femminili, Miriam, Giuditta ed Esther. La prima è la moglie del furfante Ibrahim, bancarottiere e traditore, che è stata umiliata dalla trascuratezza del marito ma che, soprattutto, è mortificata dalla truffa ordita dal fedifrago partner. Ha dovuto rinunciare alla sua identità di musulmana ed è stata obbligata, insieme a sua figlia, a fingersi ebrea. Ironia della sorte, proprio questa bambina che ha radici islamiche, divenuta adulta, non essendo a conoscenza dell’inganno ed essendo stata allevata nella fede ebraica, fuggirà lontana dall’algido genitore, scoprirà il sionismo, la fratellanza e la solidarietà del kibbutz convolando a nozze con un compagno agli antipodi dell’immagine paterna.
La seconda figura dominante nell’appassionante excursus di Cinzia Leone, è Giuditta, prole di un altro commerciante di tessuti, l’ebreo e anarchico italiano Davide Cohen. Il romanzo scorre come un fiume pieno di anse e di deviazioni e gioca sulla duplicazione dei suoi personaggi: Davide è il contraltare del crudele Ibrahim ed è un padre, caldo, affettuoso, un po’ folle e amato dai suoi figli. Gran viaggiatore e giramondo, tiene aggiornato Ibrahim su quello che sta accadendo nel cuore dell’Europa: non più pogrom occasionali e feroci ma un sistematico Olocausto sta investendo il Vecchio Continente. Davide viene inviato al confino dal fascismo e anche Giuditta e suo fratello devono buttare alle ortiche la loro identità: per via delle leggi razziali si mascherano mentre sul Ghetto di Roma piomba la razzia del 16 ottobre 1943.
L’ultima delle figure dominati nel romanzo è Esther che, nata da un matrimonio tra un cristiano e un’ebrea, incontra negli anni Novanta, Ruben, fascinoso avvocato ebreo. In questo racconto niente è come appare e i legami tra i personaggi li rivelerà il colpo di scena finale. Nel romanzo i travestimenti dei protagonisti non sono debitori del novecentesco teatro delle maschere: il vortice che li travolge non è di natura psichica ed esistenziale ma nasce dal tourbillon sanguinario della storia. Le vite investite dalle distruttive forze che hanno devastato il secolo scorso incarnano una metafora: nel Novecento che, con la forza e le armi, ha decimato, in nome del predominio razziale, milioni di persone, le diversità negate e occultate si riaffacciano prepotenti. Religioni, credenze e consuetudini culturali, ancora oggi, nonostante gli sforzi per cancellarle, coesistono confuse, rimescolate ma più vive che mai. E queste splendide pagine ci raccontano che la modernità è un prodotto storico, un mix indistricabile di religioni, d’identità e di culture rispetto al quale muri e separazioni velleitari e arbitrari possono fare assai poco.
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