Algeria, continuano le proteste: 'Basta dittatori!' Cronaca di Francesca Paci
Testata: La Stampa Data: 06 aprile 2019 Pagina: 21 Autore: Francesca Paci Titolo: «'Basta dittatori': non si ferma la protesta degli algerini»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/04/2019, a pag. 21, con il titolo " 'Basta dittatori': non si ferma la protesta degli algerini", la cronaca di Francesca Paci.
Francesca Paci
Abdelaziz Bouteflika
L’ormai ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika è stato messo da parte, si è scusato, ha chiesto perdono, ma non serve: la piazza, dopo 30 anni di silenzio, non è più disposta a tacere accontentandosi di vaghi compromessi in nome della pace sociale. Così ieri, per il settimo venerdì consecutivo, decine di migliaia di giovani e meno giovani hanno manifestato nel centro di Algeri (ma anche a Orano e Constantine) chiedendo «la fine pacifica del regime dittatoriale» e la cancellazione delle «3 B» (alias il potente trio del partito di Bouteflika, Fln: il presidente della Camera alta e formalmente presidente ad interim Abdelakder Bensalah, il capo del Consiglio Costituzionale ed ex ministro dell’interno Tayeb Belaiz e il primo ministro Noureddine Bedoui). Rafforzati da quanto ottenuto finora senza violenza, gli algerini non arretrano, vogliono «il completo superamento della struttura politica» del Paese, vale a dire Bouteflika ma anche tutto «le pouvoir», come viene chiamata la catena di comando.
Il ruolo dell’esercito In meno di 2 mesi il gigante africano, ricchissimo di gas e di petrolio ma anche di un capitale giovanissimo quanto marginalizzato, si è ritrovato sottosopra. Le manifestazioni, iniziate in protesta contro la ricandidatura dell’82enne e gravemente malato Bouteflika per conquistare il quinto mandato, hanno visto gli studenti guadagnare via via il consenso di fette sempre più ampie della società e infine dell’esercito che una settimana fa, per bocca del ministro della Difesa e capo delle forze armate Gaid Salah (un coetaneo del presidente), ha rotto gli indugi schierandosi con il popolo. A poco sono valsi la rimozione del presidente, il rimpasto di governo, la road map offerta per riscrivere la Costituzione e da ultimo ieri il siluramento del capo degli 007 generale Tartag . Gli algerini - che hanno coniato il verbo «vendredir» per indicare «il manifestare, il protestare e lo sfilare ogni venerdì fino alla gioiosa cacciata di un potere corrotto» - sono determinati a compiere la traversata nel deserto, quell’emancipazione politica rinviata finora perché gravata dai fantasmi della guerra civile costata al paese 200 mila morti e la paralisi di una generazione. Gli slogan parlano chiaro, la volontà della piazza è impedire che gli ex-fedelissimi del presidente caduto gestiscano la transizione. «Non perdoneremo», hanno scandito per ore i cortei dispiegati nella capitale, riferendosi alla lettera di scuse inviata alla nazione da Bouteflika. La chiave di volta, concordano gli analisti, è l’esercito. Le potenze regionali, dall’Arabia Saudita all’Egitto (ma anche la Francia) seguono vigili. Nel 2011 la frustrazione popolare, forte sin da allora, rientrò negli argini in extremis per la paura, spontanea o indotta, di un nuovo bagno di sangue stile anni ’90. Ora però tocca ai Millennials, quelli più liberi dal passato ma consapevoli come i genitori.
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