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Il caso Nadia Toffa 02/04/2019

Gentilissima Signora Fait, non condivido la Sua sdegnata requisitoria (‘critica’ non rende l’idea del contenuto e dei toni del Suo commento odierno) contro il tweet di Nadia Toffa. Di certo la brevità di un tweet non consente un’analisi e neppure un riassunto di una vicenda storica (il conflitto arabo israeliano e, prima ancora, la storia plurimillenaria del popolo ebraico in Terra d’Israele e nel mondo) complessa, tuttora in corso e che suscita passioni intense in buona parte della popolazione del pianeta, me inclusa. Di certo la signora Toffa avrebbe fatto bene a scrivere che anche gli ebrei sono ‘lì” (in Terra d’Israele) da tempo e, anzi, da molto prima degli arabi. Tuttavia, a meno che Lei non conosca personalmente Nadia Toffa (di cui non ho trovato su internet alcuna altra menzione né di Israele, né dei palestinesi), mi sembra alquanto azzardato parlare di “falso amore e pietà pelosa” e anche supporre che non sappia nulla della Shoah o non abbia incontrato superstiti. In realtà, la signora Toffa potrebbe aver studiato ed aver reagito, con la mente e con il cuore, con la stessa angoscia e dolore che provo io da più di quarant’anni. Il riferimento al “dolore per l’Olocausto”, accostato alla menzione dei palestinesi, non implica necessariamente che la signora Toffa pensi che la fondazione dello Stato di Israele sia giustificata solo dall’esigenza di dare un rifugio o un risarcimento ai superstiti del genocidio (con annessa idea che i palestinesi siano le innocenti vittime indirette di crimini commessi da altri in Europa): potrebbe riferirsi alla fatica per gli israeliani ebrei di fidarsi dei non ebrei, conoscendo nella stessa carne dei parenti le conseguenze di un errore di valutazione (anche se penso che basterebbero l’ignobile tradimento degli Accordi di Oslo da parte palestinese e le violenze continue che ne sono seguite e perdurano tuttora, sempre da parte palestinese, per giustificare qualunque diffidenza). Soprattutto, non trovo alcuna ragione di scandalo nel ricordare che “i palestinesi” (musulmani e cristiani di lingua araba residenti fra il Mediterraneo ed il Giordano) “erano lì da tempo” sia al momento della fondazione dello Stato di Israele che a quello della ‘prima aliah’ nell’ultimo quarto del XIX secolo. Il che non toglie affatto che “lì”, nel medesimo tempo e da molto prima della conquista araba nel VII secolo d.C., vivessero gli ebrei (come maggioranza o come minoranza secondo le epoche), ma ricorda la necessità di tener conto anche dei palestinesi. Al riguardo, osservo che, se una parte degli arabi residenti nel 1948 nel territorio del Mandato britannico di Palestina era immigrata o discendente di immigrati nel XIX secolo da altre parti del Medio Oriente e del Nord Africa, altri avevano antenati ivi residenti da secoli, magari fin dalla conquista araba, ed altri ancora potevano discendere dai cristiani e dagli stessi ebrei ivi viventi al momento dell’invasione nel 636-638 d.C.: in ogni caso da abbastanza tempo per non aver altra casa e non avere alcun rapporto con lontane ‘radici’ altrove (non basta avere un cognome che ricordi la provenienza di qualche antenato dall’Egitto o da una città oggi in Iraq per essere egiziani o iracheni). Sarebbe di certo interessante (non so se possibile) indagare sulla consistenza numerica di ciascuno dei suddetti gruppi, ma credo che, agli effetti dell’assetto geopolitico e in vista della pace per la quale prego, l’unica cosa che conta e che occorre sia il riconoscimento reciproco, fra israeliani e palestinesi, del diritto di essere e restare “lì”: del diritto di Israele di essere lo Stato nazionale del popolo ebraico nella terra che porta da millenni il suo nome e del diritto dei palestinesi di Giudea-Samaria alias Cisgiordania e di Gaza di vivere dove sono e conseguire una rappresentanza politica conforme alle loro aspirazioni nazionali, attraverso un trattato di pace con Israele e con un impegno effettivo a rispettare i vicini fino al Giorno del Giudizio. La delimitazione dei confini e l’esatta configurazione politica della parte palestinese (Stato palestinese, autonomia sotto sovranità israeliana o giordana-egiziana secondo le zone) le lascio agli interessati e solo per questo mi sono tenuta sulle generali al riguardo (Israele la sua configurazione ce l’ha già, chiara e pregevole). Ai palestinesi raccomanderei di non attendere troppo, perché, quanto più insistono nel terrorismo, tanto più difficile sarà convincere gli israeliani delle possibilità di buon vicinato e della meritevolezza delle aspirazioni nazionali palestinesi. Con i più cordiali saluti ed auguri di shabbat shalom,

Annalisa Ferramosca

Gentile Annalisa,
Apprezzo molto la sincerità e la chiarezza con cui lei espone i fatti, non posso però fare a meno di notare un sapiente tentativo di cambiare le carte in tavola. Vede è quel "ma" che rovina tutto il tweet della signora Toffa. "Capisco profondamente il dolore per l'Olocausto (scritto minuscolo dall'autrice) MA….. ecco quel "ma" significa che , anche se gli ebrei hanno sofferto, i palestinesi stanno anche soffrendo ingiustamente perché "lì" da tempo. Quel MA inquina tutto senza contare che non esiste un nesso, che non sia in totale malafede, tra la Shoah e l'attuale situazione israelo-palestinese. Riguardo alle sue argomentazioni sui palestinesi e la loro comparsa in Israele, lei sfonda una porta aperta. La mia risposta alla Toffa voleva solo mettere in chiaro che gli ebrei sono qui da sempre, gli arabi no. Per quanto mi riguarda ogni arabo che ami Israele e ne sia fedele ha diritto di vivere qui. A me non interessa che alcuni siano qui da 300 anni, altri da 50, gli arabi israeliani hanno gli stessi diritti di qualsiasi cittadino di Israele, cosa che mi trova d'accordo nel modo più assoluto. Potrebbero vivere bene anche gli altri, quelli dell'ANP e quelli di Gaza se non avessero dei capi mafiosi e non avessero scelto il terrorismo. Non nutro il suo stesso ottimismo sul conflitto perché non stiamo parlando di due nazioni in guerra che alla fine raggiungono un accordo. Stiamo parlando di una nazione aggredita da gruppi di terroristi che non ambiscono ad una patria arabo-palestinese ma vogliono annientare quella israeliana per creare poi una grande Umma islamica, dal Tigri al Mare Mediterraneo. Questo era il disegno di Arafat e tale rimane. Se avessero voluto una patria nazionale avrebbero avuto tantissime occasioni per ottenerla, offerta anche su un piatto d'argento dalle Nazioni Unite (1947) e poi varie volte da Israele. Hanno sempre rifiutato e questo dovrebbe rendere i fatti reali molto chiari ed espliciti e dovrebbe impedire alla gente di provare quella da me definita "pietà pelosa". Anzi, aggiungerei anche inutile: se avessero voluto avrebbero potuto avere di tutto e di più, hanno sempre rifiutato ogni offerta, hanno fatto terra bruciata quando Israele regalava loro parti di territorio in una vana speranza di pace, godono di una immeritatissima simpatia da parte di tutto il mondo, ricevono soldi da tutti. La loro risposta a tutto questo è inefficienza, arretratezza e odio. Mi chiedo e le chiedo: ma perché dovrebbero far pena?
Un cordiale shalom
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=70&id=74152


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