Riprendiamo dal MATTINO di oggi, 01/04/2019, a pag. 12, con il titolo "La guerra israelo-palestinese e le responsabilità personali", il commento di Francesco Romanetti.
Einaudi pubblica un libro scritto da Raja Shehadeh e intitolato "Dove sta il limite". Il limite, commentiamo noi, questo libro lo supera ampiamente perché è una summa di disinformazione e ostilità contro Israele. Einaudi non è nuova a pubblicare libri contro Israele, il filone evidentemente continua. Non è meglio la recensione di Francesco Romanetti, totalmente di elogio al volume e indifferente alla sua faziosità e parzialità che condivide ampliandola. La responsabilità è da attribuire anche al nuovo direttore del Mattino, che pubblica l'articolo, Federico Monga. Il quotidiano di Napoli fotocopia del sindaco De Magistris!
Ecco il pezzo:
Federico Monga, direttore
Raja Shehadeh
Era un giovane avvocato molto ingenuo Raja Shehadeh, nato e cresciuto a Ramallah, nella Palestina occupata. Era così tanto ingenuo da credere che bastassero fogli di carta bollata, ricorsi, cause civili, per far valere i diritti del suo popolo. Poi, però, ha dovuto fare i conti con la durezza dei fatti e la crudeltà della storia: gli ammazzano il padre - anche lui avvocato palestinese impegnato perla pace - Cisgiordania e Gaza diventano una prigione, le colonie ebraiche invadono terra araba, l'esercito israeliano impone un'asfissiante occupazione militare. Così, quando scoppia l'Intifada, la rivolta palestinese, l'avvocato Shehadeh non ha dubbi che quella sia la strada da seguire. Lui combatte a modo suo: attraverso i suoi scritti, le sue denunce, la fondazione di Al-Haq, organizzazione per i diritti umani. Eppure, in tutto questo suo percorso, Raja Shehadeh non smette di essere amico di Henry Abramovitch, ebreo canadese trapiantato in Israele, un estroso ragazzo sognatore dalla lunga barba profetica, divenuto poi professore universitario di Psicologia. In Dove sta il limite (Einaudi, pagine 180, euro 17), Raja Shehadeh racconta questa lunga, intensa e tormentata amicizia, che aiuta il lettore non solo a comprendere le tappe del conflitto israelo-palestinese, ma anche le sue dolorose conseguenze sulla vita quotidiana e profonda degli esseri umani. La parola chiave è proprio «limite», che allude sia al confine territoriale (quello che ha ridotto la Palestina a un insieme sparpagliato di enclavi circondate da muri e filo spinato), sia al livello di sopportabilità della repressione e dell'umiliazione di un popolo. Raja ed Henry si conoscono nel 1977, a Tel Aviv, in occasione della visita del presidente egiziano Sadat, che firmerà la storica «pace separata» con Israele. Parlano di libri, filosofia, speranze. Fanno lunghe passeggiate arrampicandosi su colline verdeggianti. All'inizio il giovane palestinese è perfino affascinato dalla società israeliana: ne ammira l'anima sobria, pionieristica, le istituzioni democratiche, la cultura. Ma il risveglio è traumatico, dopo la guerra del 1967 e l'occupazione di Cisgiordania e Gaza. Israele mostra il volto spietato dell'occupante, che costringe i palestinesi a subire un regime di apartheid. Nel 1982 verranno le stragi di Sabra e Chatila. Il rapporto con l'amico ebreo non si rompe, masi incrina: come fa il mite Henry a vivere senza disagio in una bella e antica rasa araba sottratta ai suoi proprietari palestinesi? Perché Henry, pur vedendo e condannando quello che gli accade intorno, non si schiera attivamente contro l'ingiustizia? Perché non sporca la sua saggezza con l'impegno politico? Il libro di Raja Shehadeh pone molte domande scomode, che nascono dalla realtà storica del conflitto, ma approdano alla dimensione dell'etica, della responsabilità personale.
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