Abu Dhabi: sì al dialogo con Israele; mentre in Brunei gay e adulteri vengono lapidati Cronache di Francesca Paci, Luca Miele
Testata:La Stampa - Avvenire Autore: Francesca Paci - Luca Miele Titolo: «Il ministro: 'Ora dobbiamo parlare con Israele' - La sharia estrema in Brunei»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/03/2019, a pag. 18, con il titolo "Il ministro: 'Ora dobbiamo parlare con Israele' " la cronaca di Francesca Paci; da AVVENIRE, a pag. 12, con il titolo "La sharia estrema in Brunei", il commento di Luca Miele.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Francesca Paci: "Il ministro: 'Ora dobbiamo parlare con Israele' "
Francesca Paci
Che Israele e una parte dei Paesi del Golfo condividano l’ostilità nei confronti dell’Iran e di fatto giochino nella stessa metà campo in un modo impensabile nel passato è sotto gli occhi di tutti. Ma da qui a rivendicare un’alleanza che possa precludere a un riconoscimento politico, dopo decenni di sostegno retorico alla causa palestinese, la strada è lunga. Basti pensare che il quarantesimo anniversario del trattato di pace tra Anwar al-Sadat e Menachem Begin sta passando pressoché in silenzio in Egitto, l’unico Paese arabo insieme alla Giordania a intrattenere relazioni diplomatiche ufficiali con Israele. Per questo l’endorsment al cambio di passo attribuito dal quotidiano di Abu Dhabi «The National» al ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, suona forte. «Con il senno di poi, quella araba di non avere rapporti con Israele fu una decisione molto sbagliata», avrebbe affermato Gargash in una sorta di mea culpa piuttosto inusuale, soprattutto in un momento i cui i Paesi del Golfo, Emirati compresi, esprimono posizioni molto dure nei confronti della scelta americana di riconoscere la sovranità israeliana sul Golan strappato alla Siria nel ’67. Il ragionamento del ministro emiratino è che se davvero si vogliono aiutare i palestinesi le relazioni tra arci-nemici devono mutare, perché decenni di silenzio hanno complicato la ricerca di una soluzione (tra i tanti piani dimenticati giace anche l’Iniziativa di pace araba del 2002) e perché «bisogna distinguere tra avere un problema politico e mantenere aperti i canali di comunicazione». Sullo sfondo ci sono i cambiamenti piccoli e grandi in corso nella regione. Il mese scorso, il consigliere e genero di Trump, Jared Kushner, è volato nel Golfo - dove oltre alle basi militari c’è un perno importante della politica di difesa statunitense - per raccogliere consenso intorno al piano di pace israelo-palestinese proposto da Washington. Ma già un anno fa un sottosegretario israeliano aveva visitato la Grande Moschea di Abu Dhabi anticipando di fatto la sortita di ottobre in Oman del premier Netanyahu, la prima del genere. Si procede a passi incerti. Quando settimane fa l’atleta israeliano Shatilov conquistò l’oro alle Olimpiadi della ginnastica di Doha, i media qatarini ignorarono tanto la sua bandiera quanto l’inno nazionale «Hatikvah». E però, anche per questo, le parole di Gargash, che si attende un aumento degli accordi bilaterali e delle visite politiche fanno notizia. La sua idea è che, con buona pace della soluzione «due popoli, due Stati», la strada sia tracciata: «Continuando così entro 15 anni vedremo gli stessi diritti in un solo Stato».
AVVENIRE - Luca Miele: "La sharia estrema in Brunei"
Il primo "strappo" è arrivato nel 2014, quando il Brunei è diventato il primo Stato asiatico ad adottare la sharia. Allora un coro di proteste internazionali - con tanto di minacce di boicottaggi economici - ha "sterilizzato" gli effetti dell'entrata in vigore della versione più integralista della legge islamica voluta dal sultano Haji Hassanal Bolkiah, 72 anni. Ma ora questo "regno", che ospita una popolazione di 430mi1a abitanti nell'isola del Borneo, sembra intenzionato ad andare fino in fondo. Dal 3 aprile si cambia. In peggio. Pena di morte per lapidazione tanto per le relazioni omosessuali che per l'adulterio. Ma non basta: durissima la anche la "risposta" per il furti. Nel nuovo e rigoroso codice penale è prescritta, infatti, l'amputazione di una mano nel caso di una prima infrazione, del piede sinistro per la seconda. Sono sei le persone in attesa della pena di morte, per reati comuni, nel piccolo Paese. Sdegnata la reazione di Amnesty International che ha protestato formalmente e chiesto alle autorità di «fermare immediatamente» l'applicazione delle nuove pene. «La legalizzazione di tali punizioni crudeli e inumane è atroce», ha commentato Rachel Chhoa-Howard, la responsabile dell'Ong nel Paese. «Alcuni dei possibili reati non dovrebbero nemmeno essere considerati tali, per esempio il sesso consensuale tra adulti dello stesso sesso». Phil Robertson di Human Rights Watch ha anche avvertito che l'applicazione delle leggi «porterà velocemente il Paese allo stato di "pariah" sui diritti umani agli occhi degli investitori, dei turisti stranieri, delle agenzie internazionali». «Se questo sconsiderato piano va avanti, - ha aggiunto - c'è ogni ragione per ritenere che il movimento globale di boicottaggio del Brunei ricomincerà». Il Brunei è governato dal sultano che vive, come ha scritto il New York Times, in un palazzo di 1.788 stanze e la cui ricchezza ammonta a decine di miliardi di dollari grazie alle ricchezze petrolifere del Brunei. Negli ultimi decenni, il sultano ha sostenuto una visione conservatrice dell'islam che si è scontrata con le visioni più moderate e stili di vita più aperti praticati nella regione. Una lunga faida si è consumata, poi, tra il sultano e suo fratello, il principe Jefri Bolkiah, principe e ministro delle Finanze, che negli anni Novanta si è appropriato indebitamente di 15 milioni di dollari ed è stato coinvolto in una serie interminabili di scandali. Nel 2014 il sultano aveva annunciato l'introduzione della sharia nel regno dove è già vietato il consumo di alcol, sono proibite celebrazioni come quelle del Natale e chi non partecipa alla preghiera del venerdì o ha figli fuori del matrimonio viene punito con multe e carcere. Per il sito del governo «non ci aspetta che altri accettino e siano d'accordo con questo, ma è sufficiente che la nazione venga rispettata nello stesso modo in cui essa li rispetta».
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Il primo "strappo" è arrivato nel 2014, quando il Brunei è diventato il primo Stato asiatico ad adottare la sharia. Allora un coro di proteste internazionali - con tanto di minacce di boicottaggi economici - ha "sterilizzato" gli effetti dell'entrata in vigore della versione più integralista della legge islamica voluta dal sultano Haji Hassanal Bolkiah, 72 anni. Ma ora questo "regno", che ospita una popolazione di 430mi1a abitanti nell'isola del Borneo, sembra intenzionato ad andare fino in fondo. Dal 3 aprile si cambia. In peggio. Pena di morte per lapidazione tanto per le relazioni omosessuali che per l'adulterio. Ma non basta: durissima la anche la "risposta" per il furti. Nel nuovo e rigoroso codice penale è prescritta, infatti, l'amputazione di una mano nel caso di una prima infrazione, del piede sinistro per la seconda. Sono sei le persone in attesa della pena di morte, per reati comuni, nel piccolo Paese. Sdegnata la reazione di Amnesty International che ha protestato formalmente e chiesto alle autorità di «fermare immediatamente» l'applicazione delle nuove pene. «La legalizzazione di tali punizioni crudeli e inumane è atroce», ha commentato Rachel Chhoa-Howard, la responsabile dell'Ong nel Paese. «Alcuni dei possibili reati non dovrebbero nemmeno essere considerati tali, per esempio il sesso consensuale tra adulti dello stesso sesso». Phil Robertson di Human Rights Watch ha anche avvertito che l'applicazione delle leggi «porterà velocemente il Paese allo stato di "pariah" sui diritti umani agli occhi degli investitori, dei turisti stranieri, delle agenzie internazionali». «Se questo sconsiderato piano va avanti, - ha aggiunto - c'è ogni ragione per ritenere che il movimento globale di boicottaggio del Brunei ricomincerà». Il Brunei è governato dal sultano che vive, come ha scritto il New York Times, in un palazzo di 1.788 stanze e la cui ricchezza ammonta a decine di miliardi di dollari grazie alle ricchezze petrolifere del Brunei. Negli ultimi decenni, il sultano ha sostenuto una visione conservatrice dell'islam che si è scontrata con le visioni più moderate e stili di vita più aperti praticati nella regione. Una lunga faida si è consumata, poi, tra il sultano e suo fratello, il principe Jefri Bolkiah, principe e ministro delle Finanze, che negli anni Novanta si è appropriato indebitamente di 15 milioni di dollari ed è stato coinvolto in una serie interminabili di scandali. Nel 2014 il sultano aveva annunciato l'introduzione della sharia nel regno dove è già vietato il consumo di alcol, sono proibite celebrazioni come quelle del Natale e chi non partecipa alla preghiera del venerdì o ha figli fuori del matrimonio viene punito con multe e carcere. Per il sito del governo «non ci aspetta che altri accettino e siano d'accordo con questo, ma è sufficiente che la nazione venga rispettata nello stesso modo in cui essa li rispetta». lettere@lastampa.it lettere@avvenire.it