Marta Ottaviani
A due giorni da un voto amministrativo chiave per determinare quanto ancora controlli il Paese, nonostante il clima di tensione e la crisi economica, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, compatta l’elettorato più religioso con quello che ormai è un classico: la riapertura al culto islamico di Santa Sofia, l’ex basilica bizantina, trasformata in museo nel 1935 da Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia laica e moderna. Allora la decisione rappresentò un segno forte di rottura con il passato ottomano, lo stesso che il capo di Stato sta cercando di rispolverare da anni, insieme con la componente confessionale che questo implica.
Il kebab di Erdogan
Una scelta necessaria
«Non diremo più Museo di Santa Sofia, ma Moschea di Santa Sofia – ha annunciato il presidente in diretta televisiva -. Non si tratta di una proposta abnorme o di qualcosa di impossibile. Come moschea potrebbe essere anche visitata gratuitamente». Ma fra il dire e il fare c’è di mezzo la legge. Restituire al culto islamico l’antico tempio della Divina Sapienza, questo il vero significato del nome dell’ex chiesa bizantina, va contro la normativa in vigore. La Corte Costituzionale ha respinto l’ennesima richiesta di riapertura dell’edificio come moschea da parte dell’ennesima organizzazione islamica che lo ha presentato l’ultima volta a settembre dell’anno scorso, spiegando che lo status di museo non lede nessun diritto di chi fa fatto ricorso. Erdogan sa benissimo che, per vedere l’imam di nuovo seduto sul minbar dell’ex basilica, la normativa va cambiata e in tanti anni sul capitolo «Santa Sofia», ha cambiato idea più volte. Ma il tema negli ambienti ultra conservatori della Turchia è sempre più sentito e questa volta il presidente, con Istanbul e soprattutto Ankara in bilico, sul suo elettorato più radicalizzato deve sapere di poter contare ancora più del solito.
Santa Sofia
La chiamata all’Islam
L’economia che arranca, la lira turca in affanno da mesi e gli effetti che l’ondata di migranti dalla Siria ha prodotto sulla vita di tutti i giorni hanno creato un clima di disagio nel Paese, che il presidente ha cercato di fare dimenticare, almeno negli ambienti più religiosi, puntando sui sentimenti anti-occidentali, e sfruttando la grande onda emotiva provocata dall’attentato terroristico contro le due moschee a Christchurch, in Nuova Zelanda. Erdogan non ha esitato a mostrare alcune immagini della strage, infiammando gli animi con un discorso in cui ha accusato l’Occidente di restare volutamente in silenzio nei confronti dell’islamofobia.
Lo scorso 18 marzo, in occasione della commemorazione della Battaglia di Gallipoli del 1915, dove, contro le truppe turche morirono anche migliaia di soldati australiani, il presidente ha pronunciato parole che sembravano una dichiarazione di guerra, che hanno provocato seri problemi diplomatici con Australia e Nuova Zelanda. «Ci stanno mettendo alla prova da 16.500 chilometri di distanza – ha tuonato il presidente -. Siamo qui da 1000 anni e, a Dio piacendo, ci rimarremo fino all’Apocalisse. Non farete diventare Istanbul Costantinopoli. I vostri antenati sono venuti qui e sono tornati nelle bare. Non dovete avere dubbi sul fatto che vi rimanderemo indietro come loro».
La sfida allo Stato ebraico
Parole forti, che vanno ad alimentare sentimenti già troppo vivi nel Paese, insieme con un altro tema particolarmente caro al presidente in campagna elettorale: l’attacco a Israele. Sempre nell’intervista su Santa Sofia, infatti, Erdogan ha fatto un accenno indiretto alle potenze occidentali, a detta sua troppo reticenti nel confronti dello Stato ebraico. «Coloro che tacciono davanti agli attacchi alla Moschea di Al-Aqsa, non possono dirci cosa dobbiamo fare con Santa Sofia». Non solo, il capo dello Stato ha dedicato alcuni comizi a criticare la decisione di Donald Trump di riconoscere ufficialmente come israeliane le alture del Golan, dicendo che la «Turchia deve guidare il mondo musulmano contro questa scelta». Va bene tutto, purché si compatti il sentimento islamico e non si parli di economia. Soprattutto a pochi giorni da un voto critico.
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