Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/03/2019, a pag. 15, con il titolo "Il ritorno dei fantasmi del Golan alla vigilia del voto in Israele", il commento di Bernardo Valli; da AVVENIRE, a pag. 13, con il titolo "Ancora razzi da Gaza Israele all'Onu sul Golan: 'Prima l'ha usato la Siria adesso ci prova l'Iran' ", il commento di Elena Molinari; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 1, il redazionale "Non regge la tregua a Gaza".
Nikolay Mladenov
Quando all'ONU il rappresentante è bulgaro, Nikolay Mladenov,la dichiarazione stupisce per la sua correttezza: " «i razzi sparati da Gaza nell'area di Tel Aviv, in Israele, sono un'escalation molto seria e una provocazione». «Si sta verificando — ha denunciato il diplomatico bulgaro — un progressivo e molto preoccupante aumento dell'utilizzo delle armi a Gaza, e gli ultimi giorni hanno portato ancora una volta sull'orlo della guerra».La riporta solo l'Osservatore Romano.
Avvenire e OR informano senza demonizzare Israele, anzi,rendendo conto di quanto accade alle frontiere calde dello Stato ebraico - Golan e Striscia di Gaza - su Repubblica l'articolo di Bernardo Valli è un attacco a Israele. Secondo Valli, non nuovo a demonizzare l'unica democrazia del Medio Oriente, "Trump sta partecipando alla campagna elettorale". Trump in realtà non ha fatto che riconoscere la realtà dei fatti, ovvero l'appartenenza a Israele del Golan.
Come se non bastasse, Valli avanza dubbi sul fatto che i membri di Hamas siano terroristi e giunge a scrivere che l'organizzazione di Hamas è soltanto "considerata terroristica". Benché una parte dell'articolo descriva le violenze di Hamas contro la popolazione di Gaza, il senso complessivo è quello di un'accusa contro Israele.
Ecco gli articoli:
Una posizione israeliana sul Golan: indispensabile per la difesa dello Stato ebraico
LA REPUBBLICA - Bernardo Valli: "Il ritorno dei fantasmi del Golan alla vigilia del voto in Israele"
Bernardo Valli
Sono in molti a partecipare, anche fuori dai confini israeliani, alla campagna elettorale in vista del voto del 9 aprile: un inevitabile referendum su Benjamin Netanyahu. Primo tra tutti Donald Trump, il quale proporrà un piano di pace per il Medio Oriente a consultazione avvenuta. Trump ha già spostato l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, confermando il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della città unificata come capitale dello Stato ebraico, mentre le altre importanti ambasciate occidentali sono rimaste a Tel Aviv. Sempre Trump ha riconosciuto di recente l’ annessione israeliana delle alture del Golan, al confine con la Siria, occupate come Gerusalemme Est più di mezzo secolo fa, durante la guerra dei Sei giorni (1967). Due concreti segnali della Casa Bianca in appoggio a un nuovo mandato di Benjamin Netanyahu, primo ministro da dieci anni filati, più i precedenti tre, dal ’96 al ’99. Soltanto Ben Gurion, fondatore di Israele, ha governato tanto. Ed è assai probabile che Netanyahu lo superi, poiché stando agli umori del Paese (rivelati dai sondaggi), le recenti incriminazioni per frode, corruzione e abuso di fiducia, non dovrebbero impedirgli di battere il più temibile degli sfidanti, il generale Benny Gantz, stimato ex capo di stato maggiore di Tsahal. Gantz, considerato un falco come soldato e un moderato come diplomatico, contende a Netanyahu il titolo di campione della sicurezza, che attira più di qualsiasi altro riconoscimento i suffragi israeliani. Un’elezione libera può certo riservare soprese. In particolare in una società esposta ad avvenimenti che suscitano inevitabili passioni. Altri si sono intromessi nella campagna elettorale. Non stupisce che Hamas si sia espressa contro Netanyahu. Questo era il significato del missile lanciato da Gaza che ha ferito sette israeliani non lontano da Tel Aviv. L’organizzazione, considerata terroristica, è forte nella striscia di Gaza, dove sono relegati due milioni di palestinesi. Con quel missile (sparato "per errore") che ha sorpreso Israele e ha provocato la sua immediata reazione, Hamas ha voluto ridimensionare la fama di Netanyahu, ministro della Difesa oltre che primo ministro, come campione della sicurezza. Ma non al punto da scatenare, almeno per ora, un altro micidiale conflitto tra Israele e Gaza, che sarebbe il quarto in dieci anni. Il missile ha sorpreso Netanyahu mentre si trovava a Washington e l’ ha costretto, dopo una visita alla Casa Bianca, a rientrare di fretta a Gerusaleme. *** A suo modo Hamas ha votato per se stessa. In mancanza di elezioni, gli scontri con Israele attirano consensi all’organizzazione armata, aperta rivale dell’Autorità palestinese di Ramallah e di Al Fatah, dei quali mette in risalto la remissività rispetto agli occupanti. Amira Hass, coraggiosa corrispondente israeliana dai territori palestinesi, scrive che un nuovo conflitto potrebbe servire alla reputazione di Hamas come movimento di resistenza e potrebbe mettere in secondo piano la sua azione repressiva delle ultime settimane. Il Centro palestinese per i diritti dell’uomo ha denunciato la dispersione violenta di manifestazioni a Gaza e l’internamento di centinaia di persone in luoghi di detenzione non autorizzati. Hamas ha prelevato persone ferite dagli ospedali, li ha rinchiusi in quei campi, li ha torturati e li ha mandati davanti a tribunali militari, benché fossero dei civili. Hamas potrebbe puntare, col tempo, su un nuovo conflitto aperto e prolungato con Israele, al fine di mobilitare la popolazione ed evitare le manifestazioni contro le terribili condizioni economiche e mentali in cui vivono gli abitanti della Striscia di Gaza. Una massiccia e prolungata offensiva israeliana in risposta ai missili di Hamas, avverte Amira Hass, sarebbe sproporzionata e sarebbe dolorosa per i civili palestinesi che già subiscono spesso gli interventi armati di Tsahal. Una nuova guerra a Gaza rafforzerebbe soprattutto la reputazione di Hamas come movimento di resistenza e farebbe dimenticare il suo ruolo di repressore. Analizzare gli umori alla vigilia del voto riserva delle sorprese. Una indagine d’opinione, condotta ( dal quotidiano Haaretz) nella società israeliana immersa nella campagna elettorale, rivela che il quarantadue per cento degli interrogati è in favore di un’annessione, totale o parziale, dei territori occupati. Anche tra coloro che si dichiarano per la soluzione dei due Stati, e che riservano i loro suffragi a partiti di centro o di sinistra, come il Labur e Meretz, c’ è chi è per un’ annessione sia pure ridotta, ritenuta necessaria alla sicurezza. Delle tre zone in cui è suddivisa la Palestina occupata, quella che rappresenta i due terzi, la più estesa, in cui sono insediati circa trecentomila coloni ( altri duecentomila sono nella zona di Gerusalemme) è quella più presa di mira. In quanto alla concessione dei diritti politici agli abitanti palestinesi dei territori una volta integrati nello Stato israeliano non tutti sarebbero d’accordo. Il ventotto per cento si oppone ad ogni forma di annessione, e il trenta per cento non si pronuncia. Dunque il Paese va alle urne con una maggioranza di virtuali annessionisti ( tra gli elettori disposti a rivelare le loro intenzioni di voto) di tutti o soltanto di certi territori occupati. In quest’ultimo caso lasciando lo spazio restante a uno Stato palestinese. In nessun programma delle grandi coalizioni si parla di annessione o di creazione di due Stati. Se ne guardano bene sia Netanyahu sia Gantz. Ma nel governo due giovani e dinamici ministri, Naftali Bennet e Ayelet Shaked, sono esponenti di una corrente apertamente annesionista. Yuli Edelstein, presidente della Knesset e numero due nella lista elettorale del Likud, il partito di Netanyahu, ha dichiarato che la riconosciuta annessione del Golan da parte degli Stati Uniti era un importante passo verso il riconoscimento della sovranità israeliana nella West Bank ( cioè la Cisgiordania). La discrezione su questo argomento è dovuta alla preoccupazione di non turbare i rapporti con i paesi arabi sunniti, in particolare l’Arabia Saudita, dei quali Israele è di fatto un alleato nel confronto con l’Iran e i paesi sciiti. E di non suscitare allarmi, che per ora sarebbero infondati, anche fuori dal Medio Oriente, dove la maggioranza dei paesi, sia pure amici di Israele, ha deplorato le iniziative di Donald Trump su Gerusalemme e il Golan. Il sottofondo annessionista accompagna tuttavia Israele alle urne.
AVVENIRE - Elena Molinari: "Ancora razzi da Gaza Israele all'Onu sul Golan: 'Prima l'ha usato la Siria adesso ci prova l'Iran' "
Altro giorno di alta tensione fra Israele e Hamas, dopo che nella notte due razzi sono partiti dalla Striscia di Gaza verso la vicina città israeliana di Ashqelon. Intanto il Consiglio di sicurezza dell'Onu discuteva del riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità israeliana sulle alture del Golan. La tregua - di cui aveva parlato Hamas - non si è vista: durante la notte, da Gaza sono partiti altri razzi, subito intercettati. I caccia dell'Aviazione israeliana hanno bombardato obiettivi del gruppo islamico nel sud dell'enclave palestinese. L'esercito israeliano ha ribadito che considera Hamas -che governa de facto la Striscia- responsabile di tutta l'attività militare che arriva dalla zona, e si è detto pronto a «intensificare la sua attività se necessario». L'escalation è iniziata lunedì, quando un razzo lanciato dalla Striscia ha centrato un'abitazione in Israele, ferendo sette persone. Israele ha risposto attaccando cinquanta obiettivi militari, e inviando rinforzi militari a ridosso della Striscia. «L'occupazione israeliana ha avuto il messaggio», ha detto ieri il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, congratulandosi con le fazioni palestinesi «per aver agito nel fermare l'arroganza israeliana». Quindi ha fatto appello al popolo palestinese a «partecipare alle marce da un milione di persone nel "Land Day"»: le manifestazioni indette per sabato. Benzina sul fuoco in un momento di tensione altissima in tutti i Territori: ieri negli scontri con l'esercito vicino a Betlemme (Cisgiordania), è rimasto ucciso un giovane infermiere volontario palestinese. A New York intanto il Consiglio di Sicurezza si riuniva, su richiesta della Siria, per discutere del Golan. I Paesi europei hanno già ribadito di «non riconoscere la sovranità di Israele sui territori occupati dal giugno 1967, comprese le Alture del Golan», ma ieri l'ambasciatore israeliano all'Onu, Danny Danon ha rivendicato il diritto dello Stato ebraico di controllare le Alture: «Per 19 anni, la Siria ha usato il Golan come posizione avanzata contro Israele, e oggi è l'Iran che vuole mettere i suoi soldati sul confine del Mar di Galilea. Israele non lo permetterà mai, ed è giunto il momento per la comunità internazionale di riconoscere che il Golan rimarrà sotto la sovranità israeliana».
L'OSSERVATORE ROMANO: "Non regge la tregua a Gaza"
Resta alta la tensione tra Israele e Hamas. Nelle ultime ore, le sirene d'allarme sono tornate a suonare nel sud dello Stato ebraico, dopo il lancio di razzi dalla Striscia, e l'aviazione israeliana ha colpito obiettivi militari del movimento islamico palestinese a Gaza. E i media israeliani danno notizia di diversi raid contro obiettivi di Hamas effettuati tra ieri notte e stamani. Secondo il portale di notizie Ynet, le operazioni sono scattate dopo che un razzo è stato lanciato nella notte contro la zona di Eshkol. Lo stesso sito ha riferito anche di razzi lanciati dalla Striscia di Gaza in direzione della città israeliana di Ashkelon e intercettati dal sistema Iron Dome. Nella notte i militari israeliani hanno confermato di avere colpito diversi «obiettivi terroristici di Hamas», tra cui un campo di addestramento a Rafah e un sito per la produzione di armi a Khan Yunis. Al momento non si hanno notizie di vittime. I consigli municipali delle località israeliane vicine al confine con Gaza, così come nella regione centrale e settentrionale di Israele, hanno aperto i rifugi in attesa di una risposta agli attacchi. Non regge, dunque, la già fragile tregua decretata ieri mattina da Hamas. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanhayu, che ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti per tornare in patria proprio per seguire da vicino gli ultimi sviluppi della situazione, ha deciso di inviare altre truppe al confine con la Striscia. E, se occorre, ha fatto sapere di essere pronto a fare entrare l'esercito a Gaza. La decisione di mobilitare ulteriori truppe (una brigata di fanteria, un battaglione di artiglieria e unità di riservisti) è stata presa al termine della riunione di sicurezza Non regge a Gaza presieduta a Tel Aviv da Netanyahu (che è anche ministro della difesa), appena sbarcato dall'aereo che lo ha riportato da Washington. «Hamas deve sapere che Israele non esiterà ad entrare» nella Striscia e «a fare tutti i passi necessari collegati alla sicurezza» di Israele, ha avvertito il premier. Poi, in collegamento con la Conferenza dell'Aipac (il gruppo che riunisce le principali associazioni ebraiche negli Stati Uniti) a Washington, ha detto chiaramente che Israele «è pronta a fare molto di più. E lo faremo per difendere il nostro popolo e il nostro Stato». Che la situazione resti molto grave lo ha certificato anche lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riunitosi ieri sera al Palazzo di Vetro di New York proprio con l'obiettivo di evitare ulteriori violenze. Questa volta, tuttavia, l'assunto iniziale appare diverso dai precedenti: come dichiarato dall'inviato speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Nikolay Mladenov, «i razzi sparati da Gaza nell'area di Tel Aviv, in Israele, sono un'escalation molto seria e una provocazione». «Si sta verificando — ha denunciato il diplomatico bulgaro — un progressivo e molto preoccupante aumento dell'utilizzo delle armi a Gaza, e gli ultimi giorni hanno portato ancora una volta sull'orlo della guerra». Non è un caso, dunque, l'invio di nuove truppe israeliane, che si sommano a quelle schierate subito dopo il razzo sparato da Gaza che due giorni fa ha centrato una casa di Mishmeret, a nord est di Tel Aviv, 120 chilometri dalla Striscia, provocando sette feriti. A pochi giorni dalle elezioni parlamentari del 9 aprile, l'intero apparato di difesa israeliano resta, dunque, in allarme e la situazione appare ancora carica di tensione.
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