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Il Dubbio Rassegna Stampa
20.03.2019 Ritratto di Golda Meir
Analisi di Paolo Delgado

Testata: Il Dubbio
Data: 20 marzo 2019
Pagina: 2
Autore: Paolo Delgado
Titolo: «Femminista e sionista ecco chi era Golda Meir la vera Lady di ferro»

Riprendiamo dal DUBBIO di oggi, 20/03/2019, a pag. 2, con il titolo "Femminista e sionista ecco chi era Golda Meir la vera Lady di ferro", il commento di Paolo Delgado.

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Golda Meir

David Ben Gurion, il padre di Israele, la definiva «il miglior uomo nel governo», raccogliendo una battuta in voga nell'allora giovanissimo Stato di Israele «Golda è il solo vero uomo d'Israele». Oggi suonerebbero come battutacce sessiste ma nei '50, epoca in cui di donne ministro ce n'erano pochine e di donne premier non ce n'erano mai state, suonava come un complimento. Meritato. Golda Mabovic in Meyerson, Meir dal 1956, quando entrò al ministero degli Esteri, dove era d'obbligo il cognome israeliano, in veste di ministro, dopo essere stata per 6 anni ministro del Lavoro. Golda era bellissima e tostissima. Idee politiche a parte, e le loro erano opposte, è stata paragonata spesso a Margaret Thatcher. Ma Golda era più dura, non solo come leader politica ma anche come donna. Golda era una pioniera, una di quelle donne bellissime della cui avvenenza giovanile nessuno si ricorda più, essendo stata messa in secondo piano da altre doti, dal carattere. Dicono che quel carattere lo avesse dimostrato già nell'infanzia, quando sfidò la madre partecipando per la prima volta a una manifestazione contro i pogrom in Bielorussia. Il padre era già dall'altra parte dell'Atlantico, in America, per sfuggire alla miseria che aveva contribuito a uccidere ancora bimbi cinque suoi fratelli.

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L'anno dopo, nel 1906, Golda, la madre e le sorelle sopravvissute, Sheyna e Clara, traversarono a loro volta l'Atlantico per raggiungere il padre a Milwaukee. Nel 1914, ad appena sedici anni, la giovane Golda sfidò per la seconda volta la famiglia rifiutando di abbandonare gli studi per sposarsi. Fece i bagagli, si trasferì dalla sorella Sheyna a Denver, diventò femminista, socialista e sionista. Iniziò a fare politica a tempo pieno e non avrebbe più smesso. Come quasi tutti i fondatori di Israele Golda Meir non era religiosa e neppure credente. «Per me - avrebbe scritto sessant'anni dopo nella sua biografia - essere ebrea significa e ha sempre significato essere orgogliosa di far parte di un popolo che ha mantenuto la sua specifica identità per oltre 2000 anni, nonostante il dolore e le persecuzioni che per questo gli sono stati inflitti». Sposata con Morris Meyerson a 19, Golda e il marito avrebbero voluto raggiungere subito la Palestina. Dovettero rinviare sino al 1921 prima per l'entrata in guerra degli Usa, poi per gli impegni che Golda aveva nel frattempo assunto nel movimento sionista americano. Nel kibbutz nel quale i Meyerson e Sheyna entrarono una volta in Palestina, Merhavia, nella valle di Jezreel, uno dei pochi ancora esistenti, Golda si occupava dell'allevamento dei polli e della cucina, ma nel giro di tre anni fu scelta come rappresentante del kibbutz nell'Histadruth, l'unione dei sindacati ebraici in Palestina. Golda Meir era una sionista appassionata e convinta ma era anche una socialista altrettanto determinata. Dopo essersi trasferita con il marito e i figli a Gerusalemme, diventò segretaria dell'Unione delle donne lavoratrici, militante e poi dirigente del partito di sinistra Mapai. Come ministro del Lavoro fu la principale artefice del Welfare israeliano, oltre che di un massiccio progetto edilizio e di costruzione di infrastrutture, scuole e ospedali. La militanza socialista e quella sionista andavano di pari passo. Golda l'americana trattò con gli Usa, invano, l'apertura dei confini per i profughi che fuggivano dalla Germania nazista nel 1938, con gli inglesi per la nascita dello Stato ebraico subito dopo il conflitto mondiale, con Stalin, allora grande protettore del nascente Stato tra il 1948 e il 1949, come ministro plenipotenziario. La missione diplomatica più cruciale, però, fu quella per raccogliere negli Usai fondi necessari per le armi necessarie al nuovo Stato in una guerra probabilmente inevitabile. L'Agenzia ebraica riteneva che dalla comunità ebraica americana sarebbero arrivati meno di 10 milioni di dollari. Golda andò negli Usa di persona e di milioni ne riportò a casa 50. Provò anche a evitare o almeno a limitare la guerra con i Paesi arabi, subito dopo la dichiarazione d'Indipendenza, della quale proprio lei fu una delle sole due donne firmatarie. Travestita da araba andò in Giordania per un incontro segreto con il re Abdullah. Il sovrano consigliò di «non avere fretta» nel proclamare la nascita dello Stato. Risposta fulminante: «Aspettiamo da 2000 anni e questa lei la chiama fretta?». Come neoministro degli Esteri Golda si trovò alle prese con la crisi di Suez e la guerra del 1956. Lasciò l'incarico e annunciò il ritiro della politica dieci anni dopo. Niente da fare: il movimento socialista era diviso in tre partiti, il Mapai era il principale e la scelse come segretaria. In due anni ricompattò le tre fazioni nel partito laburista, poi nel '68 abbandonò di nuovo la politica. Fu l'ennesimo tentativo fallito. L'anno seguente il premier Levi Eshkol morì all'improvviso, i sostenitori del generale Allon e del generale Dayan, leggendario ministro della Difesa, non riuscirono a mettersi d'accordo. Golda fu richiamata in servizio come premier del governo di unità nazionale, cinquant'anni fa, nel marzo 1969. Era la terza donna premier nella storia. Come capo del governo fronteggiò una fase difficilissima, segnata dall'offensiva del terrorismo palestinese, in particolare dalla tragedia di Monaco e la reazione della premier, la "lista di Golda", con l'ordine di uccidere ovunque nel mondo i responsabili è notissima. Ma anche la guerra del 1973, per Israele la più difficile di tutte. Si trovò di fronte a una scelta difficilissima: sospettando ma senza certezze l'attacco che poi effettivamente scattò in coincidenza del Kippur 1973 dovette decidere su un eventuale attacco preventivo. Scelse di evitarlo, pensando che altrimenti dagli Usa non sarebbero poi arrivati gli aiuti necessari. Kissinger confermò: «Non avremmo concesso neppure un chiodo». Golda era una donna dura e lo fu anche con i palestinesi. Si commosse di fronte al loro esodo nel 1948 ma vent'anni dopo fu drastica e feroce: «Non esistono». Però era pronta alla restituzione dei territori occupati nella guerra del 1967, ma solo in cambio del riconoscimento e della fine di ogni ostilità da parte dei paesi arabi: «terre in cambio di pace». Non ricevette risposta e fu un errore: trattare con la ferrigna Golda sarebbe stato più facile e più proficuo con qualsiasi altro leader israeliano dopo di lei.

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