Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/03/2019, a pag. II con il titolo "Il grande naufrago" l'intervista di Amin Maalouf di Giulio Meotti
Giulio Meotti
Amin Maalouf
Amin Maalouf ha sempre detto di scrivere per conciliare due mondi diversi. La sua stessa famiglia è, dal lato materno, di francofoni cattolici, mentre, da quello paterno, di anglofoni protestanti. Nel 1993, quando in Francia gli assegnarono il premio Goncourt per Le Rocher de Tanios, Maalouf disse: “Forse rischio di passare per un profeta nel deserto ma bisogna continuare ad aver fede nell’uomo”. Nell’altro suo romanzo più famoso ha tessuto l’elogio di Samarcanda, “il più bel volto che la Terra abbia mai mostrato al sole”. E l’Aca - démie Française gli ha assegnato il seggio numero 29, riservato in precedenza a Claude Lévi-Strauss, proprio l’antropologo che ha guidato l’Euro - pa nella conoscenza delle altre culture (Maalouf è il primo scrittore libanese sotto la Cupola). Settantenne nato a Beirut nella comunità cristiana ma fuggito dalla guerra civile nel 1976 per stabilirsi a Parigi, Maalouf ha sempre avuto un gusto speciale per i ponti, gli incroci, le inversioni di prospettiva, i personaggi ibridi divisi tra due mondi, l’epopea dell’in - contro, dell’apertura e della connessione. “E’ dalla mia patria che l’oscu - rità ha cominciato a diffondersi nel mondo”, scrive adesso Maalouf nel suo nuovo saggio che esce per Grasset in questi giorni in Francia, Le Naufrage des civilisations. Il naufragio delle civiltà parte dal 1979, l’annus horribilis, preludio a un disastro che Maalouf non esita a paragonare alla marcia del Titanic: “Se uso un vocabolario marittimo, è perché l’immagine che mi ossessiona, da alcuni anni, è quella di un naufragio: una nave moderna, scintillante, sicura di sé e reputata inaffondabile come il Titanic, che porta una folla di passeggeri di classi e paesi diversi, e avanza con grande fanfara verso il suo abisso”. Ciò che caratterizza il nostro tempo, scrive Maalouf, è la decomposizione. “I libri che descrivono il mondo e i suoi disturbi non sono rassicuranti, senza dubbio, ma sono indispensabili”. E il suo vuole essere un libro sulla crisi dell’occidente. “Ho adottato il sogno europeo, ma quando vedo l’Europa oggi, penso a un naufragio. E quando vedo gli Stati Uniti, che erano una specie di potere genitoriale per il resto del mondo, sono anch’essi vicini all’affondamento. Penso che il mondo si stia oscurando. Vedo un mondo in decadenza. Una profonda crisi morale colpisce tutte le società e tutti gli strati sociali”. Nel nuovo libro, Maalouf riprende le idee sviluppate già in Le Dérèglement du monde, in cui denunciava l’esaurimento simultaneo dell’occidente e della civiltà arabo-islamica. Il vero “infedele” è l’occidente, sì, ma ai propri valori. Umanista illuminato e nomade, Maalouf ora si reca al capezzale di quelle due civiltà, dell’occidente reo della perdita di significato e dell’islam con la sua miseria morale. Maalouf ritiene emblematica la tragedia egiziana sotto Nasser. “La crisi di Suez si concluse con una grande débâcle politica per le due principali potenze coloniali europee e con un trionfo per Nasser. Che aveva offerto al suo popolo una brillante vendetta ed era apparso sul palcoscenico mondiale come il nuovo campione della lotta per i diritti dei popoli oppressi. Fu in questo momento di gloria che il Rais pronunciò la condanna a morte dell’Egitto cosmopolita e liberale. Assunse una serie di misure per far uscire gli inglesi, i francesi e gli ebrei dal paese. La sua politica ha provocato un esodo di massa di tutte le cosiddette comunità ‘egiziane’, alcune delle quali erano da diverse generazioni, o addirittura secoli, sulle rive del Nilo. In un certo senso, Nasser è l’ultimo gigante nel mondo arabo, forse anche la sua ultima possibilità di alzarsi. Ha abolito il pluralismo per creare un partito unico; represse la stampa, che era stata abbastanza libera sotto il vecchio regime; si è affidato ai servizi segreti per mettere a tacere i suoi avversari; la sua gestione dell’economia egiziana è stata burocratica, inefficace e alla fine rovinosa; la sua demagogia nazionalista lo ha portato nel precipizio, e il mondo arabo con lui”. Poi parla del suo Libano. “Questo degrado materiale e morale è angosciante quanto quello che la Beirut della mia gioventù ha vissuto, in termini di convivenza tra religioni, un’esperienza rara, che poteva, credo, offrire alla regione così tormentata, e persino ad altre parti del mondo, un esempio su cui riflettere. Penso addirittura che avrebbe potuto essere un antidoto ai veleni di questo secolo. La disintegrazione delle società pluralistiche del Levante ha causato un degrado morale che ora sta colpendo tutte le società umane e scatena barbarie insospettate sul nostro mondo”. Arrivò il 1979. “Nelle mie note personali, ho iniziato a parlare di un ‘anno di inversione’, o talvolta di un ‘anno di grande inversione’. Nel febbraio 1979, la Repubblica islamica dell’Iran fu fondata sulle rovine di una monarchia ritenuta troppo modernista e occidentalizzata. Ad aprile, l’esecuzione per impiccagione dell’ex presidente pakistano Zulficar Ali Bhutto da parte di un golpe militare che lo rimproverava di difendere il socialismo e il laicismo, e che chiedeva, a sua volta, un’applicazione rigorosa della legge coranica; a luglio, la decisione degli Stati Uniti di armare i mujaheddin islamisti afghani; a novembre, l’attacco alla Grande moschea della Mecca, guidato da un commando impressionante di militanti islamici sauditi, che doveva finire in un bagno di sangue; a dicembre, l’entrata in Afghanistan delle truppe sovietiche e il moderno jihadismo”. Ne ha dunque anche per gli Stati Uniti, Maalouf. “Quando la militanza islamista ha cominciato a diffondersi in tutto il pianeta, attaccando obiettivi occidentali con una ferocia rara, molte persone si sono chieste se l’America, ossessionata dalla lotta contro il comunismo, non avesse giocato all’apprendista stregone favorendo l’emergere di forze che si sarebbero rivoltate contro di lei. Ma se è difficile incolpare i funzionari americani per aver favorito la lotta a tutto campo contro la superpotenza rivale, non è meno vero che hanno effettivamente giocato all’apprendista stregone favorendo l’emergere di un fenomeno senza precedenti, complesso, sfuggente, sconcertante e che non sarebbero stati più in grado di controllare. Se ho detto che i regimi comunisti avevano a lungo trascurato le idee universali che avrebbero dovuto promuovere, devo aggiungere che anche le potenze occidentali hanno abbondantemente screditato i propri valori. Non perché combattessero ferocemente contro i loro avversari marxisti o del Terzo mondo – sarebbe difficile biasimarli; ma perché hanno cinicamente sfruttato i più nobili principi universali al servizio delle loro ambizioni e della loro avidità; e, soprattutto, perché si sono costantemente alleati, specialmente nel mondo arabo, con le forze più retrograde e più oscurantiste, le stesse che un giorno avrebbero dichiarato la guerra più perniciosa. Lo spettacolo angosciante che il pianeta presenta in questo secolo è il prodotto di tutte queste bancarotte morali e di tutti questi tradimenti”. Maalouf dice che la sua origine gli ha insegnato una “stoica rassegnazione alla vanità delle cose”. L’Egitto, patria adottiva della sua famiglia materna, era in tumulto quando lo scrittore venne al mondo. Il 12 febbraio, due settimane prima della nascita di Maalouf, Hassan al-Banna, fondatore della Fratellanza musulmana, fu assassinato. “Lo scontro tra l’organizzazione islamista e le autorità del Cairo andava avanti da vent’anni. Mentre scrivo queste righe, è ancora in corso”. Nel 1910, in Libano, il nonno di Maalouf aveva fondato una scuola universale aperta a ragazze e ragazzi di tutte le fedi. “Sono nato in buona salute tra le braccia di una civiltà morente, e per tutta la vita ho avuto la sensazione di sopravvivere, senza merito o senso di colpa, quando tante cose intorno a me stavano cadendo in rovina”, si legge nel Naufragio. “Come quei personaggi del film che attraversano strade dove tutti i muri si sgretolano, eppure ne escono indenni, scuotendo la polvere dai loro vestiti, mentre dietro di loro l’intera città non è altro che un cumulo di macerie”. Maalouf parla di Alessandria e Beirut, di Tripoli e Aleppo, di Smirne e Mosul, di Costantinopoli e Sarajevo, le grandi capitali orientali del multiculturalismo, oggi sempre più islamizzate, sempre meno cristiane e pluraliste. Sono quelle le luci che vede spegnersi. “Se i cittadini di diverse nazioni e seguaci delle religioni monoteiste avessero continuato a vivere insieme in questa regione e a ispirare e illuminare il suo corso, tutta l’umanità avrebbe avuto davanti a sé un modello eloquente di coesistenza armoniosa e di prosperità. Sfortunatamente è successo il contrario, è l’odio che ha prevalso, è l’incapacità di vivere insieme che è diventata la regola. Le luci del Levante si spensero. E l’oscurità si diffuse in tutto il pianeta”. Maalouf non è uno di quelli a cui piace credere che “si stava meglio prima”.
“Le scoperte scientifiche mi affascinano, la liberazione di menti e corpi mi incanta e considero un privilegio vivere in un momento così inventivo e sfrenato come il nostro. Tuttavia ho osservato, negli ultimi anni, la deriva sempre più preoccupante di tutto ciò che noi chiamavamo ‘civiltà’. Tutti questi luoghi che mi piace pronunciare – Assiria, Ninive, Babilonia, Mesopotamia, Palmira, Tripolitania, Cirenaica, regno di Saba, le loro popolazioni, eredi delle più antiche civiltà, fuggono su zattere come dopo un naufragio”. Maalouf parla di un “affondamento morale generalizzato” e legato alla partenza delle antiche comunità cristiane d’oriente da cui lo scrittore proviene. E avverte che la cecità volontaria non è concessa: “Se le strade del futuro sono piene di insidie, la cosa peggiore sarebbe andare avanti con gli occhi chiusi, borbottando che tutto andrà bene”. Eppure, sembra essere questa la condizione dell’occidente. Come l’oriente narrato da questa cassandra del multiculturalismo fallito, dove i regnanti suggeriscono: “Se vuoi conservare gli occhi, le orecchie e la lingua, dimentica di avere occhi, orecchie e lingua”. Così che nessuno vede avvicinarsi l’iceberg che affonda il Titanic.
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