Usa: antisemitismo nel Partito democratico
Analisi di Antonio Donno
Martin Luther King: "Quando le persone criticano il sionismo pensano agli ebrei: questo si chiama antisemitismo"
Subito dopo la fine della guerra del 1967, quando da alcune parti cominciavano a manifestarsi critiche contro Israele perché aveva “ecceduto” nella propria difesa e occupato territori fuori dai propri confini, Martin Luther King così disse: “Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente ‘antisionista’. E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei… E che cos’è l’antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio”. Parole superbe, ancora perfettamente valide, soprattutto oggi, di fronte a una nuova ondata di antisemitismo, veicolata anche dalle istituzioni internazionali, che condannano Israele con una frequenza che provoca disgusto e noia. Purtroppo, il partito democratico americano non è immune dal virus dell’antisemitismo, soprattutto la sua parte radicale, più di sinistra, come le cronache quotidiane ci informano continuamente. L’ingresso nel partito di personaggi che hanno fatto dell’odio anti-israeliano quasi la loro ragione di vita lo condiziona in modo preoccupante.
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Eppure, i democratici americani, negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, sono stati i più grandi sostenitori delle ragioni del sionismo e del progetto di una nazione ebraica in Palestina. In particolare, proprio l’ala sinistra del partito, quella più fortemente liberal, era pro-sionista senza se e senza ma. Si trattava degli Americans for Democratic Action, un folto gruppo di democratici liberal, che criticavano aspramente gli indugi del presidente Truman, per quanto egli fosse a favore dei sionisti, e soprattutto il Dipartimento di Stato, con a capo George Marshall, che si opponeva alla spartizione della Palestina e alla nascita di uno Stato ebraico, sostenuto dagli Stati Uniti, perché ciò avrebbe consegnato il mondo arabo all’Unione Sovietica. Il che, comunque, sarebbe egualmente avvenuto, dato che la posizione delle dirigenze arabe era a favore di Mosca, perché essa rappresentava posizioni avverse all’Occidente imperialista e colonialista, che aveva oppresso tutto il mondo arabo. Personaggi di primo piano del partito e del mondo politico e intellettuale americano – fra i tanti, Chester Bowles, David Dubinsky, John Galbraith, Hubert Humphrey, James Loeb, Reinhold Niebhur, Walter Reuther – si riunirono nell’ADA, nell’aprile del 1948, e posero nel loro programma un punto fondamentale: il sostegno al sionismo e al progetto di dar vita ad uno Stato ebraico in Palestina, la lotta all’antisemitismo e all’antisionismo e al comunismo sovietico. L’azione dell’ADA fu molto importante all’interno del governo americano nella sua politica a favore del sionismo. È triste vedere oggi l’antisemitismo e l’antisionismo prendere sempre più piede nel Partito Democratico. È una deriva tragica per un partito che ha rappresentato per molto tempo un punto di riferimento fondamentale per il popolo ebraico nella sua lotta per il ritorno in Eretz Israel. Il terzomondismo e il multiculturalismo hanno, con il tempo, fatto breccia nel mondo politico e in una parte dell’opinione pubblica americani, oltre che nelle principali istituzioni internazionali e, in genere, nella cultura occidentale. L’isolamento di Israele in questi contesti e la diffusione dell’antisemitismo/antisionismo impongono, ancora una volta nella storia del popolo ebraico e di Israele, una difesa strenua delle loro ragioni.
Antonio Donno