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La Stampa - Libero - Italia Oggi Rassegna Stampa
13.03.2019 Iran criminale: 38 anni di carcere e a 148 frustate a Nasrin Sotoudeh perché contesta l'obbligo del velo
Cronaca di Giordano Stabile, commenti di Giovanni Sallusti, Pierluigi Magnaschi

Testata:La Stampa - Libero - Italia Oggi
Autore: Giordano Stabile - Giovanni Sallusti - Pierluigi Magnaschi
Titolo: «Amnesty: violenza senza precedenti contro le donne che tolgono il velo - In Iran si frustano le donne ma le femministe se ne fregano - La Rai e l'avvocatessa iraniana condannata a 148 frustate e a 33 anni di carcere»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/03/2019, a pag.15 con il titolo "Amnesty: violenza senza precedenti contro le donne che tolgono il velo" la cronaca di Giordano Stabile; da LIBERO, a pag. 10, con il titolo "In Iran si frustano le donne ma le femministe se ne fregano", l'articolo di Giovanni Sallusti; da ITALIA OGGI, a pag. 1, con il titolo "La Rai e l'avvocatessa iraniana condannata a 148 frustate e a 33 anni di carcere", l'editoriale di Pierluigi Magnaschi.

Ecco gli articoli:

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Nasrin Sotoudeh

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Amnesty: violenza senza precedenti contro le donne che tolgono il velo"

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Giordano Stabile

Le iraniane che protestano contro le imposizioni dei religiosi e si tolgono il velo in pubblico devono fronteggiare un «livello di violenza senza precedenti». Botte, arresti, minacce di morte. La nuova ondata di repressione è denunciata in un rapporto di Amnesty International, che ha rilanciato il lavoro delle attiviste de «La mia videocamera, la mia arma». Il giro di vite arriva in concomitanza della nomina da parte della guida suprema Ali Khamenei dell’oltranzista Ebrahim Raisi a capo del potere giudiziario. Una svolta «a destra», che sembra essersi concretizzata subito con la condanna abnorme subita dall’avvocatessa dei diritti umani Nasrin Sotoudeh: 33 anni di carcere e 148 frustate. Fra i capi di accusa c’era anche quello di essersi tolta il velo in pubblico e questo dimostra come il tema sia diventato centrale nel tentativo dell’ala radicale del regime di rinsaldare la presa sul Paese. Amnesty International ha raccolto centinaia di filmati delle attiviste. Mostrano i poliziotti «che le insultano e le minacciano, ordinano di rimettersi il velo, distribuiscono fazzoletti per togliere il trucco». Ma non basta. Gli agenti «le schiaffeggiano, le picchiano coi manganelli, le ammanettano». Un filmato mostra una discussione fra una donna e un uomo in borghese, che alla fine «la insulta e le spruzza in volto spray al peperoncino».

Mariti che reagiscono
In un video c’è un uomo in borghese accanto a un furgone della polizia, mentre punta con un’arma un uomo e una donna intervenuti per impedire un arresto. Ma ci sono anche casi di mariti o compagni delle donne in strada senza velo che reagiscono alle angherie e minacciano a loro volta gli agenti e i basiji, i volontari filo-governativi, segno di una insofferenza crescente nei confronti delle imposizioni religiose. Il velo obbligatorio è però un simbolo troppo importante della Repubblica islamica. Il rispetto della «decenza» e del «pudore» sono considerati imprescindibili. Una coppia di fidanzati, domenica scorsa, è finita agli arresti per essersi abbracciata in pubblico alla festa di fidanzamento e dopo che il video «scandaloso» era finito in Rete.
Ma proprio Internet è anche il motore delle proteste, per esempio attraverso la pagina Facebook «La mia libertà clandestina», la diffusione dei video di denuncia, o l’organizzazione dei «mercoledì bianchi», quando le donne indossano una sciarpa in segno di protesta. In base alla sharia le donne debbono coprirsi i capelli in pubblico dopo aver compiuto nove anni e se non rispettano l’imposizione sono punite con un multa o l’incarcerazione fino a due mesi. L’obbligo del velo, come sottolinea Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, viene ormai utilizzato «per giustificare aggressioni in strada contro le donne e le ragazze».

LIBERO - Giovanni Sallusti: "In Iran si frustano le donne ma le femministe se ne fregano"

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Giovanni Sallusti

A che ora ci troviamo? Sarò al vostro fianco, care femministe imbrattatrici, organizziamoci, dobbiamo fare qualcosa di clamoroso. Perché ovviamente ci andrete, vero, a portare la vostra impavida protesta davanti all'ambasciata iraniana? Figuriamoci, ve la siete presa con la statua di un defunto, tal Indro Montanelli, per colpe commesse durante gli anni Trenta del secolo scorso, sarete sicuramente in prima linea contro lo scempio fondamentalista che va in scena oggi, anno 2019, ai danni dei diritti civili e del corpo delle donne. So che la storia la conoscerete nei minimi dettagli, perché essendo coerenti con voi stesse battaglierete quotidianamente contro l'oppressione patriarcale islamica (sarà colpa dei giornali che non rendicontano le vostre numerose iniziative in merito), ma la riassumo a beneficio del lettore. Lei si chiama Nasrin Sotoudeh, ha 55 anni, è la più famosa avvocatessa iraniana in tema di diritti umani, una delle pochissime che ha avuto il fegato di rimanere in patria, sotto gli ayatollah persecutori, e di non arretrare.

ALL'ERGASTOLO E appena stata condannata a 38 anni di prigione e 148 frustate. Uscirà, se uscirà (le carceri iraniane non sono esattamente ispirate ai principi illuministi di Cesare Beccaria) a 93 anni. E un ergastolo, la pietra tombale su un'esistenza. Per le seguenti colpe: propaganda contro il sistema, incontri ai danni della sicurezza nazionale, partecipazione al movimento contro la pena di morte, essere apparsa in pubblico senza hijab, aver incitato le donne a toglierselo e ad altre azioni immorali. Un anno fa, Nasrin diede il proprio sostegno umano e professionale alle "ragazze di via della Rivoluzione", quelle che si sbarazzavano del velo in pubblico e lo sventolavano come una bandiera di libertà. Altre eroine inghiottite dalla repressione islamista, su cui non vi abbiamo sentito strillare, care condottiere del collettivo "Non una di meno" e femministe tutte, che col vostro sciopero avete appena paralizzato un Paese, il nostro, dove per fortuna (no, scusate, per merito della civiltà occidentale) le donne sono e saranno libere. Come non sentiamo oggi, a proposito del pestaggio giudiziario a cui è stata sottoposta Nasrin (chiamarla "sentenza" è davvero troppo asettico) alcuna sillaba da Federica Mogherini, Alto (?) rappresentante dell'Ue per gli Affari Esteri, ma del resto ce lo potevamo aspettare, da una cosiddetta leader europea che il velo se lo è diligentemente messo ogni volta che si è recata in Iran, e ci ha sfornato perfino sorridenti selfie di sottomissione direttamente dal Parlamento di Teheran. Ma voi no, voi che siete pronte a saltare alla gola del maschio italico appena balbetta che forse le signore mediamente non sono dei geni nella comprensione della tattica calcistica, sarete sicuramente in trincea contro i maschi in turbante che mandano a frustare e scaraventano in galera una donna per aver difeso la libertà sua e di altre donne, nel maleodorante nome della sharia.

SENZA VERNICE Mi pare di vedervi, state già radunando tonnellate di vernice rosa e la state distribuendo nei secchi, uno per ogni militante, state organizzando i pullman e mobilitando la rete, direzione ambasciata iraniana in Italia. Del resto, la condanna di Nasrin è stata definita da Amnesty International «scioccante» anche per lo standard di un Paese teocratico e liberticida come la ex Persia islamizzata. Certo, è più difficile portare la rivolta e il lancio di vernice sotto le mura dell'ambasciata iraniana, non è come insozzare il monumento di un giornalista scomparso diciotto anni fa, si rischia la scomunica del mainstream multiculti accovacciato ai piedi di Allah e forse perfino qualche problema con la legge, ma so che voi ci sarete. Perché la vostra battaglia femminista è genuina, nient'affatto inquinata dal pregiudizio antioccidentale e dall'ideologia terzomondista, perché voi sapete riconoscere gli odiatori della donna e i nemici del diritto là dove si manifestano oggi, perché provate sincera empatia per Nasrin. A che ora ci troviamo?

ITALIA OGGI - Pierluigi Magnaschi: "La Rai e l'avvocatessa iraniana condannata a 148 frustate e a 33 anni di carcere"


Pierluigi Magnaschi

II regime iraniano ha condannato a 148 frustate e a 33 anni di prigione l'avvocatessa di Teheran Nasrin Sotoudeh, 55 anni, colpevole di aver voluto difendere i contestatori politici del regime, fra i quali anche le cosiddette «ragazze della rivoluzione» accusate per essersi pacificamente tolte il velo per strada per poi sventolarlo come una bandiera. Che poi è la bandiera della libertà loro e di tutte le donne come loro. L'avvocatessa Sotoudeh aveva già scontato tre anni di detenzione a partire dal 2001. Successivamente, pur avendone avuto la possibilità, non aveva nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di lasciare il suo paese, né quella di smettere difendere i connazionali che avevano bisogno del suo patrocinio. Il suo è un caso drammatico e crudele che ci interpella tutti e contro il quale i professionisti del diritto (che, in gran parte, sono lettori di Italia Oggi, assieme ai componenti del mondo delle libere professioni) dovrebbero esprimere, in forma organizzata, il loro sdegno. Nasrin Sotoudeh è una dei nostri. Il mondo infatti è interrelato e i paesi sono sempre più vicini di quanto non sembri. La crudeltà istituzionale e la soppressione dei diritti e del diritto, in Iran (un paese che aveva una lunga tradizione culturale prima che fosse investito dell'ultimo imbarbarimento senza fine) non avviene in un'isola, impermeabile al resto del mondo ma rischia di diventare contagiosa. La libertà libero professionale, se viene difesa contro l'Iran, è difesa anche in Italia. La colata che sopprime la libertà infatti, anche se la consideriamo lontana e impossibile, ci insidia tutti. Va perciò prevenuta e il regime di Teheran deve sentire sul collo la presa indignata della riprovazione da parte dell'opinione pubblica contro queste sue scelte ignobili, nella sostanza e nella forma, come questa che adesso è a danno dell'avvocatessa Sotoudeh. Per fortuna, la vicenda raccapricciante dell'avvocatessa di Teheran si presta ad essere facilmente pubblicizzata perché questa avvocatessa è stata una dei protagonisti dell'eccezionale e bellissimo film autoprodotto dal regista iraniano Jafar Panahi dal titolo Taxi Teheran del 2015. Questo film, autoprodotto dal solo Panahi con mezzi rudimentali (due sole telecamere) racconta gli incontri e le discussioni, sull'auto di piazza di un tassista (il regista stesso) con la sua varia clientela, in una giornata qualsiasi, in giro per le strade affollate della capitale iraniana. Il film Taxi Teheran si è avvalso di pochissimi mezzi, non perché il regista volesse o dovesse risparmiare ma perché, a Panahi, il regime dei mullah ha imposto il divieto di girare dei film anche se lui è l'esatto opposto di un rivoluzionario. Anzi Panahi è un regista intimista, delicato, sottotraccia, un analista dei sentimenti, una specie, per rendere l'idea, di Vittorio De Sica dei tempi di Ladri di biciclette o un Ermanno Olmi de L'albero degli zoccoli. Fra i clienti del taxi di Panahi c'era anche l'avvocatessa Sotoudeh che recitava il suo ruolo professionale, in modo spontaneo e sorgivo, pur essendo già stata sotto il pesante attacco del regime iraniano. L'avvocatessa è così presa dal suo ruolo professionale che sembra una legale qualsiasi di Londra, tutta presa dalle sue carte e dai suoi impegni. Non recita a fare l'eroina, né la perseguitata, anche se ne avrebbe avuto materia. L'avvocatessa Sotoudeh, nel film di Panahi, interpreta spontaneamente (e apparentemente senza terrore) solo il suo ruolo di difensore dei diritti dei suoi clienti. Tutto qui. L'esistenza del film Taxi Teheran (che è un film gradevole e da largo pubblico, quindi favorevole all'audience televisiva) è uno strumento potente per portare all'attenzione dell'opinione pubblica italiana la tragedia di questa professionista incarcerata e fustigata per aver voluto fare, con onestà e senza violenza, il suo mestiere. Basterebbe che la Rai lo mandasse in onda (e noi speriamo che lo faccia) illustrando il motivo per cui il film meriti di essere riproposto oggi. Quella signora gradevole (e si può anche dire di tipo occidentale, che potrebbe essere percepita come una nostra distinta, ma anche accessibile, vicina di casa) è stata condannata, come si è detto, a 148 frustate e ad altri 33 anni di carcere dopo averne scontati, prima, altri cinque. La Rai è l'ente televisivo di Stato che dovrebbe anche far camminare le idee e diffondere e difendere i valori democratici. Quale miglior occasione di questa per fare conoscere questa tragedia che non è solo di un'avvocatessa ma di un intero popolo? E che ci vorrebbe, per il salotto di Lilli Gruber, su La7, parlo del migliore fra i talk show short, a interrompere per un giorno, un giorno solo, l'ombelicale dibattito sul nulla (che fine ha fatto Di Battista? Perché Salvini non porta più le felpe? Conte obbedisce più all'M5s o alla Lega?) per aprire il suo salotto al caso dell'avvocatessa iraniana fustigata e incarcerata? E perché, di questo tema, non dovrebbe interessarsi il principe dei talk, Bruno Vespa, che saprebbe sicuramente affrontare il tema con la sua proverbiale competenza? La storia dell'avvocatessa Sotoudeh, grazie al film Taxi Teheran, è una grande storia raccontabile a tutti, capibile da tutti. Il film infatti consente di portare la sua vicenda nelle case degli italiani, facendo loro toccare con mano la violenza belluina di sistema che viene coltivata e praticata a sole tre ore di aereo da casa nostra. Nel nostro backyard, nel nostro orto. Mi auguro che almeno *** la Rai non sprechi questa straordinaria occasione umanitaria e di civiltà che fa parte del suo compito istituzionale che è quello di far spalancare gli occhi agli spettatori su un problema di dignità. Un sistema che condanna alla fustigazione le donne (con 148 frustate, poi) merita di essere svergognato di fronte all'opinione pubblica italiana nella speranza che il regime di Teheran si vergogni. E ciò non solo in difesa dell'avvocatesca Sotoudeh. Ma anche di tutti noi.

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II regime iraniano ha condannato a 148 frustate e a 33 anni di prigione l'avvocatessa di Teheran Nasrin Sotoudeh, 55 anni, colpevole di aver voluto difendere i contestatori politici del regime, fra i quali anche le cosiddette «ragazze della rivoluzione» accusate per essersi pacificamente tolte il velo per strada per poi sventolarlo come una bandiera. Che poi è la bandiera della libertà loro e di tutte le donne come loro. L'avvocatessa Sotoudeh aveva già scontato tre anni di detenzione a partire dal 2001. Successivamente, pur avendone avuto la possibilità, non aveva nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di lasciare il suo paese, né quella di smettere difendere i connazionali che avevano bisogno del suo patrocinio. Il suo è un caso drammatico e crudele che ci interpella tutti e contro il quale i professionisti del diritto (che, in gran parte, sono lettori di Italia Oggi, assieme ai componenti del mondo delle libere professioni) dovrebbero esprimere, in forma organizzata, il loro sdegno. Nasrin Sotoudeh è una dei nostri. Il mondo infatti è interrelato e i paesi sono sempre più vicini di quanto non sembri. La crudeltà istituzionale e la soppressione dei diritti e del diritto, in Iran (un paese che aveva una lunga tradizione culturale prima che fosse investito dell'ultimo imbarbarimento senza fine) non avviene in un'isola, impermeabile al resto del mondo ma rischia di diventare contagiosa. La libertà libero professionale, se viene difesa contro l'Iran, è difesa anche in Italia. La colata che sopprime la libertà infatti, anche se la consideriamo lontana e impossibile, ci insidia tutti. Va perciò prevenuta e il regime di Teheran deve sentire sul collo la presa indignata della riprovazione da parte dell'opinione pubblica contro queste sue scelte ignobili, nella sostanza e nella forma, come questa che adesso è a danno dell'avvocatessa Sotoudeh. Per fortuna, la vicenda raccapricciante dell'avvocatessa di Teheran si presta ad essere facilmente pubblicizzata perché questa avvocatessa è stata una dei protagonisti dell'eccezionale e bellissimo film autoprodotto dal regista iraniano Jafar Panahi dal titolo Taxi Teheran del 2015. Questo film, autoprodotto dal solo Panahi con mezzi rudimentali (due sole telecamere) racconta gli incontri e le discussioni, sull'auto di piazza di un tassista (il regista stesso) con la sua varia clientela, in una giornata qualsiasi, in giro per le strade affollate della capitale iraniana. Il film Taxi Teheran si è avvalso di pochissimi mezzi, non perché il regista volesse o dovesse risparmiare ma perché, a Panahi, il regime dei mullah ha imposto il divieto di girare dei film anche se lui è l'esatto opposto di un rivoluzionario. Anzi Panahi è un regista intimista, delicato, sottotraccia, un analista dei sentimenti, una specie, per rendere l'idea, di Vittorio De Sica dei tempi di Ladri di biciclette o un Ermanno Olmi de L'albero degli zoccoli. Fra i clienti del taxi di Panahi c'era anche l'avvocatessa Sotoudeh che recitava il suo ruolo professionale, in modo spontaneo e sorgivo, pur essendo già stata sotto il pesante attacco del regime iraniano. L'avvocatessa è così presa dal suo ruolo professionale che sembra una legale qualsiasi di Londra, tutta presa dalle sue carte e dai suoi impegni. Non recita a fare l'eroina, né la perseguitata, anche se ne avrebbe avuto materia. L'avvocatessa Sotoudeh, nel film di Panahi, interpreta spontaneamente (e apparentemente senza terrore) solo il suo ruolo di difensore dei diritti dei suoi clienti. Tutto qui. L'esistenza del film Taxi Teheran (che è un film gradevole e da largo pubblico, quindi favorevole all'audience televisiva) è uno strumento potente per portare all'attenzione dell'opinione pubblica italiana la tragedia di questa professionista incarcerata e fustigata per aver voluto fare, con onestà e senza violenza, il suo mestiere. Basterebbe che la Rai lo mandasse in onda (e noi speriamo che lo faccia) illustrando il motivo per cui il film meriti di essere riproposto oggi. Quella signora gradevole (e si può anche dire di tipo occidentale, che potrebbe essere percepita come una nostra distinta, ma anche accessibile, vicina di casa) è stata condannata, come si è detto, a 148 frustate e ad altri 33 anni di carcere dopo averne scontati, prima, altri cinque. La Rai è l'ente televisivo di Stato che dovrebbe anche far camminare le idee e diffondere e difendere i valori democratici. Quale miglior occasione di questa per fare conoscere questa tragedia che non è solo di un'avvocatessa ma di un intero popolo? E che ci vorrebbe, per il salotto di Lilli Gruber, su La7, parlo del migliore fra i talk show short, a interrompere per un giorno, un giorno solo, l'ombelicale dibattito sul nulla (che fine ha fatto Di Battista? Perché Salvini non porta più le felpe? Conte obbedisce più all'M5s o alla Lega?) per aprire il suo salotto al caso dell'avvocatessa iraniana fustigata e incarcerata? E perché, di questo tema, non dovrebbe interessarsi il principe dei talk, Bruno Vespa, che saprebbe sicuramente affrontare il tema con la sua proverbiale competenza? La storia dell'avvocatessa Sotoudeh, grazie al film Taxi Teheran, è una grande storia raccontabile a tutti, capibile da tutti. Il film infatti consente di portare la sua vicenda nelle case degli italiani, facendo loro toccare con mano la violenza belluina di sistema che viene coltivata e praticata a sole tre ore di aereo da casa nostra. Nel nostro backyard, nel nostro orto. Mi auguro che almeno *** la Rai non sprechi questa straordinaria occasione umanitaria e di civiltà che fa parte del suo compito istituzionale che è quello di far spalancare gli occhi agli spettatori su un problema di dignità. Un sistema che condanna alla fustigazione le donne (con 148 frustate, poi) merita di essere svergognato di fronte all'opinione pubblica italiana nella speranza che il regime di Teheran si vergogni. E ciò non solo in difesa dell'avvocatesca Sotoudeh. Ma anche di tutti noi.

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