Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/03/2019, a pag.30 con il titolo "Missione in uno degli ecosistemi delle start-up: 'Così l’Innovation Center fa scoprire Israele' " il commento di Marco Pivato.
Marco Pivato
Il petrolio italiano è la creatività e tanti imprenditori del Made in Italy lo dimostrano. L’ultimo caso in ordine di tempo è una missione capitanata dal Gruppo Intesa Sanpaolo, in collaborazione con la Camera di Commercio e Industria Israel-Italia, per portare 11 imprese nostrane a cercare partnership in uno dei mercati più innovativi: Israele.
Al primo posto per start-up pro-capite e per la creazione di brevetti con una percentuale sul Pil investito in ricerca&sviluppo pari al 4,1%, il Paese è un magnete per i capitali stranieri: nel solo 2018 le start-up israeliane hanno raccolto 6,1 miliardi di dollari. L’Italia ha molto da imparare da questo habitat. Non ha, infatti, un «ecosistema dell’innovazione» all’altezza, né la necessaria fluidità burocratica. Allora, se non è una «start-up nation» ad andare dall’imprenditore, è l’imprenditore ad andare nella «start-up nation» (che ora vuole fare un salto ulteriore e diventare «smart nation») e i numeri dicono che la versione israeliana non è da meno rispetto a quella americana. «L’hi-tech è in vertiginosa crescita in Israele, ma il Paese è un provider puro di tecnologia, senza una vera e propria manifattura, ed è quindi un’economia complementare all’Italia. Per questo motivo possono nascere partnership per le nostre aziende, in settori come automotive, healthcare e farmaceutica, aerospaziale e cyber security», spiega Vincenzo Antonetti, Head of promotion and development of innovation dell’International Network di Intesa Sanpaolo Innovation Center.
Aziende e software
Molte le aziende italiane coinvolte che operano nell’hi-tech. Alcune di grandi dimensioni, soprattutto nel campo dell’ingegneria delle costruzioni come la bergamasca GF Elti, capaci di sviluppare software per modellizzare il comportamento nel tempo di grandi infrastrutture, stampare componentistica raffinata e «gioielli» di tecnologia in 3D. Altre sono impegnate nella logistica o nella progettazione di dispositivi medici innovativi e non mancano le start-up che studiano alternative alla generazione di energia, riduzione dell’inquinamento da parte dei veicoli e stoccaggio e sfruttamento dell’idrogeno come combustibile. Internet, Big Data e telecomunicazioni sono invece gli strumenti di spin-off come W-Sense, costola dell’Università La Sapienza.
La corsa agli investimenti nelle «high» e nelle «hard technologies» non è un’intuizione nuova. La «Big Science» - come la chiamano gli anglosassoni - rende sempre e tanto: i progetti «big», dagli acceleratori di particelle all’esplorazione spaziale, creano brevetti remunerativi, oltre a un indotto enorme. Dal momento, però, che i progetti sono, per l’appunto, «big» è necessario creare consorzi che sostengano certe spese, tenendo presente che la scienza ripaga molto, ma in tempi lunghi. Pensiamo, per esempio, al costo dei nuovi medicinali: per 10 mila composti candidati, che entrano nella sperimentazione, solo uno arriva in commercio, dopo oltre 10 anni, con una spesa, nel frattempo, che oscilla tra 800 milioni e 1 miliardo di dollari. E soltanto allora, se il mercato risponde positivamente, comincerà il rientro e, a quel punto, il guadagno vero e proprio.
Ora l’Italia non può rimanere fuori da un mercato tanto avanzato. Ma dovrà lottare. «L’alta tecnologia israeliana piace ai francesi, ai tedeschi, agli asiatici e a molti altri - avverte Antonetti -: perciò facciamo squadra con una rete di aziende italiane ambiziose». Nella società della conoscenza» è il sapere l’elemento strategico. «Non possiamo perdere l’occasione - aggiunge Mario Costantini, direttore generale di Intesa Sanpaolo Innovation Center - di introdurre i nostri imprenditori negli ecosistemi di innovazione più sviluppati al mondo, favorendo opportunità di business e sviluppo attraverso la condivisione di asset e competenze».
In Israele, d’altra parte, si entra in affari con il gotha della scienza anche in maniera «ecologica». Il modello è quello dell’economia circolare: quando si pensa al prodotto, si pensa alla sua dismissione per rientrare in una nuova filiera produttiva. Uno studio su «Science Advances» ha stimato 8,3 miliardi di tonnellate la quantità di plastica prodotta dall’umanità, da quando l’ha inventata, con le conseguenze che conosciamo. L’unica economia possibile adesso è quella pensata per rigenerarsi da sola.
Piattaforma di crowfunding
L’Innovation Center ha puntato l’attenzione su Israele e può contare su importanti partnership con la piattaforma di crowdfunding «OurCrowd», con l’acceleratore di start-up «The Floor» e con le principali istituzioni italiane presenti nel Paese. Proprio con l’ambasciata italiana ha lanciato un bando per l’accelerazione di start-up italiane in Israele per un periodo di tre mesi, con un contributo fino a 10 mila euro ciascuna. Il ruolo del Gruppo è supportare le imprese nella fase di avvio e accompagnarle nella crescita con differenti strumenti finanziari: «Neva finventures» (un fondo di venture capital), servizi di crescita «scale-up», prestiti garantiti dal Mediocredito Centrale e, infine, il «convertible-note», uno strumento che in una prima fase finanzia l’impresa e che poi si trasforma in capitale di rischio della stessa.
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