martedi` 24 dicembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
09.03.2019 Algeria: ovunque la protesta, l'opinione di Boualem Sansal
Cronaca e intervista di Rolla Scolari

Testata:La Stampa-Il Foglio
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «Algeria, il sovrano Bouteflika perde i pezzi, veterani e industriali appoggiano la protesta-Boualem Sansal ci spiega com'è nata la collera dell'Algeria in piazza»

Riprendiamo oggi, 09/03/2019 due pezzi di Rolla Scolari. Sulla STAMPA, a pag.13 e sul FOGLIO a pag.1, l'argomento è l'Algeria.

Immagine correlata
Rolla Scolari

La Stampa- "Algeria, il sovrano Bouteflika perde i pezzi, veterani e industriali appoggiano la protesta"

Immagine correlata

Le signore lanciano acqua e fiori dalle finestre, gli applausi scandiscono il passaggio dei blindati della polizia. La contestazione in Algeria contro un quinto mandato dell’anziano e malato leader Abdelaziz Bouteflika è festosa: nel terzo week-end di cortei, migliaia di manifestanti hanno bloccato il centro della capitale, le strade di città e villaggi del paese, al grido di «no a un quinto mandato», «no alla monarchia», in totale 500 mila persone, secondo la polizia, il doppio per i manifestanti. La protesta, che si amplifica il venerdì dopo la preghiera islamica, non si ferma durante la settimana, con sit-in e cortei improvvisati di giornalisti, avvocati, liceali, universitari e sindacalisti. Si tratta di marce finora prevalentemente pacifiche, represse dalle forze dell’ordine in maniera limitata, anche se ieri si sono registrati scontri. Ogni giorno da metà febbraio in Algeria, anche negli angoli più remoti del Paese, c’è una manifestazione. E ogni giorno una nuova crepa mina la stabilità del regime. Gli scricchiolii del sistema sono sempre più intuibili. Le prime defezioni sono arrivate tra uomini d’affari e imprenditori. Il vice-presidente del Forum des chefs d’entreprise, una sorta di Confindustria, ha dato per primo le dimissioni, seguito da altri membri. Poi, hanno iniziato a cedere le sigle sindacali, come la storica Ugta, che ha sempre appoggiato Bouteflika, e ha ora dichiarato di sostenere la protesta. Il colpo più duro a un regime che fonda la sua legittimità sul passato rivoluzionario di lotta contro la colonizzazione francese è arrivato dalla defezione di due istituzioni parte integrante di questo sistema: l’Organisation Nationale de Moudjahidine - i veterani della guerra d’indipendenza -, e quella degli anziani del Ministère de la guerre d’indépendance algérienne, gli avi dei servizi segreti. Hanno preso le distanze dal regime, sostenuto la mobilitazione. L’estensione delle diserzioni è tale da toccare in queste ore perfino il tempio del potere algerino, quel Fronte di Liberazione Nazionale, Fln, partito del presidente e campione dell’indipendenza: se ne vanno deputati, eletti locali nelle città di provincia, come il sindaco di Costantina, nell’Est, ma anche pesi massimi come l’ex ministro Sid Ahmed Ferroukhi. Danno segnali di cedimento ex eroi della Battaglia di Algeri, nei decenni diventati apparato, come l’ex senatrice Zohra Drif. La credibilità di un’elezione già compromessa si assottiglia. Nonostante la protesta di piazza, il presidente Bouteflika ha fatto sapere alla nazione tramite una lettera che si ricandiderà, ma dopo il voto saranno organizzate elezioni anticipate cui non parteciperà. Non ha convinto la popolazione irrequieta. In reazione, suoi avversari come l’ex premier Ali Benflis e il leader degli islamisti moderati, Abderrazak Makri, hanno deciso d’abbandonare la corsa, svuotando totalmente di senso la campagna elettorale. I partiti d’opposizione tradizionali, privi di rappresentanza popolare, come già accaduto nelle primavere arabe del 2011 si sono accodati alla protesta, sostenendo quella di ieri. I manifestanti non hanno sventolato però le loro bandiere politiche, ma soltanto quelle dell’Algeria. E mentre la contestazione blocca il Paese, dopo i primi tentativi di bloccare il dissenso - evocando scenari come quello libico e siriano - i ministri e il premier Ahmed Ouyahia restano ora in silenzio

Il Foglio- " Boualem Sansal ci spiega com'è nata la collera dell'Algeria in piazza"

Immagine correlata
Boualem Sansal

Milano. Nel terzo fine settimana di protesta contro il quinto mandato dell’anziano e malato presidente Abdelaziz Bouteflika migliaia di algerini sono scesi in strada molto prima della fine della preghiera islamica del venerdì. Sono usciti di casa con le bandiere, quelle bianche, rosse e verdi dell’Algeria, non quelle dei partiti. Hanno riempito le strade non soltanto della capitale. La protesta si organizza: gli studenti di Medicina vestono simboli per farsi riconoscere, in caso di necessità. Ci sono servizi di sicurezza spontanei, appelli sui social media a uscire di casa ma anche a ritirarsi dalle strade a una certa ora, dopo averle ripulite. L’Algeria si abitua alla protesta, che non si ferma neppure durante la settimana, in un’atmosfera di festa, con cortei fra i tavolini dei caffè all’aperto: sit-in universitari, scioperi di categoria, marce di avvocati si susseguono. Ogni giorno nel paese il dissenso trova nuovi modi per mantenere la pressione su un regime che sembra non avere ancora trovato una ricetta al malcontento popolare e che per ora, con una lettera del presidente, ha promesso elezioni anticipate senza Bouteflika che però avverranno soltanto in seconda battuta, dopo il voto di aprile. La proposta sembra non aver calmato la protesta. E in queste ore “in Algeria tutto è possibile” – ci dice Boualem Sansal, al telefono dalla sua casa di Boumerdès, 50 chilometri a est della capitale. Censurato nel suo paese, minacciato dagli islamisti, lo scrittore algerino – che ha ricevuto il Grand Prix du Roman de l’Académie fran- çaise per il suo “2084. La fine del mondo” (Neri Pozza) – non è stupito dalle proteste e dalla loro ampiezza: “In Algeria nessuno è rimasto sorpreso dalla protesta. E’ da anni, da quando il presidente Bouteflika si è ammalato, che ci si dice ‘Basta’. E oggi lui è totalmente nell’impossibilità di governare. Davanti al silenzio del potere, la collera è salita, e si è tradotta in manifestazioni ovunque fin dal 2016: si protestava per la mancanza d’acqua, per i tagli di corrente elettrica, e si sapeva che prima o poi queste manifestazioni separate si sarebbero unite in un movimento nazionale. Mi chiedo come mai non sia accaduto prima”. Se il romanzo più celebre di Sansal in Italia è “2084”, lo scrittore fa emergere tutta l’asprezza della vita nel paese in molte altre sue opere. In “Harraga”, romanzo del 2005, per esempio, evoca il contesto di desolazione sociale ed economica che ha portato generazioni intere a diventare appunto “harraga”. Il termine in arabo algerino indica i migranti, che oggi sono ricordati – quelli morti nel tentare la traversata del Mediterraneo verso l’Europa – negli slogan della piazza. La collera che riempie le strade dell’Al - geria è antica, racconta Sansal. E’ pesante per i giovani quanto profonda per la sua generazione. Lo scrittore, che ha 69 anni, individua le origini della rabbia addirittura nell’anno dell’indipendenza dalla Francia, il 1962. “La guerra d’indipendenza ha fatto un milione di morti”. “Abbiamo ottenuto l’indipendenza e sono arrivati i militari. Gli algerini li guardavano con amore e invece ci hanno tolto le libertà: quello che si poteva fare durante la colonizzazione – fondare partiti, sposarsi con chi si voleva, viaggiare, avere un passaporto –, ci hanno detto che non si poteva più fare. Ci è stato rifiutato il diritto d’essere cittadini”. I giovani che oggi riempiono le piazze e che sono la maggioranza della popolazione – il 50 per cento degli algerini ha meno di 30 anni – hanno conosciuto soltanto questo. O il terrore dell’alternativa, sfruttato come spettro costante dal regime: i massacri, le decapitazioni, le violenze degli estremisti islamici negli anni della guerra civile (1991-2002). Per loro regime – come per lo stesso Sansal, un tempo funzionario statale e oggi autore censurato, controllato dalle autorità e minacciato dai fondamentalisti islamici per i suoi libri e la sua critica dell’islam – significa routine, ci spiega lui. “In Europa, la parola repressione è intesa nel senso di repressione poliziesca, come quando la polizia lancia i lacrimogeni contro i gilet gialli in Francia o arresta i manifestanti. Questa è soltanto la punta dell’iceberg qui. La repressione in un regime come l’Algeria è tutti i giorni, in tutti gli aspetti della vita: c’è una repressione burocratica, per esempio. Per ottenere un passaporto occorrono mesi di carte, di corse. Oppure, sin dall’età di cinque anni si partecipa a riunioni, si è irregimentati negli scout, nella gioventù del Fronte di liberazione nazionale (FLN, storico partito dell’indipendenza, ndr), sono inculcati il culto del presidente, dell’islam, dell’arabismo, l’odio per l’occiden - te, quello per gli ebrei, per i marocchini (l’Algeria e il Marocco sono in disputa sullo status del Sahara occidentale, ndr). E’ un po’ George Orwell in ‘1984’. Poi, sei irreggimentato in simili organizzazioni a scuola, all’università, nei sindacati quando entri nel mondo del lavoro. Sei obbligato ad assistere a riunioni, discorsi, attività politiche. Quando ricevi una convocazione amministrativa hai paura. Ti dicono ‘E’ convocato per un affare che la riguarda’, e passi tutta la serata a chiederti ‘ma che cosa sarà mai questo affare che mi riguarda?’. E poi è una roba di poco conto, avevi depositato le carte per il passaporto e mancava un documento. Aggiungi a questo che l’Algeria è un paese arabo-musulmano, dove vige la dittatura della religione: se vado al ristorante con mia moglie devo portarmi dietro il libretto di famiglia per provare, nel caso mi fermino a un posto di blocco, che sono sposato con la donna con cui viaggio in automobile. Siamo obbligati a digiunare nel mese di Ramadan, quando i ristoranti sono chiusi, e gli algerini non si possono sposare con chi vogliono (in Algeria le donne musulmane non possono sposare uomini non musulmani, ndr)”. Questo potere d’irreggimentare che il sistema politico utilizza per immobilizzare il dissenso inizia forse in queste ore a mostrare le prime crepe. Organizzazioni e associazioni che per tradizione sono in Algeria parte dell’infrastruttura del potere hanno iniziato da giorni a togliere il loro sostegno a un quinto mandato di Bouteflika, a schierarsi con i manifestanti. Hanno iniziato gli uomini d’affari del Forum des Chefs d’Entreprise, una sorta di Confindustria locale, poi il maggior sindacato nazionale, l’Ugta. Il capo degli scout musulmani ha dichiarato il suo appoggio alla protesta. Il colpo più duro al regime, che trae la sua legittimità dalle credenziali rivoluzionarie della lotta anti coloniale, è arrivato quando due organizzazioni simbolo di quegli anni, che raggruppano i veterani della guerra di liberazione, hanno dichiarato il proprio sostegno alla “mobilitazione senza precedenti” e salutato “la saggezza del popolo”. “Un popolo che – ci dice ancora Sansal – ha accumulato 57 anni di sofferenze con questo regime, e oggi scende in strada molto gentilmente, con un unico slogan. Grida contro il quinto mandato di Bouteflika, non contro i militari, non contro il regime. I manifestanti hanno visto che in piazza non c’era repressione. E hanno scoperto il piacere di protestare, ogni giorno, ovunque”.

Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/65681
Il Foglio: 06/ 5890901
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@lastampa.it
lettere@il foglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT