Paolo Mastrolilli
«Siamo delusi dalla posizione dell’Italia riguardo il riconoscimento di Guaidó come presidente ad interim». E’ molto diretto il rappresentante speciale degli Stati Uniti per il Venezuela, Elliott Abrams, quando esprime questo giudizio sulla linea scelta da Roma. E’ più conciliante invece col Vaticano, che «forse nel tempo avrà un ruolo più ampio da giocare».
Juan Guaidó
Abrams è la persona che il presidente Trump ha scelto per gestire la transizione pacifica verso la democrazia. Lo incontriamo nel primo briefing tenuto con i giornalisti stranieri, e gli chiediamo cosa pensa della linea scelta dal nostro governo: «Siamo delusi dal fatto che l’Italia non si è unita a 24 Paesi dell’Unione Europea su 28, credo, nel riconoscere Juan Guaidó come presidente ad interim. Speriamo che le continue dispute, e le discussioni ancora in corso, portino ad un certo punto a quella che noi vedremmo come una decisione migliore, unendosi a così tanti partner di Roma in Europa. Noi pensiamo che questa sarebbe la scelta giusta da fare». Non sfugge il riferimento di Abrams alle divergenze interne alla coalizione di governo, fra il M5S che frena, e la Lega che preme per riconoscere Guaidó. Così come viene sottolineata la distanza creata dall’Italia con i suoi alleati tradizionali europei, proprio nel giorno in cui l’ambasciatore tedesco a Caracas Daniel Kriener è stato dichiarato persona non grata, e invitato a lasciare il Paese nel giro di 48 ore.
Anche la Santa Sede non ha riconosciuto Guaidó, ma Abrams risponde così alla Stampa su questo punto: «Il Vaticano è in una situazione leggermente differente. Ha interessi diversi in Venezuela. Ha un ruolo diverso, ovviamente, in Venezuela e altrove. Noi abbiamo avuto alcuni contatti con il Vaticano, e forse nel corso del tempo loro avranno un ruolo più ampio da giocare». La Santa Sede infatti aveva partecipato a tutti i tavoli precedenti di mediazione tra il regime chavista e l’opposizione, e vuole mantenere questo spazio di manovra. Stavolta tuttavia intende usarlo solo quando sarà possibile discutere i dettagli concreti e condivisi di una transizione pacifica verso la democrazia.
Le opzioni sul tavolo
Abrams conferma che tutte le opzioni sono sul tavolo, ma quella militare non è all’ordine del giorno: «Abbiamo molti piani, e molti passi che possiamo compiere, con effetti sull’economia, il sistema finanziario, i membri del regime. Sono passi in linea con quelli già compiuti in passato, ma più duri. Li discutiamo internamente, ma siamo pronti ad usarli se servissero. Nessuno sta parlando di passi militari americani, a parte il regime e i russi. Ho chiarito ripetutamente la nostra politica: pressione diplomatica, politica, economica e finanziaria, per andare verso una transizione democratica pacifica. Questo è ciò che vogliamo. Questo è quanto la nostra politica è determinata a raggiungere. Il presidente dice sempre che tutte le opzioni sono sul tavolo, perché tutte le opzioni sono sempre sul tavolo. Ciò è vero anche in questo caso, ma non è la strada che abbiamo scelto». La situazione sul terreno però è molto tesa, e Abrams conferma che «ci sono molti cattivi attori in Venezuela. C’è gente di Hezbollah. Ma anche i guerriglieri Enl e Farc vicino al confine con la Colombia, oltre diverse migliaia di uomini della sicurezza cubana. Molti si qualificano per il termine di cattivi attori, o terroristi». L’obiettivo è fermarli e tenere nuove elezioni, dove tutti avranno un ruolo, anche se un futuro politico per Maduro è improbabile: «Se si candidasse sarebbe un regalo, visto che la sua popolarità è fra il 10 e il 15%. La decisione spetta ai venezuelani, ma è difficile immaginare che un dittatore come lui possa avere un ruolo per costruire un Venezuela democratico».
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