Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/03/2019, a pag.1-25, con il titolo "La poltrona che isola gli italiani" il commento di Marco Zatterin.
Manca all'Italia da un mese un Ministro per gli Affari Europei dopo il ritiro, il 5 febbraio scorso, di Paolo Savona. Ma rispetto a Savona o a Federica Mogherini è meglio nessuno. Anche in questo caso, perchè la Lega latita?
Ecco l'articolo:
Marco Zatterin
Mogherini col velo, di fianco al ministro degli esteri iraniano Zarif
Da un mese l’Italia non ha il ministro per gli Affari europei. Comunque la si giri, è una leggerezza pericolosa. Perché anche un governo populista e sovranista ha bisogno di un rappresentante che partecipi ai vertici bruxellesi per impedire i presunti «misfatti contro le nazioni», sennò va a finire – come nelle riunioni condominiali – che gli altri decidono senza di te e si rimane senza il riscaldamento. E pure se si è solo un po’ euroscettici e si vuole cambiare l’Europa – magari senza aprirla come una scatola di biscotti – è difficile riuscirci disertando i consigli e restando a casa a protestare.
Paolo Savona ha lasciato il dicastero dove si sbrigano gli affari comunitari il 5 febbraio per diventare presidente della Consob. L’incarico è stato assunto ad interim dal presidente del Consiglio. In pratica, non è cambiato nulla. Dal giugno 2018 il professore sardo non ha frequentato Bruxelles. Assente alle riunioni mensili in cui i ministri degli Affari europei discutono soprattutto della manutenzione del mercato unico. Latitante nei rapporti con i nostri uomini e donne nelle istituzioni. Non pervenuto nei rapporti bilaterali con le altre capitali. L’omologo svizzero lo ha inseguito tutto l’inverno per parlare di transfrontalieri. Di questo, come di tutto il resto, se ne è occupato l’ex di turno, Enzo Moavero.
La scrivania vuota al ministero (senza portafoglio) per gli Affari europei è uno scarabocchio istituzionale che costituisce qualcosa di più di una banale mancanza. È una scelta che ribadisce la disattenzione con cui l’Italia sta amministrando il legame con l’Europa. Essa conferma la perniciosa vocazione del governo Conte ad essere laterale – se non quando corre contromano –, nel rapporto coi partner di Bruxelles. Un club, questo, dove raramente chi negozia con arte e determinazione esce sconfitto. L’Europa, secondo un luogo comune ben consolidato, è una comunità fondata sul compromesso.
Ci sono ministri che preparano le riunioni a palazzo Justus Lipsius con cura, olandesi, spagnoli, danesi caparbi che arrivano in sala conoscendo a memoria il provvedimento da discutere e il suo contrario, quello che magari vorrebbero per i loro cittadini. Ci sono altri – vedi Salvini che ha saltato cinque ministeriali su sei da che è ministro (e l’unica volta che è andato a Lussemburgo ha violato il patto di riservatezza della discussione in Consiglio) – che non giocano la partita, perché non credono al sistema, o perché trovano più utile titillare il consenso bastonando l’idea di Europa, piuttosto che cercare di spuntare un’intesa che assomigli almeno al rispetto di esigenze e diritti delle famiglie.
Bisogna esserci, per contare. E non è solo questo. Il titolare degli Affari europei è anche il caposquadra degli italiani impegnati nelle istituzioni comunitarie: deve valorizzarli e coordinarli laddove giusto e possibile. Gli altri governi lo fanno avidamente, si curano dei loro, li incontrano, li ascoltano. Li aiutano a districarsi nelle regole del complesso Cencelli europeo basato su nazionalità, background e genere. Anche se giurano fedeltà e indipendenza, sono rari i casi di dirigenti tedeschi o francesi (per esempio) che non diano una mano al loro governo. Nonostante il lavoro del team Gentiloni, nella piramide del potere bruxellese ai piani alti gli italiani sono sottodimensionati.
Urge che l’Italia metta uno bravo (o una brava) nel posto che apparteneva a Savona. Uno/una che conosca l’Europa e parli le lingue, che sia persino disposto/a al sacrificio di mangiare le cozze con le frites! Uno/una che vada nei palazzi comunitari a sentir le idee dei connazionali che lavorano lassù (nella Commissione i nostri sono quasi il doppio dei tedeschi, ma contano meno) e difenda le istanze dei cittadini che invitano l’Italia e l’Ue a far di più per loro. Uno/una che parta per negoziare, non per frenare. Sarebbe bene che si decidesse subito. Si può essere pro o contro i modi e i tempi dell’integrazione continentale. Ma l’assenza, mentre gli altri decidono, proprio non conviene. Perché andranno avanti senza di noi, lasciandoci isolati a maledire l’euro, il fulmine e la pioggia.
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