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La Repubblica Rassegna Stampa
02.03.2019 Algeria: la testimonianza coraggiosa di Kamel Daoud
Nell'intervista di Gabriella Colarusso

Testata: La Repubblica
Data: 02 marzo 2019
Pagina: 12
Autore: Gabriella Colarusso
Titolo: «Kamel Daoud: la violenza non fermerà l'Ageria, ormai la paura è finita»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/03/2019, a pag.12, con il titolo "Kamel Daoud: la violenza non fermerà l'Ageria, ormai la paura è finita" l'intervista di gabriella Colarusso a Kamel Daoud.

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                                                             Gabriella Colarusso

Lo scrittore Kamel Daoud, 48 anni, giornalista e scrittore algerino, vincitore del Prix Goncourt 2015,e autore di Le mie indipendenze (edito in Italia da La Nave di Teseo)

Gli intellettuali islamici, in genere esuli in Europa e che ragionano con la loro testa, non godono di particolare stima dai nostri media: Kamel Daoud, che oltre a tutto vive coraggiosamente in Algeria, meno degli altri. Per questo l'intervista di Gabriella Colarusso è doppiamente importante, visto il tono altrettando innovativo delle domande. Il richiamo ai Fratelli Musulmani - calcolando che l'islam in Italia è governato da loro - proprio su Repubblica, desta una piacevole sorpresa.

Ecco l'intervista:

«Il muro della paura è stato finalmente infranto e gli algerini non indietreggeranno, neanche davanti alla violenza della repressione», dice al telefono Kamel Daoud, raggiunto a Orano nel corso della manifestazione di ieri contro il presidente Abdelaziz Boutlefika. Giornalista e scrittore, vincitore del prestigioso Prix Goncourt francese nel 2015 con il primo romanzo II caso Meursault, è autore di Le mie indipendenze (ed. La nave di Teseo). Dice: «La gente è stata troppo a lungo terrorizzata dal regime. Bastava criticare Bouteflika su Facebook per finire in prigione e scontare una pena di sei mesi. In questo momento mi trovo in mezzo a una folla composta da migliaia di giovani, molti dei quali attivi sui social, che urlano il loro disprezzo per chi ci ha oppresso con tanta ferocia».
Ma chi è che manifesta, gli intellettuali o le classi più popolari? «L i sono tutti nelle piazze algerine. Vedo intorno a me esponenti della classe media, ma anche tante donne e tanti studenti. È l'intero Paese che si sta ribellando contro il presidente».
Ma com'è possibile che Bouteflika, un uomo gravemente malato di 81 anni, si ricandidi per la quinta volta?
«È per colpa di quella che chiamiamo la "generazione politica della decolonizzazione", che è composta da oligarchi che hanno a lungo approfittato delle risorse del Paese e che non vuole lasciare il potere. Tutto ciò è aggravato da un fattore demografico: oggi 1170% degli algerini ha meno di 35 anni mentre la maggior parte degli esponenti dell'élite ha più di 75 anni».
E quindi? «La popolazione non ne può più di questa classe politica, perché chi ci governa ha sfruttato in modo eccessivo la memoria coloniale. I giovani esigono altre risposte, e non vogliono più sentirsi dire che tutti i mali che affliggono la nostra società sono dovuti ai disastri compiuti durante l'era coloniale».
Eppure contro Bouteflika è scesa in piazza anche l'ottantaquattrenne Djamila Bouhired, eroina della guerra d'indipendenza algerina contro i francesi, di cui Gillo Pontecorvo raccontò le gesta nel film "La Battaglia di Algeri".
«È una delle poche donne che hanno partecipato alla lotta di liberazione e che in seguito è sempre rimasta al di fuori dell'apparato politico algerino. La sua presenza in piazza è un atto altamente simbolico. È infatti molto importante che le nuove generazioni non cancellino la nostra storia. La presenza di Bouhired può aiutarci a non uccidere il nostro padre politico, ma piuttosto a seppellirlo con dignità per poter finalmente pensare al futuro».
Se dovesse trionfare la rivolta, esiste il rischio che gli islamisti possano prima o poi accaparrarsi della vittoria popolare, come hanno fatto in Egitto i Fratelli musulmani dopo piazza Tahrir?
«No, perché siamo appena usciti da una lunga guerra civile che ha insanguinato il Paese e che ha visto contrapposti l'esercito e gli islamisti, con in mezzo i civili che hanno pagato il prezzo più alto. Ora, gli slogan che vengono scanditi intorno a me dicono tutti la stessa cosa: "Non vogliamo né un Califfato né una dittatura militare".
Nella memoria degli algerini ci sono ancora troppi morti perché questo rischio esista». Come risponde il governo alle richieste della piazza?
«Il governo è nel panico. E sta reagendo con la censura delle tv nazionali che non hanno il diritto (I c ü ffondere le immagini delle manifestazioni, con la chiusura di Internet e con la repressione. Sono persone che negli anni si sono troppo arricchite e che non hanno vie d'uscita. Opteranno senz'altro per la violenza».
Con un prossimo bagno di sangue?
«Sì, se a calmare le acque non interverranno i giovani ufficiali dell'esercito».
Le autorità hanno paventato lo scenario di una nuova Siria. Le sembra verosimile?
«E'un ricatto che dura da vent'anni. Ogni volta che c'è una protesta o che qualcuno scende in piazza ci dicono che c'è il rischio di finire nel caos. Ma non funziona più».
Gli algerini non arretreranno?
«Non credo. Boutefiika e il suo clan entro domenica depositeranno la sua candidatura mentre continuano a negare le proteste. Negli ultimi vent'anni il presidente ha creato il vuoto intorno a sé. Non c'è nessun altro possibile candidato. Neanche nelle fila dell'opposizione, che ha egli stesso frantumato».

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