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La Stampa Rassegna Stampa
01.03.2019 Accordo Usa-Corea, Donald Trump: 'Prima Kim deve smantellare gli impianti nucleari'
Due servizi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 01 marzo 2019
Pagina: 10
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump fa saltare il tavolo con Kim: 'Devi smantellare tutti gli impianti' - Reattori, basi e fabbriche di missili. La mappa segreta dell’atomica coreana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/03/2019, a pag. 10-11 con i titoli "Trump fa saltare il tavolo con Kim: 'Devi smantellare tutti gli impianti' ", "Reattori, basi e fabbriche di missili. La mappa segreta dell’atomica coreana" due servizi di Paolo Mastrolilli.

Ecco gli articoli:

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Paolo Mastrolilli

"Trump fa saltare il tavolo con Kim: 'Devi smantellare tutti gli impianti' "

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Donald Trump, Kim Jong-un

La dichiarazione per l’accordo congiunto era già scritta, e i camerieri dell’hotel Metropole stavano apparecchiando la tavola per il pranzo di lavoro tra i presidenti Trump e Kim, quando l’ufficio stampa della Casa Bianca ha improvvisamente annunciato che c’era stato un cambiamento di programma. Poco a poco, i dettagli sono emersi: niente pranzo, niente dichiarazione, e conferenza stampa anticipata di due ore.
Così è fallito il vertice che doveva avvicinare Donald al premio Nobel per la pace, e soprattutto togliere dalla testa della comunità internazionale la spada di un possibile conflitto nucleare. Poco dopo il capo della Casa Banca ha spiegato che la colpa è stata delle sanzioni economiche, perché Kim aveva chiesto di eliminarle, senza però impegnarsi a distruggere anche i siti segreti del suo programma nucleare. Trump ha detto che il dialogo continua, ma non si è impegnato a tenere un terzo vertice, e i critici hanno subito sottolineato che la sua improvvisazione mette ora a rischio la stabilità internazionale.
La giornata era cominciata sotto la stella dell’ottimismo, dopo i convenevoli di mercoledì sera, con il leader nordcoreano che iniziando il vertice aveva accettato forse per la prima volta nella sua vita di rispondere alle domande dei giornalisti stranieri. È disposto - gli avevano chiesto i colleghi del pool della Casa Bianca - a denuclearizzare il suo Paese? «Se non lo fossi, non sarei qui». State discutendo anche dei diritti umani? «Parliamo di tutto», si era intromesso Trump. È pronto a scambiare l’apertura di rappresentanze diplomatiche a Washington e Pyongyang? «Sarebbe un’iniziativa benvenuta», aveva risposto Kim, nonostante i suoi assistenti stessero cercando di allontanare i reporter dalla stanza. Tutto, insomma, sembrava preparare la firma dell’accordo, che il programma della Casa Bianca aveva già previsto e annunciato per le due del pomeriggio. Invece niente.
Poco dopo, in conferenza stampa, Trump ha spiegato così il motivo: «Sono state le sanzioni. Kim voleva la totale eliminazione, ma quando gli abbiamo domandato di fare un passo ulteriore, si è fermato». I nordcoreani smentiscono: «Non abbiamo proposto la rimozione di tutte le sanzioni, ma solo parziale - ha detto il ministro degli Esteri Ri Yong Ho -. Se gli Usa le rimuovono parzialmente, smantelleremo definitivamente tutte le strutture di produzione nucleare nell’area di Yongbyon». Fonti informate dicono che il presidente aveva chiesto al suo interlocutore di distruggere non solo il centro nucleare di Yongbyon, ma anche gli altri reattori segreti, e il leader nordcoreano si è rifiutato di prendere impegni. «Potevo firmare l’accordo, però a quel punto abbiamo pensato che non fosse più opportuno. Certe volte devi essere pronto ad alzarti dal tavolo». Il capo della Casa Bianca ha detto che non è stata una rottura traumatica: «Il dialogo prosegue». Come era accaduto con Putin, Trump ha anche creduto alle scuse di Kim per la morte dello studente americano Otto Warmbier, di cui secondo lui non era informato. Però l’appuntamento per il terzo vertice non c’è, e Donald ha detto che «servirà un po’ di tempo prima di arrivarci».
I critici del presidente, come Richard Haass del Council on Foreign Relations, hanno subito sottolineato che le relazioni internazionali non funzionano così: «Il negoziato andava preparato meglio, chiarendo gli obiettivi prima di impegnare il leader». La smania di Trump per ottenere un risultato storico ha spinto Kim a forzare la sua mano. Forse dietro le quinte ha frenato anche la Cina, che non voleva concedere questo successo al capo della Casa Bianca, mentre sta negoziando con lui un accordo commerciale vitale. Il pericolo però è che questo fallimento rilanci i falchi, da entrambe le parti, riaprendo la porta al rischio di uno scontro militare.

"Reattori, basi e fabbriche di missili. La mappa segreta dell’atomica coreana"

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In sostanza, il vertice di Hanoi è fallito perché Kim ha provato a fare il furbo. Secondo fonti ben informate, l’Intelligence americana ha individuato almeno due siti segreti, forse tre, dove la Corea del Nord produce materiali fissili utilizzabili per la costruzione di bombe atomiche. Quando Trump ha detto che li conosceva, e ha chiesto di chiuderli, il leader di Pyongyang è rimasto sorpreso e ha frenato. A quel punto è apparso chiaro che non era sinceramente pronto alla denuclearizzazione completa e verificabile del suo Paese, rendendo impossibile un accordo che portasse alla fine delle sanzioni economiche. Questo naturalmente non assolve il capo della Casa Bianca dai dubbi sul modo in cui ha preparato il vertice, basandolo sul buon rapporto personale costruito con Kim, ma dimostra che le preoccupazioni degli scettici sono fondate, e allontana la soluzione della crisi.
Il programma nucleare ufficiale di Pyongyang è noto da anni, e secondo le stime dell’Intelligence americana e internazionale ha portato alla costruzione di un numero di testate comprese fra 30 e 65. Il reattore di Yongbyon, centro originario delle operazioni che Kim si era detto disponibile a chiudere, si trova a circa 100 chilometri a Nord della capitale e produce circa 6 chili di plutonio all’anno, sufficienti alla costruzione di due bombe. Ciò che finora non è stato mai dichiarato, però, sarebbe assai più pericoloso. Fino al doppio, in termini di materiali utili a realizzare testate atomiche.
Già l’anno scorso, grosso modo in corrispondenza con il vertice di Singapore, il Center for Nonproliferation Studies del Middlebury Institute guidato da Jeffrey Lewis, ma anche David Albright dell’Institute for Science and International Security, avevano lanciato l’allarme per il sito di Kangson. Questa struttura si trova nella zona industriale di Chollima, vicina alla fabbrica di missili di Chamjin e a soli cinque chilometri da Pyongyang, nel quartiere di Mangyongdae dove era nato Kim Il-sung, fondatore della Corea del Nord e nonno dell’attuale leader. È costituita da un edificio unico lungo 50 metri e largo 110, che conterrebbe centrifughe capaci di produrre l’uranio-235, ossia quello arricchito utilizzabile per le bombe. La vicinanza all’autostrada che collega Pyungyang alla città portuale di Nampo, e alla fabbrica di missili di Chamjin, rende Kangson una località molto comoda, oltre che altamente simbolica. Secondo alcune stime, potrebbe avere una capacità produttiva doppia rispetto a quella di Yongbyon.
Grosso modo nello stesso periodo, il Center for International Security and Cooperation della Stanford University, la Jane’s Intelligence Review e il New York Times, avevano denunciato la costruzione di un nuovo reattore vicino a quello di Yongbyon, con la potenzialità di generare tra 25 e 30 megawatt di elettricità, cioè abbastanza per alimentare una piccola città. Secondo l’Institute for Science and International Security di Washington, questa struttura potrebbe produrre anche 20 chili di plutonio all’anno, ossia più del doppio di quella originaria. Fonti di intelligence sostengono che esiste anche un terzo impianto segreto, non così specificato, che serve allo stesso scopo.
Non è chiaro a quale di queste strutture si sia riferito Trump, ma il presidente ha ammesso pubblicamente di aver sollevato la questione durante i colloqui con Kim. Secondo il capo della Casa Bianca, il suo interlocutore «è rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che conosciamo così bene il suo Paese», ma non se l’è sentita di fare promesse. Così ha dimostrato che non era pienamente sincero, quando aveva detto di essere pronto a denuclearizzare. Non solo perché non si è impegnato a distruggere questi impianti, ma anche perché se nel corso degli anni ha realizzato strutture segrete, non è detto che non torni a farlo dopo aver ottenuto la fine delle sanzioni attraverso l’accordo. Forse Trump è stato ingenuo ad accettare di venire ad Hanoi, senza aver prima chiarito le vere intenzioni di Kim, oppure questa era fin dal principio la sua strategia negoziale. Ora però per riprendere il dialogo, e non tornare alla tensioni che avevano portato sull’orlo dello scontro militare, servirà una svolta che includa anche i programmi segreti di riarmo.

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