Il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Nella guerra di potere in Iran Rohani blinda l’alleato Zarif"
Giordano Stabile
Il presidente Hassan Rohani respinge le dimissioni del ministro degli Esteri Jawad Zarif e ribadisce la sua fiducia nella politica di collaborazione con gli europei. L’annuncio è arrivato nel pomeriggio di ieri, dopo una giornata ad alta tensione che ha visto le due anime del regime iraniano, riformista e oltranzista, scontrarsi senza esclusioni di colpi. È una battaglia su due fronti. Quello del mantenimento dell’accordo sul nucleare in cooperazione con l’Unione europea e nonostante l’uscita degli Stati Uniti. E quello per rimanere nel mercato finanziario internazionale, a costo di approvare una norma contro il finanziamento al terrorismo che irrita i conservatori perché potrebbe ostacolare l’afflusso di denaro alle milizie sciite nella regione.
Lo scontro è cominciato nella serata di lunedì, quando Zarif sul suo account Instagram, il social media più popolare in Iran, ha annunciato le dimissioni: «Mi scuso per le mie mancanze, non sono in grado di continuare». Si era appena concluso un vertice fra la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente siriano Bashar al-Assad, con la partecipazione del consigliere Ali Akbar Velayati, «ministro degli Esteri ombra» degli ayatollah, e il comandante delle forze speciali dei Pasdaran Qassem Suleimani.L’esclusione di Zarif era sembrata il preludio al suo siluramento e al rilancio dell’Asse della Resistenza vittorioso in Siria e pronto a sfidare l’America a tutto campo. Ma quella di Zarif non era una resa.
Mentre già i conservatori chiedevano un divieto all’espatrio, per evitare «che l’amico dell’Occidente» fuggisse in Europa, ieri mattina è apparsa sul quotidiano «Jomhuri Eslami» una intervista al vetriolo del ministro dimissionario che denunciava «il veleno mortale delle fazioni» e l’impossibilità di «formulare una politica estera coerente». Il contrattacco del tandem riformista si completava con un intervento di Rohani alla radio, in difesa di Zarif, mentre centinaia di parlamentari firmavano una lettera per sostenerlo. Poco dopo Rohani interveniva all’assemblea annuale della Banca centrale iraniana per ribadire la necessità di approvare le norme di contrasto al finanziamento del terrorismo, come chiesto del Gruppo d’Azione finanziaria internazionale (Gafi). «Se tagliamo i rapporti con il Gafi avremo problemi enormi», avvertiva.
È chiaro che adesso il braccio di ferro verte su questa norma, già approvata dal Parlamento ma che deve passare il vaglio del Consiglio dei guardiani, l’organo giuridico incaricato di giudicare gli atti legislativi. Alla riunione di Parigi della scorsa settimana il Gafi ha concesso tempo fino a giugno. Rohani e Zarif temono una bocciatura da parte del Consiglio. Sarebbe il siluro definitivo ai loro sforzi di restare nell’accordo nucleare con l’aiuto dell’Europa. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno approvato il 31 gennaio l’Instex, un veicolo finanziario che permette di aggirare in parte le sanzioni americane. Ancora non basta e proprio Zarif, alla Conferenza di Monaco, ha avvertito che «i riformisti potrebbero essere messi in minoranza» se dalla Ue non arriva un aiuto concreto all’economia.
Un discorso che è stato interpretato come una richiesta di aiuto. Ma gli alleati europei possono fare poco se Teheran non approva le norme del Gafi. Il colpo di scena delle dimissioni, e la fiducia ribadita da Rohani al suo ministro, possono quindi essere viste come una manovra per costringere l’Europa ad accelerare e gli oltranzisti a cedere. I falchi puntavano a sostituire Zarif con Ali Larijani, un ex Pasdaran. Per ora dovranno aspettare. La parola definitiva, salvo colpi di scena, arriverà dalle elezioni parlamentari del 2020.
IL FOGLIO - Paola Peduzzi: " tormenti di Zarif, ministro ammaliatore d’Iran, e le sue dimissioni non accettate"
Paola Peduzzi definisce "una colomba" il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, che ha firmato nel 2015 il trattato sul nucleare voluto da Obama e dall'Europa. Ha invece ragione Benjamin Netanyahu, secondo cui Zarif, travestito da "colomba" per convincere gli interlocutori occidentali ma allineato in realtà pienamente con il regime teocratico degli ayatollah, è più dannoso di un estremista confesso. La seconda parte dell'articolo, invece, descrive bene la disastrosa situazione economica in cui versa l'Iran a causa - come Peduzzi sottolinea - degli enormi fondi spesi per finanziare terrorismo e guerre in tutto il Medio Oriente e non solo.
Ecco l'articolo:
Paola Peduzzi
Milano. Javad Zarif ha rassegnato le sue dimissioni dal ministero degli Esteri dell’Iran, con un messaggio su Instagram, lui che maneggia i social con piglio da occidentale, molto secco: scusate per gli errori, grazie per la collaborazione, arrivederci. Le dimissioni non sono state ancora accettate dal presidente Hassan Rohani, che anzi ha difeso ieri il ministro e il suo operato – le sue dichiarazioni sono state lette come un endorsement a Zarif – mentre 150 parlamentari gli hanno consegnato una lettera in cui gli chiedevano di non far andare via Zarif, che è considerato una garanzia sul tormentato fronte internazionale, l’unica speranza di tenere in vita quel processo di apertura che è stato avviato con l’accordo sul programma nucleare siglato nel 2015. E’ la solita dialettica tra colombe e falchi d’Iran, che tiene banco da sempre, con gli esperti che dicono che di colombe non ne esistono, nella Repubblica islamica, semmai ci sono falchi e falchissimi. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha confermato questa visione ieri festeggiando la dipartita di Zarif: un gran sollievo, ha commentato. Perché la colomba che ha ammaliato la diplomazia internazionale, secondo Netanyahu e secondo la durissima Amministrazione Trump, è quasi peggio dei falchi, all’ombra del suo bluff, l’Iran può armarsi di nascosto. C’è sempre il rischio di illudersi con la leadership iraniana, ma secondo le ricostruzioni la motivazione delle dimissioni inattese e repentine di Zarif ha a che fare con l’orgoglio da ministro ma anche con uno scontro con i falchi del regime. I quali lunedì hanno accolto in pompa magna il rais siriano Bashar el Assad fornendo rassicurazioni sul suo futuro, e non hanno nemmeno avvertito Zarif dell’incontro. Un dispetto inaccettabile che si colloca dentro una ferita aperta in Iran: finanziare la guerra in Siria per tenere in piedi il regime di Assad ha un costo molto alto, in termini assoluti e in termini politici. Quel processo di redistribuzione della ricchezza che era alla base della sospensione delle sanzioni all’interno dell’accordo sul nucleare – il cui senso era: diamo una chance al popolo iraniano, o così almeno si sperava – non si è realizzato: i dati economici dell’Iran sono disastrosi, gli introiti dei nuovi contratti internazionali non finiscono agli iraniani ma a sostenere le campagne espansionistiche all’estero, dalla Siria allo Yemen e negli altri paesi della regione. Nelle proteste che ogni tanto riescono a superare la paura della repressione, la questione siriana è sempre presente: perché spendete i soldi che ci servirebbero a comprare il riso e il pollo per tenere su Assad?, chiedono i manifestanti. Ecco, i falchi a Teheran – che non vogliono più sentir parlare di quell’accordo maledetto che quando era stato siglato era, secondo loro, una resa al Grande Satana e che ora è una umiliazione, visto che gli americani l’hanno stracciato e gli europei non sanno come tenerlo in piedi – considerano Assad indispensabile per difendere i propri interessi. Non che Zarif sia contrario al regime siriano, anzi, ma teme che questo neoisolamento vanifichi anni di negoziati e la poca credibilità residua dell’Iran. Soprattutto: voleva esserci, all’incontro con Assad, dal momento che il giorno prima della visita si era scontrato con i falchi, ribadendo una sua nota teoria: “Indipendenza non vuol dire isolazionismo”. Invece al suo posto c’era l’onnipresente generale Qassem Suleimani, regista dell’espansionismo iraniano all’estero e di cui si vocifera ormai da tempo di una probabile candidatura. Zarif dice che non c’è nulla di personale nella sua decisione, è che se non si rispetta il ministero degli Esteri vuol dire che non si ha a cuore la sicurezza dell’Iran. Punti di vista, come tutto quel che riguarda questo paese che vorrebbe reagire duramente all’umiliazione trumpiana eppur non si capacita del perché Trump è tanto conciliante con i nordcoreani o peggio ancora con i sauditi e così intollerante con gli ayatollah.
Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/ 65681
Il Foglio: 06/ 5890901
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti