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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L’Arabia Saudita accetta l’ 'Altro' : è un cambiamento? 23/02/2019

L’Arabia Saudita accetta l’ 'Altro' : è un cambiamento?
Analisi di Mordechai Kedar


(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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 La cultura tribale, alla base della sociologia mediorientale, vede l'”Altro” come qualcuno che appartiene ad un'altra famiglia, tribù o gruppo etnico. Ciò lo rende un nemico, che deve essere evitato , o che va combattuto, nel peggiore dei casi. 
Da qui nasce la tendenza in Medio Oriente ad usare la violenza per risolvere i conflitti. L'Islam è venuto al mondo per creare un'alternativa alla cultura tribale e per dare ai credenti una base condivisa per collegare i vari gruppi di convertiti e trasformarli in un'unica nazione unita. 
Tuttavia, per enfatizzare la sua unicità, l'Islam tratta l'”Altro” come un eretico e un adoratore di idoli, qualcuno che è l'oggetto dell'ira di Allah (leggi gli ebrei) o qualcuno che si è allontanato dalla retta via (leggi i cristiani). Di conseguenza, l'Islam non solo non è riuscito a risolvere il problema dell'odio tribale nei confronti dell’ “Altro”, ma lo ha esacerbato e intensificato con l'odio come base della religione per i non musulmani. 
Oggi, gli sforzi sauditi per sopravvivere al pericolo iraniano, stanno portando il paese a sviluppare relazioni con americani e israeliani, posizioni coraggiose per sviluppare nuove relazioni con paesi”diversi”, sia per l’aspetto religioso che per quello tribale. 
Tutto questo suona come una minaccia per coloro che non hanno ancora superato il modo di pensare che si basa sull’ostilità verso l’ “Altro”, come dimostra un articolo socio-religioso pubblicato di recente da uno scrittore saudita, Sultan Al Bazai.

 Ecco l''intero articolo:

Possiamo accettare l’ “Altro”? I commenti sulla visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti sono stati illuminanti sul modo in cui alcuni musulmani considerano l’ “Altro” e il “diverso”. Il modo in cui viene visto l’ “Altro” è caratterizzato da molte contraddizioni ed è spesso avulso dalla realtà. Il peggio in molti casi è che alcuni di noi distorcono i fatti, mentono o credono che si possa mentire per rafforzare il proprio punto di vista e respingerne altri. 
È importante sottolineare che questo si riferisce solo ad una parte di noi, perché la maggioranza silenziosa non è necessariamente d'accordo con coloro che hanno riempito di proteste i tradizionali social network contro questa visita, dando origine a ogni genere di vecchi e nuovi problemi, con un linguaggio che fa temere che l'Islam sia in pericolo imminente e che non ci sia altra scelta che dichiarare la Jihad per proteggerlo. 
Alcuni fatti vanno evidenziati prima di dare inizio a ogni analisi. 
Il primo fatto essenziale è che l'Islam è una fede molto rigida: non è influenzata né dal contatto né dal dialogo con nessun altro gruppo religioso, sebbene “alcuni di noi” sospettino che un musulmano, di fronte a una croce, si possa convertire immediatamente al cristianesimo e probabilmente lo farebbe con maggiori ragioni, se visitasse una chiesa o dialogasse con un cristiano osservante. La verità è che in quei pochi, rari casi, in cui un musulmano ha abbandonato l'Islam e ha aderito ad un'altra religione, un attento esame rivelerà che quella persona soffre di una qualche patologia legata ai suoi processi mentali; chiunque conosca la semplicità con cui l'Islam rappresenta la relazione tra l'uomo e il suo Creatore, troverebbe difficoltà nel lasciarsi convincere dalla complessità delle altre religioni. 
Il secondo fatto è che attualmente i musulmani sono in una posizione culturale debole: perchè i loro bisogni essenziali dipendono ancora da “Altri”, occidentali, cristiani ed ebrei, così come dagli “Altri” in oriente, buddisti e shintoisti, a partire dai costumi ai farmaci che usano, fino ai telefoni cellulari; tutto questo significa che continueranno a richiedere e acquistare conoscenze dagli “Altri” per lunghi decenni, proprio da coloro che non rispettano e con cui evitano qualsiasi dialogo.
Il terzo fatto è quello più importante per noi oggi: l'Islam è davvero una religione di tolleranza, di dialogo e del ‘vivi e lascia vivere’?  Se solo quel gruppo di musulmani leggesse la vita del nostro venerato Profeta con la coscienza pulita -la pace e le preghiere siano su di lui - si renderebbero conto che riconoscendo l'”Altro” e rispettando i principi fondamentali della convivenza, conquisterebbero con la simpatia il cuore (degli altri) e riuscirebbero a diffondere con successo il messaggio dell'Islam. Il quarto fatto che va sottolineato, è che il dialogo con l’ "Altro" non deve sfociare necessariamente nella prevaricazione dell’uno sull’altro, e che anche se il dialogo si svolgesse su questa base, l'Islam ha una forza di logica e razionalità tale da far oscillare il pendolo a proprio favore, a condizione che la persona che prende parte al dialogo sia esperta dei princìpi della legge islamica. 
Se il dialogo nella realtà si basa sul potere della logica e della razionalità- che rafforzano la vita di tutta l'umanità - questo metterebbe fine ai sospetti e alla rabbia attraverso cui il mondo vede i musulmani, a causa del comportamento negativo di alcuni di loro. 
Pertanto, la mossa intelligente, il minimo che un credente deve fare, è aprire canali di comunicazione con la chiesa cattolica che ha 1,2 miliardi di fedeli in tutto il mondo e con le religioni che hanno più influenza, ma soprattutto con il Vaticano - perché il Papa , come capo della Chiesa cattolica, ha una autorità spirituale su di loro nonostante la diffusione dell'ateismo e del secolarismo. 
La monarchia saudita iniziò a credere che il dialogo con il Vaticano fosse importante, nel 1972, quando il defunto re Faysal accettò di consentire al Vaticano di partecipare, sollecitato da diversi intellettuali europei, ad una discussione con i suoi dotti studiosi di religione sulla legge della Shari’a e i diritti umani. Quell'anno, a marzo, si tenne un seminario a Riyad con la partecipazione di un folto gruppo di studiosi islamici, tra cui Mahmad Alkracan. Il seminario si concluse con una dichiarazione del capo della delegazione europea Mac Bride, che dichiarò: "Da qui, e da questo stato islamico, dobbiamo annunciare l'esistenza di diritti umani, non da altri Stati, perché sono gli studiosi islamici che devono annunciare questi fatti al mondo intero perché ignorandolo, i nemici dell'Islam e dei musulmani sono portati a parlar male dell'Islam, dei musulmani e della legge musulmana ". 
Nel 1974, re Faysal ricevette, inviata da Papa Paolo VI, una lettera che conteneva un invito per i ricercatori sauditi a visitare il Vaticano. Questa visita ebbe effettivamente luogo, e lo sceicco Mahmed Alkracan, allora Ministro della Giustizia, ne fu a capo e incontrò il Papa e il Consiglio Mondiale delle Chiese. È inutile dire che re Abdullah bin Abdulaziz fu l'iniziatore del dialogo interreligioso, e il primo re saudita a visitare il Vaticano e incontrare papa Benedetto XVI. Questo e la conferenza che ha diretto a Madrid, hanno portato alla creazione di un'Organizzazione Internazionale per il Dialogo con sede a Vienna. L'anno scorso, il re Salman ha dato il benvenuto al Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran, che ha visitato il regno con un invito speciale, e una delegazione saudita di alto livello ha visitato il Vaticano nel 2017 e ha presentato una lettera di apprezzamento del regno saudita al Papa, per le sue posizioni che chiedono pace e convivenza e che rifiutano il legame tra religione e terrorismo. 
Stranamente, continuiamo a ripetere le parole "tolleranza islamica", ma siamo pronti davanti alla prima difficoltà ad intervenire nei confronti di questa tolleranza. 
Un imam ha anche diffuso in diretta TV una presa di posizione giuridica, annunciando che chiunque invoca un dialogo con cristiani o ebrei é un "malvagio su questa terra"; ha poi continuato dicendo che gli ebrei e le religioni cristiane sono religioni contraffatte, vicine all'idolatria. Non bisogna accostarsi a loro perché sarebbe visto come riconoscimento degli insegnamenti di quelle religioni, mentre la realtà è lontana da tutto ciò.

Ecco quanto è scritto nell'articolo di Saltan Al Bazai, pubblicato sul sito web del quotidiano Al Hayat con sede a Londra. Commenta la storia delle relazioni saudite con il mondo cristiano come prova che i governanti sauditi hanno cercato di far progredire l'idea del dialogo con l’"Altro", ma dimentica o non sa, che è l'Islam wahabita, a cui appartiene l'Arabia Saudita, a sviluppare l'idea del mantenimento di una grande distanza da ogni contatto con il cristiano “Altro” per impedire di contaminare i figli e le figlie dell'Islam. Tra le righe dell’articolo di Al Bazai, si possono intravedere allusioni ai legami che l'Arabia Saudita ha con Israele, legami che giudica come uno sviluppo positivo. I sauditi temono talmente l’Iran che per affrontare questa minaccia si sono avvicinati a Israele, un paese che ha buoni motivi per essere preoccupato dalla politica aggressiva dei mullah.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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