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La Repubblica Rassegna Stampa
21.02.2019 Un articolo su Israele che comincia bene... e continua malissimo, accusando lo Stato ebraico di ogni crimine
E' quello di Bernardo Valli, che segue le dichiarazioni di Gideon Levy

Testata: La Repubblica
Data: 21 febbraio 2019
Pagina: 15
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «Lo storico e il giornalista la battaglia per l’anima di Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/02/2019, a pag. 15, con il titolo "Lo storico e il giornalista la battaglia per l’anima di Israele", il commento di Bernardo Valli.

Bernardo Valli comincia bene l'articolo, sottolineando la natura democratica di Israele - unico Paese del Medio Oriente - e il quotidiano dibattito che coinvolge i cittadini israeliani senza alcuna discriminazione. E' il ritratto di un "Paese unico al mondo, sicuro di sé, ma sensibile per le tante cicatrici. Una società che sa guardarsi senza infingimenti, con un dibattito politico animato".  Scritto su Repubblica!!... ma c'è un seguito...

La seconda metà del pezzo, invece, è di disinformazione a 360 gradi contro Israele, seguendo alla lettera le dichiarazioni di un giornalista screditato come Gideon Levy. Per esempio, a proposito dgli arabi palestinesi Valli scrive: "Da più di cinquant’anni le ispezioni notturne gettano fuori dai loro letti anche i bambini. In quale altro Paese democratico ci sono milioni di persone senza cittadinanza?". Come se non fosse abbastanza, Valli aggiunge che la "legge della nazione" israeliana rende i cittadini arabi "una classe inferiore", ma non si perita di argomentare questa posizione che demonizza lo Stato ebraico. Ignobile.

Ecco il pezzo:

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Bernardo Valli

 

Molte famiglie, in Israele, hanno alle spalle un romanzo. Una vita avventurosa. Spesso tragica. Risali un paio di generazioni, o anche meno, nell’esistenza di amici o conoscenti e li scopri fratelli, figli, nipoti di vittime dello sterminio. Sono ormai rari gli scampati dai campi della morte. Ci sono anziani sradicati dai Paesi d’origine e giovani che non conoscono le terre da cui sono arrivati genitori o nonni. I temperamenti sono passionali. L’ansia dell’insicurezza è l’inconscia origine di posizioni difensive, ma anche di reazioni offensive. Ed ecco il sabra, l’israeliano nato in Israele, soldato sicuro di sé, al quale Natalia Ginzburg preferiva il curvo abitante del ghetto, scandalizzando i suoi lettori di Tel Aviv. La letteratura e la storiografia israeliane percorrono questi sentimenti in opere tra le più avvincenti del nostro tempo, scritte in ebraico, una lingua antica rinnovata. Convinzioni, altrettanto antiche, animano una società tra le più tecnologicamente avanzate. Le contraddizioni non mancano: una democrazia dinamica, spigliata, la sola della regione, occupa militarmente terre in cui gli abitanti non hanno i diritti dei cittadini di Israele. Questo è un filtro attraverso il quale seguire questo Paese unico al mondo, sicuro di sé, ma sensibile per le tante cicatrici.

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Benny Morris

Una società che sa guardarsi senza infingimenti, con un dibattito politico animato, a volte spregiudicato, verbalmente violento, come sembra esigere lo stato di emergenza, psicologico, ma anche reale, in cui vive. A neppure due mesi da un’elezione (9 aprile) in larga parte dominata dall’inamovibile problema della sicurezza, uno storico, Benny Morris, e un editorialista del quotidiano Haaretz, Gideon Levy, animano una polemica su un problema essenziale: arabi e israeliani possono convivere e per quanto tempo Israele potrà esistere? E’ un interrogativo che può sollecitare il dubbio tra non pochi elettori. Benny Morris è uno dei “nuovi storici” che non si sono rassegnati alla interpretazione ufficiale del passato, e l’hanno scavato in piena libertà, non risparmiandosi reciproche critiche. Lui, Morris, è stato uno dei bersagli preferiti dai colleghi. Ha avuto atteggiamenti giudicati progressisti quando ha rifiutato di fare il servizio militare nei Territori occupati per motivi morali e per questo è finito in prigione. Ma ha anche preso posizioni opposte quando ha sostenuto che lo Stato di Israele, appena creato, avrebbe dovuto favorire, sollecitare l’esodo totale dei palestinesi. I suoi scritti restano comunque indispensabili per ricostruire quel periodo. Oggi, a settant’anni, professore universitario, Benny Morris pensa (e dice) che col tempo una maggioranza araba sommergerà Israele. Prevede ripetute esplosioni di violenza, tra le popolazioni di diversa origine, grazie alle quali gli arabi saranno nelle condizioni di chiedere il ritorno dei profughi. Così gli ebrei saranno ridotti a una minoranza, come erano quando vivevano nei Paesi musulmani. Chi ne avrà i mezzi raggiungerà l’America o qualche Paese occidentale. Per Benny Morris i palestinesi vedono tutto in una prospettiva di lungo termine. Al momento osservano “cinque-sei-sette milioni di ebrei”, circondati da centinaia di milioni di arabi. “…che tra trenta o cinquant’anni ci sommergeranno”, conclude lo storico.

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Gideon Levy

Gideon Levy, 65 anni, è una delle più efficaci voci critiche israeliane. E’ uno dei protagonisti della permanente polemica politica che rende vitale la democrazia. E’ vero, dice, che fin dall’inizio i palestinesi si sono opposti al sionismo, considerandolo un potere coloniale che ha invaso e occupato il loro Paese. Nella loro prospettiva è la verità. La loro verità. A loro non interessa il diritto alla terra della Bibbia, né la promessa divina, né l’Olocausto. Questo riguarda il passato, dice sempre Gideon Levy; in quanto al presente, Morris trascura il regime militare nei Territori occupati, uno dei più severi e umilianti. Da più di cinquant’anni le ispezioni notturne gettano fuori dai loro letti anche i bambini. In quale altro Paese democratico ci sono milioni di persone senza cittadinanza? Morris prevede negli anni il prevalere della maggioranza musulmana ed è convinto che quel che è già accaduto nel passato altrove si verificherà in Israele nel futuro. Sbaglia. Come storico, gli ricorda Levy, dovrebbe sapere che, più che ripetersi, la storia può essere, al massimo, simile. E’ vero che la democrazia ha scarse speranze di realizzarsi nei Paesi arabi, ma i palestinesi hanno dimostrato di sapersi comportare diversamente. Eleggono il loro Consiglio legislativo, e i palestinesi che sono cittadini israeliani eleggono i loro deputati alla Knesset. Morris è convinto che gli arabi non perdoneranno mai Israele. Levy ribatte che gli ebrei hanno perdonato la Germania per crimini più orribili; i neri negli Stati Uniti e nell’Africa del Sud hanno perdonato i bianchi; Francia e Germania sono diventati alleati dopo la Seconda guerra mondiale. Soltanto i palestinesi non dovrebbero perdonare? Uno storico come Morris dovrebbe sapere che tutto può svolgersi in maniera diversa se Israele assume le sue responsabilità morali e concrete. Esistono già città arabo-israeliane come Haifa e Jaffa. Ed esistono tanti modi per tentare una convivenza. Ma quando si è ultranazionalisti non si trova nulla da discutere con quelli considerati inferiori. E allora si è portati a credere all’apocalisse, conclude Gideon Levy. Quelle di Morris e di Levy sono posizioni opposte ed estreme. Il panorama politico mediorientale è cambiato. Israele non è più isolato. Con i Paesi sunniti, dall’Arabia Saudita all’Egitto, ha un comune nemico: l’Iran sciita degli ayatollah. Benjamin Netanyahu partecipa a riunioni con dirigenti arabi che un tempo chiedevano la fine di Israele. Ma i rapporti al vertice, tra governi, non corrispondono ai sentimenti prevalenti nelle popolazioni. Non contribuiscono alla convivenza né il muro eretto tra Israele e i Territori occupati; né la legge sullo stato-nazione ebraica, approvata in luglio dalla Knesset, che di fatto fa degli arabo-israeliani cittadini di una classe inferiore, nonostante la dichiarazione di indipendenza parli di uguaglianza per tutti i cittadini, senza distinzione etnica o religiosa; né la riduzione della lingua araba, un tempo ufficialmente la seconda, a lingua a status speciale. Né del resto gli incontri tra dirigenti arabi e israeliani, per concertare azioni contro il comune nemico iraniano, hanno cambiato gli umori ostili delle popolazioni arabe. Benny Gantz, l’avversario di Benjamin Netanyahu alle elezioni di primavera, pur auspicando un dialogo con gli arabi, parla di un’ostilità destinata a durare a lungo. Netanyahu non la pensa diversamente. E agisce di conseguenza.

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