Antisemitismo/antisionismo: lo spavento e la nausea
Commento di Michelle Mazel
Traduzione dal francese di Yehudit Weisz
www.jforum.fr/leffarement-et-la-nausee-michele-mazel.html
La violenza dei Gilet gialli
Alla televisione vediamo ripetersi scene che paiono uscite direttamente da un passato e da un'epoca che avremmo voluto cancellati per sempre. Leggiamo i giornali, le dichiarazioni, i commenti. E rimaniamo di sasso. E’ proprio dalla Francia nel 2019 che arrivano queste immagini rivoltanti? Graffiti, svastiche, iscrizioni di un antisemitismo spaventoso, monumenti profanati o danneggiati? Tutto questo in una indifferenza quasi generale? I media evocano "elementi isolati", persino un complotto per insudiciare il movimento dei Gilets Jaunes. Addirittura adesso sono degli uomini, delle donne che vengono insultati, che vengono scherniti come ebrei, sporchi ebrei e peggio. Apertamente, per la strada. Attorno a loro c’è la gente. Molta gente. Sono dei manifestanti, ovviamente, ma anche dei passanti, semplici spettatori. Stanno alle finestre, davanti alle serrande abbassate dei loro negozi. Guardano e tacciono. Ma si vergognano, provano almeno un certo disagio? In ogni caso nessuno si azzarda ad intervenire, a protestare. Alcuni diranno che non sono affari loro, altri che è troppo pericoloso. E i manifestanti? Questi Gilets Jaunes e i loro sostenitori che si recano a Parigi ogni settimana per chiedere maggiore giustizia sociale? Non sono, non possono essere tutti d'accordo, altrimenti non si potrebbe più riporre alcuna speranza in questo movimento, che all’inizio raggruppava persone sincere, mosse da un vero ideale. Eppure nessuno di loro si muove; nessuno di loro protesta che non è quello l’obiettivo della loro lotta. Se uno di loro reagisce, se lo fa per biasimare, allora i visi deformati dall'odio gli rivolgono le stesse urla, gli stessi insulti.
Alain Finkielkraut aggredito dal Gilet giallo già identificato come musulmano
Eppure c’è la polizia, che sente tutto ma non fa niente. A Parigi, un rispettabile filosofo, membro dell'Accademia francese, può essere assalito sotto casa sua da individui che non cercano nemmeno di celare i loro volti. Individui incoraggiati da un branco di teppisti eccitati. E tutto questo nei quartieri, nelle strade dove, se le pietre potessero parlare, evocherebbero altre grida, altri branchi, altre vittime. E l'opinione pubblica, vi chiederete, cosa ne pensa? “Ma tutto questo è oggetto di condanna generale” rispondono in coro le brave persone, con un certo fastidio. “Ascoltate il Presidente, il Primo Ministro, i ministri. Condannano, promettono provvedimenti, assicurano che le sanzioni saranno esemplari”. Prima di aggiungere, sottovoce, che alcune delle vittime se la sono un po’ cercata, ovvero hanno fornito delle “provocazioni”. Lungi dall'attirarsi la simpatia dei loro vicini, dei loro colleghi di lavoro, gli ebrei si sentono isolati, si trovano loro stessi di fronte a riflessioni discutibili. “In passato, avrei ricevuto chiamate o messaggi da amici non ebrei”, mi ha confidato un corrispondente. “Stavolta ... non mi ha cercato nessuno. E ci domandiamo, a chi potremmo rivolgerci per poterci nascondere, se mai ... “ Riflessione agghiacciante da parte di una persona non più giovane, sopravvissuta all'Occupazione nazista.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron”