Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/02/2019, a pag.1-11 con il titolo "Maduro, il re nudo del Venezuela" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
«Juro!», ha detto, il 23 gennaio, un giovane uomo di 35 anni, presidente del Parlamento del suo Paese, Juan Guaidó. «Juro!», ha lanciato alla folla, come una magnifica sfida al regime di Nicolas Maduro, il presidente Ubu, in carica dalla morte di Chavez. «Lo giuro!», ha ripetuto, con un’audacia insensata, tuttavia efficace, perché la quasi totalità dei Paesi della regione, venti membri dell’Ue, gli Usa e il Canada l’hanno quasi subito riconosciuto. Questo colpo a effetto non meriterebbe né stima né sostegno se fosse solo un episodio nella lunga tradizione dei «pronunciamientos» che hanno dovuto sopportare, dal Rio Grande a Capo Horn, i popoli di quello che Carlos Fuentes chiamava «la regione più trasparente».
Juan Guaidó
Ovviamente, abbiamo visto troppi caudillos raccogliere le loro corone tra le macerie dei propri Paesi e confondere il fatto di essere «certificati» dalle masse e l’acquiescenza costituzionale, perché si dia ciecamente credito a un uomo glorificato senza altra unzione che il battesimo ricevuto dalle folle di Caracas. E bisognerà, del resto, sorvegliare che non si sviluppi al suo posto non so bene quale culto della personalità che trasformerebbe la bella rivoluzione popolare in corso in un nuovo episodio di questo petrol-cesarismo o, per parlare stavolta come Mario Vargas Llosa, di questa «festa del caprone» criminale che fa, da troppo tempo, la miseria di questo Paese.
A parte, però, che Juan Guaidó ha acconsentito, quel 23 gennaio, ad assumere solo «formalmente» le competenze dell’esecutivo. Ha agito non tanto secondo le massime della sua ambizione ma di quelle di una lettura legale della Costituzione i cui articoli 233 e 350 gli affidano le redini del Paese nel caso di «impeachment» del capo di Stato.
E questa responsabilità l’ha assunta solo ad interim nel tempo necessario a organizzare elezioni libere e a ristabilire il diritto del popolo a disporre di se stesso nella fedeltà a valori, principi e garanzie iscritti nella legge fondamentale del Paese. Perché poche dittature vengono meno tanto quanto a quella di Nicolas Maduro tali valori, principi e garanzie.
Pochi presidenti sono stati eletti in maniera così pessima, quanto questo misto di Pinochet e di Castro, che ha preso la precauzione, nel 2018, prima di andare alle urne, di proibire la coalizione avversa e di far sì che la maggior parte dei suoi dirigenti, come Antonio Ledezma o Leopoldo Lopez, si trovasse in prigione, in esilio o impediti a partecipare alla consultazione. Pochi hanno fatto registrare un tale livello di operazioni di bassa polizia, ribattezzate pudicamente «Operazioni di liberazione umanista dei popoli», in cui Amnesty International non finisce di rilevare casi di arresti arbitrari, di sparizioni, di violazioni sanguinose dei diritti umani.
Ma poi cosa valgono questi diritti umani, quando, secondo l’inchiesta Encovi, realizzata da un consorzio di università, l’87% dei nuclei familiari vive al di sotto della soglia della povertà? E quando i venezuelani hanno perso in media 11 chili dal 2017? Quando gli indicatori di sanità e di mortalità raggiungono livelli che in genere si vedono nei Paesi in guerra?
Non rifaremo qui l’eterno dibattito tra legalità e legittimità. Ma bisogna comunque chiedersi in nome di quale diritto perdura un regime così prevaricatore e ingordo da fomentare un’inflazione a dieci cifre, affamando le periferie e le campagne. Non ci si può interrogare su quello che resta di un bolivarismo che è riuscito, con il suo petrolio, a creare solo soviet senza elettricità, come dire un popolo privato non soltanto della libertà, ma dell’acqua, del latte, delle uova, della carne.
Pro e contro il dittatore Maduro
Un regime illegale
E dovrebbe esserci in questa lunga corsa verso il baratro, il sangue e la menzogna che è stato il chavismo, un momento in cui bisogna avere il coraggio di dire che un governo che ha gettato 2, 3, forse 5 milioni dei suoi abitanti sulle strade dell’esilio, non è più né legittimo, né legale? A partire da quel momento, di due cose una. Si possono risuscitare i fantasmi di Monroe, della United Fruit Company, dei Chicago Boys e dell’operazione Condor. Si può, come certe icone della sinistra francese, esprimere il proprio imbarazzo di vedere Trump ritornare, senza alcun tatto, nel suo cortile americano, dove i suoi predecessori hanno, così spesso, mancato di discernimento e di morale.
Si può, come Jean-Luc Mélenchon e la nuova Internazionale «corbynista», vedere nel «Juro» di Guaidó il frutto di una congiura e non voler comprendere: 1, che i congiurati sono, nella circostanza, i milioni di venezuelani affamati e straziati; 2, che, interventismo per interventismo, quello più brutale, criminale e imperialista proviene oggi non tanto dagli Stati Uniti, quanto dalla Cina, che finanzia il regime assassino; della Russia, che lo protegge, e di Cuba, che pattuglia direttamente le strade della capitale.
Ma il Venezuela, in verità, non può più attendere. Ed è per questo che non ci sono più soluzioni, nel momento in cui scrivo, che invocare, come Emmanuel Macron e i suoi colleghi europei, elezioni libere e trasparenti. E, prima di tutto, ovviamente, la partenza, senza attendere e senza condizioni, del caudillo Maduro.
Le bistecche del patriarca
Ci ricordiamo di quelle immagini di lui, da Erdogan, assaporando una bistecca nel ristorante di carne più caro del mondo.
Scimmiottava, senza saperlo, quel «patriarca» nel suo «autunno», festeggiando nel suo palazzo, stravolto e irascibile, quasi pazzo, immortalato da un altro scrittore ancora, Gabriel García Márquez.
Ecco, una volta di più il re è nudo. Perso nel suo inferno, senza più né ragione, né partigiani. Gli restano solo la sua spada e la sua misera paura di perdere il potere di torturare il proprio popolo. Ed è per questo che, sì, se ne deve andare.
Traduzionedi Leonardo Martinelli
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