La Conferenza sulla Sicurezza di Varsavia, un successo della politica estera Usa
Commento di Antonio Donno
L’incontro di Varsavia, voluto da Trump, è stato molto positivo per gli Stati Uniti, per Israele e per gli Stati arabi sunniti. Gli Stati europei, che pure vi hanno partecipato, hanno svolto un ruolo marginale, perché in qualche modo costretti ad una presenza che avrebbero volentieri evitato.
Le ragioni sono note, ma hanno bisogno di un chiarimento ulteriore. Il summit ha raccolto le delegazioni di 65 paesi sul tema della sicurezza del Medio Oriente, ma la presenza di Mike Pompeo, Segretario di Stato americano, del vice-presidente Mike Pence e di Jared Kushner, incaricato americano per gli affari mediorientali, ha dato un significato ben preciso all’incontro.
Il vero tema del summit è stato il pericolo costituito dall’Iran nella regione, un argomento si può dire monotematico, ma proprio per questo motivo fondamentale. Gli Stati Uniti non abbandonano il Medio Oriente – questo è l’esito finale – ed anzi si propongono come l’asse portante di una coalizione di paesi che sono schierati contro la presenza di Teheran nell’area. Il ritiro del contingente americano dalla Siria, deciso da Trump nel dicembre scorso, è per ora fermo e non si sa se verrà effettuato.
Perché il governo polacco ha voluto che il summit si svolgesse a Varsavia?
Quale vantaggio ne può trarre, dato che la Polonia non è interessata alle questioni mediorientali? Qual è il vero fine di questo importante contatto tra gli Stati Uniti e la Polonia?
La Polonia ha bisogno degli Stati Uniti su due fronti: quello dell’Unione Europea e quello della Russia. La Polonia è in rotta con Bruxelles sul problema grave della separazione dei poteri al suo interno. Da questo punto di vista, Washington non può aderire ad alcuna soluzione accentratrice, perché contraria agli elementi basilari della sua Costituzione.
Ma non è questa la ragione dell’avvicinamento tra i due paesi. Trump sostiene Varsavia perché Varsavia, quale che sia il motivo del contrasto con Bruxelles, rappresenta un elemento di crisi in seno all’Unione Europea, con la quale Trump ha da tempo un conto in sospeso, in particolare sul tema dell’Iran, perché alcuni paesi europei tentano di compensare con i propri aiuti il gap economico causato dalle pesanti sanzioni americane. Perciò, una crescente crisi dell’Europa, determinata anche dal contrasto con la Polonia e con altri paesi dell’Est europeo, in particolare l’Ungheria, fa il gioco degli Stati Uniti e rende più complicato il ruolo europeo nella questione iraniana.
In secondo luogo, Varsavia ha bisogno di Washington per difendersi dalle ambizioni della Russia di Putin. Putin tenta di erodere il potere dei paesi dell’Est europeo un tempo sotto il controllo sovietico. I fatti dell’Ucraina sono la più chiara evidenza delle ambizioni russe nell’immensa regione per decenni sotto la schiavitù comunista.
Ma, nello stesso tempo, Putin gioca la carta mediorientale in combutta con l’Iran. Insomma, l’attuale politica di potenza della Russia putiniana tende a ripercorrere gli itinerari imperialisti dell’Unione Sovietica nelle sue due direzioni storiche: l’Est europeo e il Medio Oriente al di là del Caucaso. Da qui l’interesse della Polonia a rinsaldare l’amicizia con gli Stati Uniti.
Infine, il summit di Varsavia è stato un altro eccellente successo diplomatico di Netanyahu. I paesi arabi sunniti si sono trovati fianco a fianco della delegazione israeliana e insieme agli Stati Uniti hanno ribadito la loro comune volontà di sbarrare il passo all’Iran e ributtarlo indietro. Questa coalizione di forze, già attiva da qualche anno, è stata confermata dagli esiti del summit di Varsavia.
Il gioco mediorientale è ancora in atto ed è difficile prevedere quando si concluderà. È fondamentale, tuttavia, che la presenza russo-iraniana nella regione abbia un robusto contraltare in una coalizione di forze che hanno un interesse reciproco, e vitale, nel far fronte comune contro un pericolo gravissimo per l’indipendenza dei paesi del Medio Oriente.
Antonio Donno