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La Stampa Rassegna Stampa
16.02.2019 Conferenza di Monaco: l'attacco di Pence 'l'Iran antisemita come la Germania di Hitler'
Analisi di Alberto Simoni

Testata: La Stampa
Data: 16 febbraio 2019
Pagina: 11
Autore: Alberto Simoni
Titolo: «Europei scettici sulla strategia Usa ' non hanno un piano sulla Siria'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2019 a pag.11 con il titolo "Europei scettici sulla strategia Usa ' non hanno un piano sulla Siria', l'analisi di Alberto Simoni

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Alberto Simoni                  Mike Pence

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Khomeini e Hitler in una caricatura

La Stampa continua ad essere l'unico quotidiano che informa sulle conferenze europee di Varsavia e, oggi, Monaco, volute dall'Amministrazione Usa in collaborazione con gli stati arabi sunniti più Ue (molto critica) e Israele. Dal che si deduce che chi vuole avere una informazione che informa su quanto avviene nel mondo può fare affidamentto soltanto sul quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Un passaparola è quanto mai urgente.

Come è indispensabile diffondere le dichiarazioni di Mike Pence sull'Iran "«Gli iraniani sono pervasi dal medesimo sentimento antisemita che ha guidato i nazisti e compiono crimini motivati da quell’odio».Parole chiare, dirette, che non si prestano a interpretazioni. Il fatto che non siano uscite su nessun giornale/TG è la conferma che in Italia viviamo sotto una censura senza che nessuno abbia il coraggio/onestà di gridarlo ai quattro venti.

«Gli iraniani sono pervasi dal medesimo sentimen.to antisemita che ha guidato i nazisti e compiono crimini motivati da quell’odio». Mike Pence salendo sull’Air Force Two in Polonia dove ha visitato il campo di sterminio di Auschwitz attacca la Repubblica islamica. E ribadisce qual è la linea americana: nessuno spazio per Teheran in Siria, e nessuna interferenza nella regione. La coalizione costruita con Israele e mondo sunnita nel summit di Varsavia serve a creare una cintura di sicurezza anti-Iran. L’Europa - salvo l’eccezione italiana e britannica - si è sfilata. Così ieri mattina il segretario di Stato Mike Pompeo e Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera Ue, si sono visti a Bruxelles ma hanno preferito parlare di temi ove il consenso è marcato e non del divisivo Medio Oriente. Nei corridoi del Bayerischer Hof, lo splendido hotel che ospita la conferenza sulla Sicurezza a Monaco, si racconta di come le sponde dell’Atlantico sono più lontane e di come gli europei fatichino a comprendere le scelte americane. Il capo del Pentagono a interim Patrick Shanahan ha visto a margine dei lavori di Monaco una decina di ministri della Difesa di Paesi membri della coalizione anti-Isis. All’indomani della ministeriale di Bruxelles, gli europei si attendevano qualche passo avanti, invece l’inviato di Washington non ha illustrato e nemmeno parlato del piano americano di disimpegno dalla Siria. Si è limitato a dire che la coalizione è forte e che l’Isis verrà annientato. Quando in dicembre Trump annunciò il ritiro di tutti i duemila uomini e in pratica la fine della missione Usa contro lo Stato islamico, il segretario del Pentagono Jim Mattis rassegnò le dimissioni. «Di quel piano di ritiro - lamenta uno sherpa presenti al vertice - non c’è traccia, temo che non ci siano idee, è impressionante».
L’Italia in Iraq
La ministra della Difesa italiana Elisabetta Trenta ha spiegato che dopo il ritiro Usa il nostro contingente resterà in Iraq con compiti di addestramento delle forze irachene. Andrà in archivio invece la missione a Mosul. Il ministro degli Esteri francesi Yves Le Drian ha prestato voce e volto a queste preoccupazioni e al senatore Usa Lindsey Graham ha detto dal podio. «Ma se vi ritirate dalla Siria, lasciate spazio proprio all’Iran che considerate il vero nemico. Mi sembra una scelta misteriosa». Per Washington la partita con l’Isis - è la risposta che giunge dal Pentagono - si può giocare con le forze sul terreno, curde in primis, e rilanciando la coalizione. Ma senza impegno diretto di più soldati americani.
Sul fronte Iran invece per gli americani valgono le alleanze e lo schema di Varsavia.
Ma quello che va in scena in Baviera somiglia molto a un dialogo fra sordi. Non è solo il dossier mediorientale a segnare la profondità dell’Atlantico. Le schermaglie fra alleati (tiepidi ma che a parole continuano a ritenersi indispensabili) sono evidenti sulle spese militari. Washington le vuole al 2% del Pil, gli europei dicono «va bene», ma a piccoli passi. Soprattutto, e qui si inserisce la linea italiana che sta conquistando sostegno fra i membri Nato, la composizione di spesa di quel 2% può essere diversa.
Noi - ribadiscono fonti della Difesa - vogliamo conteggiare le spese per la cybersicurezza, altri Paesi conteggiano investimenti e sviluppo hi tech.
Un’analisi intanto ha detto che per arrivare al 2% servirebbero stanziamenti da 102 miliardi di dollari. Servirebbe per continuare a tenere a distanza le velleità cinesi e russe. Il gap fra Nato e rivali strategici si starebbe infatti riducendo. Il contrario invece di quel che accade nell’Atlantico dove i dossier sui quali ci si divide cominciano, dice un diplomatico Usa, «ad essere troppi. Dobbiamo fermarci prima che sia troppo tardi, il nemico non è tra noi, ma è la Cina»

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