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Corriere della Sera Sette Rassegna Stampa
14.02.2019 Árpád Weisz, l'allenatore ebreo ungherese che fu assassinato (non 'morì') ad Auschwitz
Commento di Gian Antonio Stella

Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 14 febbraio 2019
Pagina: 15
Autore: Gian Antonio Stella
Titolo: «Árpád Weisz, l'allenatore dei record che morì ad Auschwitz»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - SETTE di oggi, 14/02/2019 a pag.15 con il titolo "Árpád Weisz, l'allenatore dei record che morì ad Auschwitz" il commento di Gian Antonio Stella.

Árpád Weisz non "morì" ad Auschwitz, come titola Sette, ma fu assassinato, insieme ad altri 6 milioni di ebrei dalla Germania nazista e dai suoi volenterosi collaboratori. Sostituire un semplice verbo porta a una completa disinformazione che non permette di capire che cosa Auschwitz era davvero.

Ecco il commento: 

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Gian Antonio Stella

«SIAMO UN PO' sfortunati, caro Mario, ma forse verrà ancora un po' di sole anche per noi». Mette i brividi leggere esattamente ottant'anni dopo, nel libro di Paolo Balbi Árpád Weisz. Il tempo, gli uomini, i luoghi», editore Serra Tarantola, la lettera inviata da Árpád Weisz al suo amico Mario Montesanto. Il grande allenatore ungherese, il primo a vincere uno scudetto a soli 34 anni (record imbattuto), il primo a vincere un campionato di serie A a girone unico, il primo a vincere uno scudetto italiano con due squadre diverse, l'Internazionale-Ambrosiana e il Bologna, il primo a scoprire il talento del diciassettenne Pepìn Meazza.

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Árpád Weisz

FU ANCHE IL PRIMO a trionfare al Torneo dell'Esposizione Universale di Parigi, «una competizione che valeva la Coppa dei Campioni, a quel tempo non ancora istituita, battendo 4 a 1 in finale i maestri londinesi del Chelsea», scriveva sulla carta elegante della brasserie Café de Paris di Boulevard Montmartre, a Parigi. Dove era stato costretto a rifugiarsi lasciando l'amata Italia, la sua seconda patria, sotto il peso di una colpa infamante, nel regime mussoliniano: era ebreo. In realtà, racconta Paolo Balbi, non dava molto peso alle sue origini, la sua storia, alla sua religione. Non risulta che facesse parte «di comunità o associazioni ebraiche, né in Ungheria, né a Milano, né a Bologna» e al momento della nascita dei figlioletti, Clara e Roberto, non si fece problemi a battezzarli. Sperando forse di rendere loro più facile l'inserimento nella comunità.

LE LEGGI RAZZIALI del 1938 colpirono anche lui e la sua famiglia. Al punto che, nonostante le vittorie, il Bologna non cercò neppure, per quanto si sa, di resistere alla pretesa che l'allenatore vincente non fosse confermato. Un'umiliazione cocente. Che spinse Weisz, sempre più preoccupato per l'aria che tirava, ad andarsene con la famiglia dall'Italia per cercare di ricostruirsi una vita all'estero. A partire dalla Francia e da Parigi dove aveva vinto quel prestigioso torneo. «Caro Mario», scrive in quella lettera, dandogli del lei, all'amico calciatore che aveva avuto un infortunio, «avevo l'intenzione di stare in silenzio fino a che non potevo darvi novità concrete di me. Ma ieri ho letto una notizia che mi ha fatto un gran dispiacere. Rompo quindi il silenzio e mi affretto di farle i miei auguri. Spero che l'incidente di Bari non porterà alcuna conseguenza per quanto riguarda la sua salute...».

L'EUROPA ANDAVA verso la catastrofe, lui era in difficoltà e si preoccupava dell'amico infortunato. Era inquieto, però. Come se presagisse l'arrivo della burrasca che l'avrebbe spazzato via. «Quanto a me, come vede, sono ancora a Parigi. Ma non più tardi di questa sera dovrò prendere una decisione. Per essere preciso, le devo dire che ho perso quattro settimane coll'aspettare un visto olandese...». Fu arrestato con la moglie e i figli il 4 agosto del 1942. Tre mesi dopo l'introduzione dell'obbligo per gli ebrei che vivevano in Olanda, dove era finito ad allenare una squadretta, di portare sul petto la stella gialla. Deportato a Westerbork. E non ci fu, per lui e la sua famiglia, quel po' di sole che sperava. Morì ad Auschwitz nel 1944.

Per inviare la propria opinione a Sette, telefonare 02/6339, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


sette@corriere.it

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