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L'Espresso-IlSole24Ore Rassegna Stampa
10.02.2019 La solita fetenzia di Goldkorn e il riassunto da Haartez di Tramballi, in pensione ma sempre con i tasti pieni di odio
Manca solo Michele Giorgio

Testata:L'Espresso-IlSole24Ore
Autore: Wlodek Goldkorn-Ugo Tramballi
Titolo: «Nella testa di Netanyahu-Bibi,il guerriero della sicurezza»

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Bibi Netanyahu, Mr Security, Economy, Diplomacy ecc.ecc.

Riprendiamo oggi, 10/02/2019, due servizi sulle prossime elezioni in Israele, il primo, di Wlodek Goldkorn, sull' ESPRESSO, che definisce Netanyahu "ossessionato dalla Shoah, convinto che lo stato etnico salverà gli ebrei". A parte la mascalzonata di chiamare Israele  'Stato etnico', tutto il pezzo e un tentativo di demolire Bibi. Sul SOLE24ORE, riappare Ugo Tramballi, in pensione, ma non dimentico dell'impegno che l'aveva contraddistinto quando era al quotidiano della Confindustria, intingere i tasti del suo PC nell'odio per Israele era la sua specialità. Con questo pezzo l'unico la lato positivo è la titolazione, che, come si sa, viene fatto in redazione.

L'Espresso-Wlodek Goldkorn: " Nella testa di Netanyahu"

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Wlodek Goldkorn

Qualche anno fa, a Benjamin Netanyahu in visita in Italia, nel bel giardino della sinagoga di Firenze venne mostrata la lapide con scolpiti i nomi degli ebrei locali, vittime dei nazisti.11premier israeliano guardò impressionato il memoriale e disse con enfasi: «Lo Stato degli ebrei esiste perché una cosa simile non accada mai più». Non c'erano giornalisti accanto. Bibi, come viene chiamato il capo di governo, era in compagnia di pochi e scelti testimoni, per cui le sue parole possono essere considerate sincere e non un messaggio propagandistico per dire: la vita degli ebrei in Diaspora è sempre precaria, meglio che veniate in Israele. Ecco, Netanyahu, presidente del Consiglio uscente che sta affrontando l'ennesima campagna elettorale per le consultazioni politiche del 9 aprile, è un uomo ossessionato dalla Shoah, convinto che gli ebrei fuori dallo Stato d'Israele siano sempre a rischio, che l'ostilità nei loro confronti sia un tratto costitutivo dell'universo sia cristiano che islamico, e che quindi l'esistenza di uno Stato ebraico forte è l'unica garanzia per evitare altri futuri stermini. È una convinzione che Bibi si porta dentro la testa e dentro il cuore fin da bambino inculcatagli dal padre, uno storico importante, Benzion Netanyahu. Ci torneremo. La svolta dopo Rabin Intanto procediamo con ordine. Netanyahu è stato eletto premier per la prima volta nel 1996, un anno dopo l'assassinio da parte di un fascista ebreo di Itzhak Rabin, ex generale e uomo che univa una certa brutalità da militare con grande tenerezza (trasmessagli dalla madre), colpevole agli occhi degli oltranzisti non solo di voler cedere i territori occupati ai palestinesi, ma soprattutto di aver presieduto un governo la cui maggioranza poggiava anche sui voti dei deputati arabi, cittadini d'Israele, che pure non facevano parte dell'esecutivo. Ai tempi, nelle manifestazioni della destra, Rabin veniva rappresentato con foto in cui la sua testa era montata sul corpo di ufficiale nazista. Netanyahu, che almeno una volta assistette impassibile a un corteo del genere (lui stava sul *** balcone) ha sempre e con forza respinto ogni insinuazione di corresponsabilità morale per il clima d'odio che portò all'assassinio. E, dicono coloro che lo frequentano, Bibi non ha mai smesso di considerarsi un sincero democratico e un politico che gioca talvolta duro, ma sempre entro i limiti delle regole. Non è questo il parere dei suoi avversari. Soprattutto Tsipi Livrai, ex compagna del suo partito, Likud, oggi nemica giurata, che lo accusa spesso di voler stravolgere le regole dello Stato di diritto e di aver in mente un Paese in cui la minoranza araba goda di meno diritti civili rispetto agli ebrei. Arabi, siete solo ospiti Ecco, rieletto premier nel 2009 (dopo dieci anni fuori dai governi), Netanyahu oggi è convinto che la controversa legge sullo Stato Nazionale sia invece un suo grande successo. Spiegazione: l'estate scorsa, il premier - con la sua coalizione della destra e del fondamentalisti religiosi - ha voluto far approvare dal Parlamento una legge che sancisce una situazione di fatto. Israele, dice il provvedimento, è lo Stato della nazione ebraica. Per carità, nessun giudice arabo, cittadino d'Israele verrà allontanato e i medici arabi continueranno a curare i pazienti ebrei; ma la legge è stata un modo per dire a coloro che non sono ebrei (il 20 per cento della popolazione): questa non è casa vostra, siete ospiti, talvolta ben accettati, ma ospiti. E anche: un governo che poggi su una maggioranza che includa i partiti arabi non è del tutto legittimo. E qui torniamo al padre di Bibi, Benzion. Nato nel 1910 a Varsavia, scomparso all'età d1102 anni, era studioso dell'inquisizione spagnola e della storia dei marrani, ebrei convertiti al cattolicesimo. Ora, mentre la teoria prevalente vede nei marrani l'esempio di persone dotate di più identità contrapposte, cattolici in pubblico, ebrei nel segreto e dove le due appartenenze si mescolano, sovrappongono in un mix foriero di tanti fenomeni della modernità (psicoanalisi, introspezione e simili) e mentre la teoria prevalente vede nella doppia identità, ossia nella segreta fede ebraica mai abbandonata, la causa delle persecuzioni, non cosa pensava Benzion. Per il padre di Bibi, la doppia identità era una falsa ipotesi, perché le identità non sono plurime. I marrani erano quindi sinceramente cattolici, avevano dimenticato i loro costumi ebraici, erano integrati nella società cattolica, e furono I loro concittadini e l'Inquisizione a ricordargli le loro origini. L'odio verso gli ebrei, questa è la lezione di Benzion, prescinde dalla loro collocazione sociale, identità linguistica e culturale contingente. Per rimediare, occorre essere come tutti gli altri: nazionalisti etnici cioè, nel proprio Stato, sulla propria terra. Il resto, sono giochi sull'orlo della catastrofe. Aggiungiamo che Benzion Netanyahu era segretario di Vladimir Zhabotinsky, leader sionista brillante, scomparso nel 1940, per un certo periodo affascinato da Mussolini (mai fascista, liberale di destra invece) in opposizione all'establishment laburista dominante. I laburisti volevano creare in Palestina un ebreo nuovo, agricoltore e combattente, socialista e soldato; Zhabotinsky invece diceva che tutto questo era im gioco da ragazzini, gli ebrei andavano evacuati dall'Europa con urgenza perché nel Vecchio Continente avrebbero trovato la morte. E da liberale di destra ragionava in termini di dura e brutale realpolitik, per cui gli arabi avrebbero compreso solo il linguaggio della forza. La lezione del padre Il sovranismo di Bibi, il suo nazionalismo senza compromessi, si spiega con la lezione ricevuta in casa. Nazionalista dunque, ma Netanyahu ama dire a chi gli sta vicino di non essere un uomo dal grilletto facile. Si vanta di non aver mai guerre, di non aver sacrificato soldati israeliani. E anche della sua abilità rispetto alla questione Iran. Dicono coloro che Io conoscono che il premier avrebbe bluffato quando minacciava di attaccare Teheran, colpevole di voler sviluppare armi atomiche; conscio dei consigli contrari all'avventura dei capi delle forze armate e dei servizi. È invece fiero di aver allacciato rapporti con Paesi sunniti del Golfo, come Bahrein, Oman, ma anche Arabia Saudita. Ovviamente si vanta di aver convinto Trump a spostare l'ambasciata Usa a Gerusalemme. E poi ci sono le relazioni strettissime con i Paesi europei del gruppo di Visegrad: queste sono per Bibi motivo di orgoglio, tanto che i capi di governo di quelle nazioni sono attesi a Gerusalemme a metà mese. Si tratta di luoghi dove i conti con la Shoah, non sono stati fatti? Non importa: sono alleati perché in omaggio alla realpolitik e alla convinzione per cui è impossibile che chiunque nel mondo ami gli ebrei, Israele ha interessi strategici, non amici di cuore. Fin qui, Bibi, figlio di Benzion. In concreto, Netanyahu si presenta al suo pubblico come alfiere e garante dello status quo; del presente che deve perpetrarsi in eterno. Ecco quindi che il regime dell'autonomia senza Stato dei palestinesi in Cisgiordania è per lui una situazione ideale; per quanto riguarda Gaza, ha più volte autorizzato il trasferimento di soldi dal Qatar alla popolazione della Striscia, anche perché in cuor suo sa che a Hamas, che governa quel pezzo di terra, al momento non c'è alternativa. E ancora, Bibi è l'uomo simbolo del boom economico che Israele vive da dieci anni e più: crescita al quattro per cento l'anno, niente disoccupazione, zero inflazione. La teoria del complotto In tutto questo, su Netanyahu incombono accuse di corruzione e abuso di potere. Parlandone con gli amici, lui dice che in fondo si tratta di cose non significanti: regali di un tycoon di Hollywood, Arnon Milchan, a lui a alla moglie (champagne e sigari) e conversazioni con un proprietario di media perché l'immagine sua e sempre della moglie non fosse del tutto negativa (e c'è un do ut des); roba dice lui, che tutti i politici hanno sempre fatto. Peccato che non sono di questo parere gli investigatori. Come tutti i sovranisti e populisti, Bibi è convinto che contro di lui ci sia una specie di complotto tra magistrati, stampa, poteri forti, sinistra e organizzazioni non governative (che tutti i sovranisti del mondo odiano), ma confida che potrebbe sconfiggerli un'altra volta, forte come è di incarnare il bisogno di stabilità. Secondo alcuni, ad aprile rischia di vincere nelle urne per poi non riuscire a mettere in piedi una coalizione di governo. Gli esperti sostengono, che se cadrà sarà perché il pubblico potrebbe risultare stufo dello spettacolo in corso e ansioso di vedere sul palcoscenico un nuovo protagonista, Benny Gantz, un generale senza biografia, e che si presenta come l'incarnazione del vecchio mito del pioniere soldato. Ma questa è un'altra storia.

IlSole 24Ore-Ugo Tramballi: "Bibi, il guerriero della sicurezza"

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Ugo Tramballi

" Chi c....... si crede di essere quello? Chi è qui la fottuta superpotenza?», gridò esasperato Bill Clinton, appena Benjamin Netanyahu uscì dallo studio ovale. Era il luglio 1996, l'israeliano era appena diventato premier e il presidente si aspettava che confermasse l'adesione agli accordi di Oslo con i palestinesi, lasciati in eredità da Rabin e Peres. Bibi invece tenne una lezione interminabile sulla storia del popolo ebraico, l'Olocausto, la sicurezza d'Israele e la pericolosità degli arabi. Gli israeliani la chiamano hasbara. Letteralmente significa spiegazione ma è qualcosa di più complesso: è una forma radicale di publicdiplomacy, determinata, a volte ossessiva, in qualche caso minacciosa, di vendere le ragioni d'Israele. Ministri, diplomatici e giornalisti passati per Gerusalemme ne sanno qualcosa. Di questa forma d'arte politica Netanyahu è ininterrottamente dal 1975 un interprete irrefrenabile. Il sionismo politico, scrive Anshel Pfeffer nella nuova e più completa biografia dedicata a Bibi, è «diviso fra coloro che credono nella cooperazione con la comunità internazionale e cercano un accomodamento con gli arabi; e quelli convinti che gli ebrei debbano perseguire risolutamente il loro interesse nazionale senza essere dissuasi dalle opposizioni locali o dall'opinione internazionale. La questione è rimasta la prindpale linea di faglia della politica israeliana». Come è facile sospettare, Netanyahu appartiene fermamente al secondo campo, oggi chiamato "nazionalreligioso". Sebbene un corretto uso dell'hasbara a volte lo costringa a un certo mimetismo diplomatico. Non c'è città che interpreti questo volto d'Israele, ora predominante, quanto Gerusalemme. Non tanto perché è la capitale dello stato degli ebrei, quanto per le profonde divisioni che percepisce con profondo disagio chiunque superi un soggiorno di due settimane. C'è la divisione fra israeliani e arabi; fra ebrei fondamentalisti e laici; fra palestinesi di Fatah e di Hamas, fra arabi musulmani e cristiani; fra cristiani delle sette diverse. Se non si è incaricati di una missione, come sicuramente sente di essere Netanyahu, vivere a Gerusalemme è proibitivo, nonostante la evidente bellezza del luogo e la maestosità del suo cielo. Inglese e Israeliano, affermato commentatore del quotidiano «Ha'aretz», di «The Economist» e di altri giornali britannici, Anshel Pfeffer appartiene al campo avverso a quello di Netanyahu. Ma il racconto è molto equilibrato, influenzato più dalla tradizione anglosassone che da quella israeliana. Del resto è innegabile che una semplice scorsa al curriculum di Bibi Netanyahu dimostri che l'israeliano, mistificatore politico e antesignano del sovranismo europeo, sia anche una personalità straordinaria. Master in business management al Mit; combattente nella più elitaria delle unità, le Sayeret Matkal delle quali era ufficiale: dopo 20 missioni segrete e pericolose avrebbe potuto diventarne il comandante («dimostrava un quasi fanatico livello di forma fisica»); una carriera ai vertici militari se, tornato in America e lavorato alla Boston Consulting Group, non fosse stato attratto dalla politica e dall'hasbara; ambasciatore all'Onu a 35 anni, leader del Likud a 43, premier a 45: quattro volte primo ministro, tre consecutivamente per io anni complessivi. Chi oggi scrivesse una storia d'Israele, dovrebbe porre Netanyahu dietro solo a David Ben Gurion e Shimon Peres (che non ha mai vinto un'elezione ma ha dato l'atomica a Israele, cambiato l'economia, modernizzato le forze armate, costruito gli insediamenti e promosso la pace). Ma prima di Rabin, Dayan e Sharon. Nel bene e nel male: anche se ad aprile non sarà eletto per la quinta volta ma incriminato per corruzione. «Netanyahu aveva molte cose in comune con la sinistra», scrive Pfeffer. «Educato, cosmopolita, laico. Forse parte dell'ostilità verso di lui è dipesa dalle similitudini e, nonostante questo, dalla sua scelta ideologica per l'Altro Israele». Benjamin Netanyau detto Bibi è nato a Tel Aviv, appunto la più cosmopolita delle città d'Israele, il 23 ottobre 2949. È stato dunque anche il primo leader del Paese nato dopo l'indipendenza. Ma per spiegare il personaggio e le ragioni delle sue scelte politiche, Pfeffer risale a Natan Mileikovsky, il nonno paterno, nato in Bielorussia ed emigrato in Palestina nel 1920: giornalista e polemista, firmava i suoi articoli col nome di Netanyahu, «dato da Dio». E ancor più a suo figlio Benzion, il padre di Bibi. Entrambi revisionisti e religiosi, opposti alla corrente principale socialista e laica del sionismo. Grazie alla decisione del pa *** dre di trasferirsi per la sua carriera accademica, Bibi ha vissuto negli Stati Uniti fin quasi ai 40 anni. Al college a Filadelfia si faceva chiamare Ben Nitay: Netanyahu era troppo difficile da pronunciare. Raggiunta la maggiore età, Ben tornò in Israele per arruolarsi nei reparti speciali, compiere missioni segrete (delle quali non si è mai vantato), per poi tornare in America a proseguire gli studi. Salvo partire ancora, combattere la guerra del 1973 e tornare di nuovo a Boston a fare l'uomo d'affari. «Bibi sviluppò una capacità camaleontica di adottare a comando un'immagine americana o israeliana». La svolta fu nel 1975, a 25 anni, quando Colette Avital, nuova console israeliana a Boston, ne capì le potenzialità «con quella combinazione di forze speciali, accento americano e aspetto pulito». Fu un successo clamoroso: Bibi diventò l'invitato conteso da tutti i talk show d'America per spiegare I diritti d'Israele. Nella sua hasbara avevano un'interpretazione piuttosto rigida e ignoravano i palestinesi: Netanyahu tendeva più a imporre opinioni che a spiegarle. Ma il successo fu clamoroso per lui e per Israele. «In una scala da i a io, come ospite Bibi vale 8», disse una volta Larry King della Cnn. «Se avesse senso dell'humor, sarebbe io». Solo quando fu assunto all'ambasciata israeliana a Washington come portavoce, Bibi fu costretto a rinunciare alla cittadinanza americana. Poi divenne ambasciatore e la carriera di Bibi l'israeliano non si è più fermata. Appena diventato premier nel 1996, Netanyahu licenziò dal ministero degli Esteri Colette Avital: era una ferma sostenitrice di Oslo. Contro la filosofia di quell'accordo, secondo la quale la pace è portatrice di sicurezza, Bibi avrebbe dedicato la sua vita, spiega Pfeffer: «Avrebbe sempre insistito che solo la sicurezza, alla fine, avrebbe portato la pace». Al momento il risultato è l'assenza della pace e della piena sicurezza.

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