La politica estera di Donald Trump: Iran & Medio Oriente Analisi di Antonio Donno
Testata: Informazione Corretta Data: 10 febbraio 2019 Pagina: 1 Autore: Antonio Donno Titolo: «La politica estera di Donald Trump: Iran & Medio Oriente»
La politica estera di Donald Trump: Iran & Medio Oriente Analisi di Antonio Donno
Il presidente Trump ha dichiarato che rafforzerà le sanzioni contro l’Iran. Dalle inchieste che si leggono sui giornali sembra evidente che le misure restrittive sinora messe in atto da Washington stanno producendo gli effetti previsti. E i tentativi dei paesi europei di sostituirsi agli Stati Uniti non sono in grado di colmare il gap economico prodotto dalle sanzioni americane. L’interrogativo è quello di sempre: riusciranno le sanzioni a mettere definitivamente in ginocchio il regime terroristico di Teheran? La storia ci può insegnare qualcosa in merito. I totalitarismi e talvolta anche le dittature più vicine alla forma socio-statale dei regimi totalitari possono avere una vita molto lunga, perché il potere nelle mani del partito unico è, appunto, totale. L’ideologia, in questo senso, ha un ruolo cruciale, che sia essa secolare o religiosa. Le condizioni di vita cui la popolazione è costretta o la mancanza di libertà di espressione sono fattori che non intaccano – almeno per molto tempo – il blocco politico e ideologico al potere. Questa è la situazione attuale dell’Iran. Per quanto sporadicamente si assista a delle limitate ribellioni di piazza a Teheran o in qualche altra regione del paese, di cui la stampa occidentale non dà notizia, gli strumenti in possesso del regime sono per ora sufficienti a schiacciare qualsiasi protesta, applicando misure punitive estremamente severe. E, accanto a questo, il richiamo continuo alla fedeltà religiosa e alla superiorità indiscussa dell’Islam e del suo ruolo di conquista del mondo. Ecco, dunque, come si caratterizza un totalitarismo come quello degli ayatollah iraniani: la superiorità della propria visione del mondo, insegnata nelle scuole e trasmessa attraverso i mass-media del regime, intrecciata alla repressione delle manifestazioni di opposizione al regime. L’espansione iraniana nel Medio Oriente è l’espressione di un ruolo religioso di conquista intrinseco all’Islam sciita, ma in genere dell’Islam nella sua totalità. L’Amministrazione Trump è ben consapevole di questa realtà. Le armi a sua disposizione sono essenzialmente due: le sanzioni economiche già in atto, tese a creare nel paese una tensione sociale che potrebbe portare, in un tempo indefinibile, ad una rivoluzione che sradichi il regime al potere e, insieme – questa è la difficoltà più grande – l’ideologia religiosa che lo sostiene. Su questo punto, l’accostamento al totalitarismo sovietico può aiutarci a comprendere la differenza tra i due totalitarismi: quello sovietico era secolare, potremmo definirlo “terreno”, e per ciò stesso soggetto all’usura del tempo, della storia; quello iraniano è, invece, religioso, cioè “ultraterreno”, “immortale” per i suoi fedeli. Una differenza sostanziale, perché il richiamo alla fede, all’obbligo atemporale per la battaglia per la conquista del mondo è imprescindibile. La seconda possibilità è sul campo di battaglia. La presenza dei soldati americani in una parte della Siria è indispensabile, per tutte le ragioni politico-militari che sono state evidenziate a più riprese. La decisione di Trump di ritirare quelle truppe, per quanto rispondente ad un suo preciso impegno all’atto delle elezioni presidenziali del 2016, non facilita il compito di rendere sempre più difficile la permanenza degli iraniani e degli hezbollah in Siria e in altre zone del Medio Oriente. Le incursioni dell’aviazione americana, unite a quelle israeliane, avevano finora avuto un effetto positivo sulle certezze iraniane. Ora, se la decisione di Trump fosse messa in atto, lo scenario della regione muterebbe, soprattutto a danno di Israele. Tuttavia, fino a questo momento, il ritiro non è avvenuto ed è sperabile che l’opposizione del Pentagono possa far riflettere il presidente americano sulla necessità di non abbandonare il campo e di persistere, insieme a Israele, nel compito di rendere costoso per le casse dello stato il radicamento di Teheran nella regione e di infliggere perdite sostanziali sul terreno. Se tali costi dovessero nel tempo divenire insopportabili e si riflettessero in mondo drammatico sulle condizioni di vita degli iraniani e le certezze sull’incrollabile destino dell’Islam sciita di conquistare il mondo venissero meno nella parte meno fanatica della popolazione, allora si aprirebbe uno spiraglio nella situazione mediorientale.