Anna Frank secondo Cynthia Ozick
Commento di Giuliana Iurlano
Cynthia Ozik
La Shoah impone la memoria e, del resto, “Zakhòr” è l’imperativo più importante per il Popolo del Libro; ma la memoria deve fare i conti con la tendenza innata della nostra mente all’oblio; per un principio di economia, la mente umana non può trattenere miliardi e miliardi di informazioni, perché rischia di andare in tilt. Deve, quindi, selezionare i ricordi. Si può sostenere, insomma, che mentre la tendenza all’oblio è innata, la memoria, invece, è fortemente selettiva ed è soggetta a un processo di natura culturale. Tale processo cognitivo è particolarmente importante per quanto riguarda la Shoah, un evento già di per sé “indicibile”, perché privo del linguaggio adatto a raccontare la disumanità al suo massimo livello. Eppure, i sopravvissuti – dopo un lungo periodo di silenzio – si sono sforzati di trovare le parole per testimoniare la tragedia di sei milioni di ebrei mandati al macello nei lager nazisti. Ma esistono moltissimi casi di oblio voluto o indotto, funzionale ad ammorbidire le responsabilità dei carnefici e dei complici e a impedire alle coscienze di precipitare nell’abisso della disperazione. La cosa più grave, però, è quando la vittima non può più testimoniare, perché la sua vita stessa è stata spezzata nell’universo concentrazionario. È il caso di Anne Frank, l’adolescente che ha parlato attraverso il suo diario e la cui voce è stata volutamente fraintesa ed edulcorata. Più di vent’anni fa, sulle pagine del “New Yorker”, Cynthia Ozick aveva pubblicato un provocatorio articolo dal titolo “Who Owns Anne Frank?”, poi ripubblicato come “The Misuse of Anne Frank's Diary”, tradotto solo recentemente in italiano per la casa editrice La nave di Teseo. A parte l’interrogativo ancora aperto sui motivi della distanza temporale che separa il primo intervento della Ozick dalla sua pubblicazione nel nostro paese, ciò che occorre notare è proprio il merito dell’operazione di distorsione attuato sul “Diario” di Anne Frank. Si può dire che l’“affaire Anne Frank” sia stato il primo caso di lucida mistificazione della Shoah; certamente, le responsabilità di Otto Frank, il padre di Anne, sono note: il suo tentativo di enfatizzare l’idealismo e lo spirito della figlia, di sostituirsi a lei e di interpretarla, addolcendone le parole e i pensieri, sono frutto di un’esperienza di pacifica e deferente assimilazione, che non si interrompe neanche di fronte alla tragedia. Ma è nella riduzione teatrale e cinematografica che la distorsione del pensiero di Anne appare eclatante, soprattutto nel finale fittizio aggiunto alla storia, attraverso quella frase che ispira la speranza nella bontà dell'uomo, “nonostante tutto”. E invece è proprio quel “nonostante tutto” che svela l’inganno, quel non detto che Anne invece aveva espresso con chiarezza e lucidità proprio nell’ultima pagina del suo diario, il 1° agosto del 1944: “Torno a rovesciare il cuore, giro in fuori la parte brutta e in dentro la buona e cerco un modo per diventare come vorrei tanto essere e come potrei essere se... nel mondo non ci fosse nessun altro”. È la disperazione della coercizione alla cattività, il dolore profondo del vivere in gabbia, del dover essere invisibili al mondo intero. La storia di Anne – sostiene la Ozick – non termina con l’ultima pagina del suo diario: termina a Bergen-Belsen, dove la piccola morì di stenti, di pidocchi e di tifo. E ignorare queste pagine non scritte è un grave errore, perché edulcora l’accaduto e fa sperare che il bene vincerà per sempre sul male. Ma non è così, perché – come ha detto Primo Levi – se è accaduto una volta, potrà accadere di nuovo. Ed ecco, dunque, la necessità di rifiutare le indebite appropriazioni delle vite che la tragedia immane della Shoah ha portato via con sé. Yosef Hayim Yerushalmi ha sostenuto, nelle sue “Riflessioni sull'oblio”, che “nel mondo in cui viviamo il problema da affrontare non è più solo il declino della memoria collettiva e la sempre minore consapevolezza del proprio passato; è la violazione brutale di quanto la memoria ancora conserva, la distorsione deliberata delle testimonianze storiche, l’invenzione di un passato mitico costruito per servire i poteri delle tenebre. Soltanto lo storico, con la sua rigorosa passione per i fatti, per le prove e le testimonianze, che sono determinanti nel suo fare, può realmente montare la guardia contro gli agenti dell’oblio, contro coloro che fanno a brandelli i documenti, contro gli assassini della memoria [...], contro i cospiratori del silenzio”.
Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta