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La Stampa Rassegna Stampa
04.02.2019 Iran: missili, fanatismo e carcere per chi protesta. Perché oggi si rivaluta il governo dello Sciah
Cronaca di Paolo Mastrolilli, commento di Rolla Scolari, Francesco De Leo intervista Farah Diba Palhavi

Testata: La Stampa
Data: 04 febbraio 2019
Pagina: 8
Autore: Paolo Mastrolilli - Rolla Scolari - Francesco De Leo
Titolo: «Per i quarant’anni della Rivoluzione islamica l’Iran testa il missile che può colpire l’Europa - Condannate al carcere 13 persone per proteste contro il caro vita - Khamenei pensa all’eroe dei Pasdaran per sostituire l’indebolito Rohani - 'Dall’esilio sof»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2019, a pag. 8 con il titolo "Per i quarant’anni della Rivoluzione islamica l’Iran testa il missile che può colpire l’Europa" la cronaca di Paolo Mastrolilli; la breve "Condannate al carcere 13 persone per proteste contro il caro vita"; con il titolo "Khamenei pensa all’eroe dei Pasdaran per sostituire l’indebolito Rohani", il commento di Rolla Scolari; a pag. 9, con il titolo 'Dall’esilio soffro per il mio popolo. I giovani oggi rivalutano lo Scià', l'intervista di Francesco De Leo a Farah Diba Palhavi, vedova dell'ultimo Sciah di Persia, vive in esilio a Parigi.

Per sapere com'era l'Iran prima di Khomeini, rimandiamo all'intervista di Francesco De Leo al Maestro Ramin Bahrami, pubblicata su IC in data 03/02/2019: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=73594

Ecco gli articoli:

Paolo Mastrolilli: "Per i quarant’anni della Rivoluzione islamica l’Iran testa il missile che può colpire l’Europa"

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Paolo Mastrolilli

L'Iran sfida la comunità internazionale, mostrando un nuovo missile con la capacità di colpire a una distanza di 1.300 chilometri, e il presidente Trump risponde annunciando che lascerà le truppe americane schierate in Iraq, proprio per avere la possibilità di tenere meglio sotto controllo le attività militari di Teheran.
Sabato la Repubblica islamica ha celebrato il quarantesimo anniversario della rivoluzione khomeinista del 1979, e per l’occasione ha mostrato la sua nuova arma. Il missile si chiama Hoveizeh, appartiene alla classe Soumar, e ha una gittata di 1.300 chilometri. Ciò significa che sarebbe in grado di raggiungere facilmente diversi obiettivi in Europa, oltre a quelli in Medio Oriente come Israele o Arabia Saudita. Il ministro della Difesa, Amir Hatami, ha commentato così le sue capacità: «Questo missile cruise ha bisogno di un tempo molto ridotto per essere pronto al lancio, e può volare a bassa quota». Dunque un’arma rapida, facile da usare, e difficile da intercettare.
La questione dei vettori è cruciale, perché rappresenta una della giustificazioni più importanti usate dagli Stati Uniti per abbandonare l’accordo nucleare. Questa intesa infatti riguarda solo lo sviluppo delle armi atomiche, e non limita quello dei missili. Anche i Paesi europei che vogliono tenere in vita l’accordo nucleare riconoscono che questo è un problema, ma sostengono che andrebbe affrontato in un contesto diverso. Washington invece vuole una nuova intesa complessiva, che renda permanenti le limitazioni allo sviluppo delle armi atomiche, e includa anche i missili.
Il presidente Trump ha risposto con un’intervista alla televisione Cbs, in cui ha detto che lascerà le truppe americane in Iraq proprio per tenere sotto controllo le attività belliche iraniane. Il capo della Casa Bianca è stato criticato per il ritiro annunciato dalla Siria, che ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa Mattis, ed è stato visto come un regalo alla Russia e alla Turchia. A questo ha aggiunto la volontà di far rientrare anche i soldati schierati in Afghanistan, spingendo il Senato controllato dai repubblicani ad approvare una risoluzione contraria ad ogni ritiro affrettato. Durante la campagna elettorale Trump aveva criticato duramente l’intervento contro Saddam deciso dal predecessore repubblicano Bush, ma ieri ha risposto così alla Cbs: «Una delle ragioni per cui voglio tenere le basi in Iraq è guardare un po’ all’Iran, perché l’Iran è un problema reale». L’intervistatrice gli ha chiesto se intende conservare queste capacità per avere la possibilità di attaccare la Repubblica Islamica, e lui ha replicato così: «No. Lo faccio perché voglio avere la possibilità di osservare l’Iran. Tutto ciò che voglio è la capacità di osservare». Trump si riferiva in particolare alla Al Asad Air Base dell’Iraq occidentale, che aveva visitato a dicembre, durante il primo viaggio della sua presidenza organizzato per andare a trovare le truppe stanziate all’estero: «Abbiamo speso una fortuna per quella base», quindi tanto vale tenerla aperta e usarla. Il capo della Casa Bianca ha aggiunto che alcuni soldati richiamati dalla Siria potrebbero essere trasferiti proprio in Iraq, per avere la possibilità di tornare a colpire l’Isis, se il Califfato dovesse rialzare la testa.

"Condannate al carcere 13 persone per proteste contro il caro vita"

Il Tribunale Rivoluzionario iraniano ha emesso sentenze di condanna per 13 persone che erano state arrestate durante le manifestazioni dell’agosto 2017, allora indette per protestare contro le ristrettezze economiche e l’inflazione in continua ascesa.
Secondo quanto riferisce l’agenzia ufficiale Irna, i condannati, tra cui cinque donne, sono stati giudicati colpevoli di aver agito contro la sicurezza nazionale, partecipando a manifestazioni non autorizzate. Ad otto di loro è stata inflitta una condanna a sei mesi di prigione, mentre per gli altri la condanna è stata di un anno.
Nei giorni scorsi Amnesty International ha diffuso un report nel quale ha raccontato la repressione da parte del regime contro quanti avevano protestato nell’inverno del 2018.
Negli ultimi anni ci sono state in molte città del Paese ripetute manifestazioni di protesta contro le difficoltà economiche, aggravate dalle sanzioni imposte dagli Usa in particolare sulle vendite di petrolio.

Rolla Scolari: "Khamenei pensa all’eroe dei Pasdaran per sostituire l’indebolito Rohani"

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Rolla Scolari

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha appoggiato su Twitter le proteste in Iran e auspicato che la popolazione iraniana prenda presto una decisione sul futuro della propria leadership. Accadeva tra maggio e giugno, quando da mesi folle arrabbiate scendevano in strada nella Repubblica islamica, nelle sue più remote periferie, contro una difficile situazione economica, la corruzione dei vertici politici e religiosi, un regime accusato d’utilizzare denaro pubblico per missioni militari all’estero: in Siria, in Iraq, in Yemen. Il presidente Donald Trump aveva da poco annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare con Teheran.
Il cambio di regime in Iran è da decenni un’aspirazione delle Amministrazioni americane. Nell’attuale scenario politico ed economico della regione, però, un eventuale cambio ai vertici a Teheran potrebbe non andare esattamente nella direzione auspicata dagli Stati Uniti. Anzi.
A 40 anni dalla Rivoluzione islamica, la salute del regime è precaria. Le proteste continuano, il malcontento sociale rischia di esacerbarsi con il ritorno delle sanzioni americane, re-introdotte nei mesi passati. Il presidente «moderato» Hassan Rohani è in difficoltà: era salito al potere con la promessa di strappare l’Iran dall’isolamento attraverso un accordo nucleare con la comunità internazionale e di rafforzare l’economia con la fine delle sanzioni. Dall’altra parte, i rivali conservatori attribuiscono al leader tutti i mali del Paese. Se da un lato la sua leadership appare fatalmente indebolita, dall’altro il poco organizzato movimento di protesta non si traduce per ora in credibile opposizione politica. E nel 2021 ci saranno le elezioni presidenziali.
Un sondaggio condotto dall’università del Maryland spiega bene perché se l’Amministrazione americana sostiene il «regime change» potrebbe ricredersi: la personalità più celebre dell’Iran è il nemico pubblico numero uno per l’America. Il 64,7 per cento degli iraniani ha un’opinione «molto favorevole» del generale Qasem Soleimani, a capo di quell’unità delle Guardie della Rivoluzione (islamica), o pasdaran, che gestiscono l’espansionismo militare iraniano nella regione: l’uomo che ha resuscitato l’agonizzante regime del dittatore Bashar el-Assad, per intenderci. Il paragone è con il debole 23,5 per cento di sostegno a Rohani. D’altronde, Soleimani è dipinto in patria come l’eroe di guerra che ha sconfitto lo Stato Islamico in Iraq e Siria, il comandante partito per quelle terre a difendere i sacri santuari dello sciismo. Benché abbia sempre mantenuto le distanze dalla politica, prima delle elezioni del 2013 e del 2017 si era parlato di lui come potenziale candidato. Accadrebbe anche oggi: fonti diplomatiche occidentali hanno rivelato che l’opzione dell’uomo forte Soleimani tenterebbe la Guida Suprema Ali Khamenei e i potenti conservatori, che mirano ad arginare i colpi americani e una situazione interna sempre più complicata. Si tratterebbe di un inedito in Iran, dove dal 1979 non c’è mai stato un governo militare.
Soleimani «è il più probabile successore», ha scritto Foreign Policy, spiegando come in realtà non servirebbe neppure un voto, visto che il generale «ha l’autorità legislativa d’intervenire per ristabilire l’ordine; il mandato delle Guardie della Rivoluzione è proteggere il regime da minacce interne ed esterne. Se la rivolta dovesse intensificarsi, Soleimani ha sia l’autorità legale sia pratica di gestire agitazioni civili. Anche se non assumesse formalmente il potere, potrebbe diventare di fatto colui che prende le decisioni».

Francesco De Leo: 'Dall’esilio soffro per il mio popolo. I giovani oggi rivalutano lo Scià'

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Farah Diba Palhavi

La ringrazio per avermi accolto. Comincerei la nostra conversazione chiedendole del ruolo che ha avuto lo Scià in Iran.
«Benvenuto. Credo di poterle dire che quel che resterà nella storia è il patriottismo e l’umanità dello Scià. Ricordo che quando Gunnar Myrdal, Premio Nobel per l’Economia, venne in Iran, disse: “Lo Scià è un filosofo”. Quando lo Scià giunse al potere, l’Iran era un Paese sottosviluppato. E quando il figlio, cioè mio marito ascese al trono, l’Iran, Paese ricchissimo per tradizioni e cultura, ritrovò la sua posizione nel mondo. Lo Scià iniziò a lavorare in tutti i settori: educazione, industria, Università, sanità. Negli Anni Venti del XX secolo, il Paese era molto arretrato, negli Anni Settanta era forse l’unico del Terzo mondo a registrare progressi di grande portata. Avevamo relazioni amichevoli con i nostri vicini e con tutti i Paesi del mondo. Lo Scià sapeva dove andava il mondo, sottolineava l’importanza della Cina e dell’India. Aveva previsto che, se un giorno l’Iran avesse avuto problemi, le ripercussioni avrebbero riguardato l’intera regione. Così avvenne».
Dopo 40 anni di Repubblica islamica, per la prima volta dei ragazzi hanno invocato il nome di suo marito, di suo suocero, chiedendo perdono per avervi allontanato? Cosa prova?
«È molto toccante. Il mondo della comunicazione con Internet permette una migliore informazione e ha probabilmente spinto i genitori a parlare ai figli del mondo pre-rivoluzionario. Molti ragazzi pensano: è colpa dei nostri genitori, se siamo in questa situazione».
Qual è la differenza tra il vostro Iran e quello attuale?
«Parto dalla situazione delle donne: erano libere e avevano il diritto di essere elette. Io stessa sono stata incoronata Imperatrice. Siamo stati il secondo Paese al mondo ad aver avuto un ministro donna, che si occupava della questione femminile. Abbiamo avuto ambasciatrici e parlamentari donna. Le donne erano libere di vestirsi come volevano, il velo non era quel velo-uniforme che è diventato oggi. Si faceva molto per l’Iran in molti settori, soprattutto per l’educazione. Le scuole, come le Università, erano libere e gratuite. Reza Scià rispettava l’ambiente: i pozzi erano nazionalizzati e nessun altro poteva fare perforazioni e crearne altri. Pensi solo alla catastrofe provocata dalla Repubblica islamica, che ha gestito malissimo la rete idrica causando numerose siccità. In ultimo, il rispetto di cui l’Iran godeva nel mondo».
Sono passati 40 anni da quando ha lasciato l’Iran con suo marito. Cosa le manca di più?
«Non è mai passato un giorno, in cui non abbia pensato alle sofferenze della mia gente in Iran. Ora ci sono famiglie che non possono permettersi di mangiare carne per due settimane. Il mio cuore sprofonda nel dolore quando sento che ci sono persino dei bambini che si suicidano per la povertà. Poi, la dipendenza dalla droga, la prostituzione, operai non pagati per mesi, insegnanti pagati male, giornalisti, intellettuali, studenti in prigione. Infine, la corruzione. Mi chiedo come sia possibile governare in questo modo, con una dittatura».
I suoi ricordi più vivi?
«Quella che chiamavamo Rivoluzione Bianca del 1963: una serie di riforme introdotte dallo Scià per gli operai, per mettere fine al feudalesimo, per i contadini, le donne e la scuola. Poi, nel 1973, tutto il controllo del petrolio era nelle nostre mani: estrazione, raffinazione, vendita. Ricordo anche l’attacco all’Iran da parte dell’Iraq, non riuscivo a credere alle mie orecchie quando lo appresi».
Con la rivoluzione cadde una monarchia che aveva regnato per 2500 anni. Avete fatto degli errori?
«Ma come si è potuti passare da Ciro il Grande a Khomeini? È incredibile! Rimpianti? Si possono fare tante ipotesi. Ora è troppo tardi ed è un esercizio inutile. È meglio pensare all’oggi, a come si può cambiare questo regime. Come ho detto, l’Iran era un Paese che si sviluppava in tutti i sensi. Sicuramente vi sono stati degli scontenti e noi non abbiamo saputo gestirli. Devo poi dire che l’Occidente ha avuto un gran ruolo in quel che si è verificato. Abbiamo alzato troppo la voce! Avevamo troppo potere nella regione e soprattutto dopo che l’Opec ha aumentato il prezzo del petrolio nel 1972, sono iniziati gli attacchi dei giornali e dei Paesi esteri».
Ci spieghi meglio.
«Volevamo avere il controllo del Golfo Persico, dell’Oceano Indiano. La cosa non è piaciuta a molte potenze estere, ma ritengo che la cosa più importante sia stato l’aumento del prezzo del petrolio».
Cosa si sente di dire oggi ai suoi compatrioti iraniani?
«Quel che dico sempre è di avere speranza e di non perderla. Questo è molto importante, nonostante la dura repressione. La luce vincerà le tenebre e l’Iran rinascerà dalle sue ceneri. Mio figlio, il Principe Reza, che ha veramente dedicato la sua vita all’Iran per trent’anni, è in contatto con gli iraniani attraverso i social media. Crede a una democrazia laica, ai diritti dell’uomo, della donna, alla libertà di religione e all’integrità territoriale dell’Iran. Io, nella mia situazione, dico ai miei compatrioti di non perdere la speranza, la libertà arriverà».
Suo figlio sogna, e in che modo, di tornare in Iran?
«Come le dicevo è in contatto con iraniani, sia all’interno, sia all’esterno del Paese. Pensa che tocchi agli iraniani scegliere liberamente se vogliono una monarchia o una repubblica. Ovviamente speriamo tutti di rivedere il nostro Paese».
Che ne pensa del forte inasprimento delle sanzioni contro l’Iran?
«Mah, in verità credo che finiscano per colpire soprattutto il popolo».
Qual era il rapporto che avevate con la religione? Il clero iraniano in fondo è stato uno dei grandi fautori della rivoluzione islamica.
«Il Re era credente, pur non praticando intensamente, non pregando cinque volte al giorno o facendo il digiuno del Ramadan. Ha avuto una buona relazione con il clero per anni. La relazione si è però incrinata dopo la Rivoluzione Bianca, con la riforma agraria e la modifica della situazione della donna. Fino ad allora molti religiosi sostenevano il Re. È una storia lunga, vi erano molti gruppi che erano contro la monarchia: i comunisti, i Mujaheddin del Popolo e altri ancora. Hanno pensato che con “Allah u Akbar” e con Khomeini avrebbero sconfitto la monarchia e avrebbero preso il potere, mentre in realtà Khomeini ha approfittato di loro e ne ha assassinati a migliaia. Anche persone colte e intellettuali hanno pensato che Khomeini avrebbe governato bene, il che è francamente incredibile».

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