Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/02/2019, a pag.10, con il titolo "'Nessuna ingerenza in Venezuela': L’Italia non riconosce Juan Guaidó", la cronaca di Maria Rosa Tomasello; con il titolo "L’Europarlamento legittima il presidente ad interim. Ma i governi si dividono", la cronaca di Marco Bresolin; con il titolo 'Vogliamo ristabilire la democrazia, Roma ci aiuti a liberarci di Maduro' l'intervista di Paolo Mastrolilli a Laura Gallo, madre di un attivista italo-venezuelano anti-Maduro; dal FOGLIO a pag.3 con il titolo "Il Parlamento Ue sta con Guaidó. I maduristi fan proposte ingannevoli", il commento di Maurizio Stefanini.
A destra: pro e contro il dittatore Maduro
Lega e Movimento 5 stelle si astengono a Bruxelles e così, di fatto, si allineano al fronte Russia-Cina-Iran, che sostiene a oltranza il dittatore Maduro. L'Italia non ha avuto il coraggio di schierarsi con le democrazie che spingono per la legittimazione di Guaidò in prospettiva di nuove elezioni, e ha preferito fare un altro passo che la avvicina a Mosca.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maria Rosa Tomasello: "'Nessuna ingerenza in Venezuela': L’Italia non riconosce Juan Guaidó"
«L’Italia non riconosce Juan Guaidó». Nel giorno in cui l’Europarlamento chiede a larghissima maggioranza alla Ue di sostenere il presidente del parlamento venezuelano che si è autoproclamato capo dell’esecutivo contro Nicolas Maduro, il sottosegretario pentastellato agli Esteri Manlio Di Stefano conferma la posizione equidistante di Roma: «É un atto politico che rischia di far precipitare la crisi. Siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi possa determinare le politiche interne di un altro Paese: si chiama principio di non ingerenza». Le tensioni nel governo confermano tuttavia che la posizione è frutto di un equilibrio instabile. «Assurde e fuori dalla realtà le dichiarazioni di certi esponenti Cinque stelle, anche di governo - attacca il sottosegretario leghista agli Esteri Guglielmo Picchi, dichiarando “finita” la presidenza Maduro -. La Lega è di tutt’altra opinione e soffre le posizioni ideologiche. La linea del governo è quella espressa da Moavero in Parlamento». L’Italia - aveva affermato in aula il ministero degli Esteri - si riconosce «pienamente» nella posizione Ue e punta a «elezioni libere».
Ma nonostante i distinguo e l’insofferenza di Matteo Salvini per il «regime di fame» di Nicolas Maduro, quattro giorni dopo il duro botta e risposta tra il ministro dell’Interno e il battitore libero del M5S Alessandro Di Battista sulla crisi, a Strasburgo a maggioranza si ricompatta. Lega e Cinque Stelle si astengono sulla risoluzione che chiede alla Ue di riconoscere Guaidó «come unico e legittimo presidente ad interim» fino a nuove elezioni. «Il riconoscimento è una prerogativa degli Stati membri» e non della Ue, precisa l’Alto rappresentante Federica Mogherini.
«Moavero sconfessato di nuovo» osserva Annamaria Bernini, capogruppo di Forza italia al Senato parlando di «inaccettabile comportamento pilatesco». Gli eurodeputati leghisti difendono la propria scelta: «Un voto positivo vorrebbe dire anche aumentare le difficoltà socio-economiche alle quali andrebbero incontro i nostri connazionali, e i molti europei, presenti in Venezuela fino alle prossime elezioni».
L’indicazione dei parlamentari europei è però netta: il testo passa con 439 voti a favore, 104 contrari e 88 astenuti. Tra questi ultimi ci sono cinque deputati del Pd, Goffredo Bettini, Brando Benifei, Cécile Kyenge, Andrea Cozzolino ed Elena Gentile, che con la loro scelta mettono in subbuglio il partito, alle prese con un difficile congresso. Simona Malpezzi, portavoce della mozione di Maurizio Martina, interroga Nicola Zingaretti: «Che ne pensa, visto che tra gli europarlamentari astenuti c’erano alcuni suoi sostenitori?». Replica Bettini: «Tutti siamo contro Maduro. Con l’astensione abbiamo voluto marcare una distanza rispetto a un riconoscimento unilaterale di Guaidó che potrebbe accelerare una guerra civile devastante».
La Stampa - Marco Bresolin: "L’Europarlamento legittima il presidente ad interim. Ma i governi si dividono"
Marco Bresolin
«Vi siamo vicini. E il nostro è un messaggio forte all’interno dell’Ue, ma anche fuori». Nelle prime ore del pomeriggio Antonio Tajani telefona a Juan Guaidó per comunicargli che il Parlamento europeo lo riconosce presidente a interim del Venezuela. Quello che arriva dalla mini-plenaria di Bruxelles è un messaggio forte. Un gesto che fa dire al presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana: «L’Europa è con noi».
In realtà si tratta più che altro di un segnale politico. Un gesto di forma, certamente simbolico, che però non può riempirsi di sostanza giuridica. La risoluzione approvata ieri non è vincolante, dunque non ha valore legale. Gli eurodeputati hanno votato a larga maggioranza per dire che riconoscono la leadership di Guaidó e chiedono all’Alto Rappresentante per la politica estera Ue di fare altrettanto. Ma poche ore dopo, da Bucarest, la richiesta del Parlamento si è subito scontrata con la realtà dei fatti. «Il riconoscimento è una prerogativa degli Stati membri - ha ricordato Federica Mogherini -, che se la trattengono molto gelosamente». Ecco, il punto sta qui: l’Ue non può riconoscere la legittimità di Guaidó perché non spetta a lei farlo. L’Alto rappresentante ha ricordato il caso del Kosovo, che non è riconosciuto da cinque Stati Ue.
Novanta giorni
Però l’Unione europea può cercare comunque di entrare in gioco per provare ad avvicinare le parti. Ed è quello che farà. Proprio ieri da Bucarest - dove erano riuniti i ministri degli Esteri dei Ventotto - Mogherini ha annunciato che l’Ue coordinerà un gruppo di contatto che avrà l’obiettivo di «favorire il dialogo» (i diplomatici europei preferiscono evitare di usare il termine «mediazione»). Ne faranno parte diversi Paesi europei (tra cui l’Italia, la Francia, la Germania e il Regno Unito) ma anche Stati sudamericani (come Ecuador e Bolivia). La prima riunione è già in agenda per la prossima settimana e l’orizzonte temporale di lavoro si estenderà per i prossimi 90 giorni, durante i quali si cercherà di far uscire Caracas dalla crisi attraverso nuove elezioni. Nel frattempo, in assenza di sviluppi positivi, Mogherini ha confermato che l’Ue potrebbe adottare nuove sanzioni. Ma nessun riconoscimento ufficiale a Guaidó.
La geografia politica
Una sorta di riconoscimento (simbolico) a nome dell’Ue sarebbe possibile soltanto in un caso: se tutti i governi fossero d’accordo. Perché in Europa le decisioni di politica estera si prendono all’unanimità. Il fatto è che la geografia politica sul tema Venezuela presenta diverse sfumature. Il quadro non è frastagliato, ma ci sono due-tre gruppi di Paesi riuniti attorno a posizioni diverse. E il voto di ieri all’Europarlamento rispecchia abbastanza fedelmente la situazione al tavolo dei governi. L’Italia è alla guida dei «no-Guaidó», ossia di quegli Stati che sono contrari a riconoscerlo come presidente del Venezuela perché si tratterebbe di «un’ingerenza». La pensano così anche la Grecia e la Svezia. All’ultimo tavolo dei ministri degli Esteri è emersa la cautela di altri due Stati: Finlandia e Bulgaria.
L’ultimatum di Macron
Il resto dei Paesi Ue è sostanzialmente sulla linea del Parlamento europeo. Ma anche qui vanno registrate alcune sfumature perché non tutti intendono premere sull’acceleratore. Francia, Spagna, Regno Unito, Germania e Portogallo sono invece pronte a far rispettare l’ultimatum di 8 giorni lanciato sabato scorso, dunque a riconoscere Guaidó già domenica, nel caso in cui Maduro non convocasse nuove elezioni. Parigi lo ha ribadito anche ieri. Seguono a ruota i Paesi Visegrad e in particolare l’Ungheria. Ieri Viktor Orban ha parlato al telefono con il leader del partito popolare spagnolo, Pablo Casado. «Maduro se ne deve andare immediatamente - dice Budapest -. L’Europa deve riconoscere la presidenza di Guaidó».
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: 'Vogliamo ristabilire la democrazia, Roma ci aiuti a liberarci di Maduro'
Paolo Mastrolilli
«Ringrazio il governo italiano per l’aiuto che ci ha dato nell’ottenere la liberazione di mia madre, ma lancio un appello affinché Roma riconosca la necessità di ristabilire la democrazia in Venezuela». La preoccupazione si avverte nella voce di Gabriel Gallo, per ragioni tanto personali, quanto politiche.
Sua madre Laura, doppia cittadinanza italiana e venezuelana come lui, era stata arrestata il 23 gennaio durante le prime manifestazioni. Ieri è stata rilasciata con la condizionale, ma la procura ha fatto ricorso, e come gli altri 850 detenuti politici del regime di Maduro rischia ancora di finire in carcere per parecchi anni, nonostante sia malata. Lui poi è anche un politico emergente di Voluntad Popular, il partito del presidente ad interim Guaidó, e quindi ora sta mettendo a rischio la sua stessa libertà per lavorare alla transizione verso nuove elezioni.
Quando e dove era stata arrestata sua madre?
«Il 23 gennaio, durante la prima manifestazione, mentre usciva da un’auto».
Perché l’avevano fermata?
«Era stata una detenzione arbitraria, decisa su istruzioni politiche del governatore dello stato di Yaracuy, allo scopo di cancellare i veri obiettivi e le intenzioni della protesta, accusando i partecipanti di atti di violenza. È la stessa ragione per cui hanno arrestato gli adolescenti. Il governatore ha confessato di aver dato istruzioni di condannarli».
Perché?
«In tutto il Paese hanno arrestato 79 minorenni per dimostrare che i responsabili delle violenze sono i manifestanti. È un piano politico di intimidazione per evitare che la gente protesti».
Sono circolate anche denunce di reclutamenti forzati di minorenni da parte della Guardia Nacional.
«Le abbiamo sentite, ma non abbiamo prove verificate».
Sua madre Laura dove è nata?
«In Venezuela, ma è anche cittadina italiana, come me».
È una militante?
«Sì, attivista politica e per la difesa dei diritti umani».
E lei che ruolo ha?
«Sono il coordinatore regionale di Voluntad Popular e Foro Penal a Yaracuy. Alle scorse elezioni ero candidato governatore».
Crede che abbiano arrestato sua madre per colpire lei?
«Chiaro. Siamo vittime di una persecuzione politica».
Dove è stata detenuta sua madre?
«Nell’Instituto Nacional de Orientación Femenina del Muncipio di Sucre, nello stato di Yaracuy».
Aveva parlato con lei?
«Un minuto, il giorno dell’udienza».
Come l’hanno tratta?
«Era in una cella con altre 6 persone private della libertà, in condizioni molto deplorabili. È stata detenuta ingiustamente, ed è rimasta colpita moralmente da questo tipo di aggressione».
L’hanno liberata per motivi di salute?
«Soffre di ipertiroidismo e ha subito una paralisi facciale. Però ha l’obbligo di presentarsi in caserma ogni 15 giorni, in attesa del processo. La procura ha fatto ricorso e non le hanno neanche dato un documento che attesta la libertà condizionale. Molti altri prigionieri politici poi restano in carcere. Nel mio stato ci sono 104 casi detenzione arbitraria».
Cosa rischia nel processo?
«La procuratrice del regime, Normely Pérez, aveva chiesto una condanna tra 15 e 20 anni di prigione. Il giudice Eloy Granados del Tribunal Tercero de Control aveva emesso una misura sostitutiva della detenzione, ma la procuratrice aveva chiesto di sospenderla, facendo ricorso alla Corte d’Appello. Così sarebbe potuta rimanere in prigione a tempo indeterminato. Ma ora potrebbe ancora essere condannata a 20 anni di carcere nel processo».
Lei conosce il presidente Guaidó?
«Abbiamo condiviso la lotta politica quando eravamo rappresentanti degli studenti nelle nostre università. Appena finisco questa intervista con lei vado ad incontralo».
Crede alla possibilità di una transizione pacifica?
«Totalmente. Ciò richiede di costruire ponti con gli attori che sostengono il regime, e su questo stiamo lavorando. Grazie agli appoggi e alle pressioni in corso, spero che ci riusciremo. Ora mi preoccupa la posizione che prenderà l’Unione europea».
L’Italia vi ha aiutati ad ottenere la liberazione di sua madre, però resta ambigua sul riconoscimento di Guaidó.
«Credo ancora che possa cambiare. La posizione presa dal Parlamento europeo, e l’ultimatum di Bruxelles affinché Maduro tenga le presidenziali, che non convocherà, porranno l’Italia davanti alla necessità di compiere una scelta».
Vuole lanciare un appello a Roma per il riconoscimento di Guaidó?
«Sì. Mi appello all’Italia affinché riconosca la necessità di ristabilire la democrazia in Venezuela per via elettorale, trovando una formula che permetta un nuovo patto sociale per uscire dall’usurpazione di Maduro, costituire un governo di transizione e convocare le elezioni, per risolvere i nostri conflitti politici attraverso il dialogo democratico e il voto».
I militari accetteranno l’amnistia offerta da Guaidó, o si rischia un bagno di sangue?
«Sono convinto che la grande maggioranza dei militari e dei funzionari pubblici sia favorevole a questa idea. Certamente non lo sono i piccoli gruppi della cupola di potere che sostiene il regime, e resterà aggrappata a Maduro fino alla fine».
Il Foglio - Maurizio Stefanini: "Il Parlamento Ue sta con Guaidó. I maduristi fan proposte ingannevoli"
Maurizio Stefanini
Roma. Il Parlamento europeo ha riconosciuto Juan Guaidó come legittimo presidente del Venezuela: una risoluzione approvata con 439 sì contro 104 no e 88 astensioni e che non ha una rilevanza pratica immediata, dal momento che era non legislativa e non vincolante. C’è un forte invito alla riunione informale dei ministri degli Esteri – in agenda a Bucarest ieri e oggi – a prendere una posizione più energica rispetto alla semplice proposta di creazione di un gruppo di contatto. Lo scorso fine settimana i governi di Madrid, Parigi, Berlino e Londra hanno già detto che, se Maduro non convocherà elezioni libere, riconosceranno Guaidó – che ieri ha subito altre intimidazioni dalla polizia – e anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini, ha annunciato iniziative nel caso in cui non saranno convocate a breve “elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili in conformità con gli standard democratici internazionali e con l’ordine costituzionale venezuelano”. Il Partito cinque stelle italiano ipotizza invece un asse tra Italia e Grecia “per spingere l’Unio - ne europea ad abbandonare posizioni che rischiano di alimentare quell’escalation di violenza incontrollata di cui ha parlato Papa Francesco e di cui siamo tristi testimoni negli ultimi anni in tanti paesi”. Tentazioni pro Maduro sono presenti anche in Portogallo e potrebbero trovare seguito nella stessa Spagna, il cui ministro degli Esteri Josep Borrel ha detto che il suo governo non vuole un regime change. Dal punto di vista politico, però, il voto degli eurodeputati è un fatto rilevante. Anche per illustrare il caos politico italiano, con il presidente Tajani fortemente schierato a favore della democrazia in Venezuela e i due partiti di governo che invece hanno trovato in una pilatesca astensione la quadra tra il filomadurismo dei Cinque Stelle e una Lega che invece ha preso in quantità voti di italovenezuelani antimaduristi. Tant’è che ancora il 24 gennaio la capogruppo leghista al Parlamento europeo Mara Bizzottto aveva rilasciato un comunicato stampa in cui chiedeva: “Italia e Ue riconoscano Juan Guaidó nuovo presidente del Venezuela, per spazzare via la dittatura comunista di Maduro”. “Il Movimento Cinque Stelle voleva votare contro: la Lega con l’astensione ha evitato quel voto contro così da facilitare una presa di posizione ufficiale da parte del governo italiano”, prova a spiegare al Foglio un esponente di questa lobby italovenezuelana salviniana. Manon ci crede troppo neanche lui. Miserie nostrane a parte, però, si tratta di un altro appoggio incassato da Guaidó: dopo quelli di Stati Uniti, Canada, Gruppo di Lima, Israele, Australia; dopo il 9 a 6 al Consiglio di Sicurezza; dopo la decisione di Trump di congelare i beni della Pdvsa negli Stati Uniti. In compenso, la conferenza dei “paesi neutrali” annunciata da Messico e Uruguay per il 7 febbraio a Montevideo è una mossa a favore di Maduro. I promotori dicono infatti di voler restare al di sopra delle parti, ma in concreto riconoscono l’erede di Chávez. “Lo scopo di questa conferenza sarà di definire le basi per stabilire un nuovo meccanismo di dialogo che, con l’inclusione di tutte le forze venezuelane, aiuti a restituire la pace e la stabilità in quel paese”, spiega la nota di convocazione. Non si sa bene chi sarà la “decina di paesi ed organismi internazionali” che parteciperà. A sentire i Cinque stelle, forse perfino Italia e Grecia. Ma la volontà di Maduro di trattare sul serio è minima. Molto si è parlato della sua offerta, nell’intervista a Ria Novosti, di anticipare le elezioni politiche invece delle presidenziali. Ma è proprio l’Assemblea nazionale che alle ultime elezioni è stata conquistata dall’opposizione e a cui il governo ha impedito di funzionare con un colpo di stato continuato. Dire una cosa del genere sarebbe più o meno come proporre una grazia a Asia Bibi in cambio della sua conversione all’islam.
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
La Stampa: 011/ 65681
Il Foglio: 06/ 5890901
oppure cliccare sulle a-mail sottostanti