Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/01/2019, a pag. 14 con il titolo "Esecuzioni segrete e retate di notte. Così Maduro punisce gli oppositori" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
La repressione da parte del regime di Maduro è già cominciata. Forse non è ancora evidente come durante le proteste del 2017, ma i numeri sono impressionanti: 35 omicidi e 850 arresti, inclusi 77 minorenni, nel breve periodo compreso tra il 21 gennaio e ieri. La denuncia è venuta dal Foro Penal e da altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani, durante una conferenza stampa tenuta a Caracas alla vigilia della grande manifestazione nazionale di domani, che potrebbe diventare il pretesto per compiere nuovi atti di violenza.
Juan Guaidò
Il Foro Penal è un gruppo di avvocati venezuelani, che offre assistenza legale ai detenuti e perseguitati politici. Il suo direttore, Alfredo Romero, ha cominciato così l’incontro con i giornalisti: «Dal 21 gennaio ad oggi, 850 persone sono state detenute, la maggior parte nelle zone popolari». Questa forse è la ragione principale per cui la repressione non è ancora stata notata abbastanza dai media, perché gli arresti avvengono soprattutto di notte, nei barrios più poveri e pericolosi come Petare, Catia, 23 de Enero, dove la gente non si avventura troppo. Romero ha aggiunto che «ci sono al momento 976 detenuti politici in Venezuela. Di questi, 696 sono stati presi il 23 gennaio», giorno in cui Guaidó ha giurato come presidente ad interim, durante una manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di persone. Tra gli 850 arrestati dal 21 gennaio ad oggi, secondo il direttore di Foro Penal ci sono «77 adolescenti di età compresa fra i 13 e i 14 anni, fermati in maniera arbitraria, e 100 donne».
Rafael Uzcátegui, direttore del Programa Venezolano de Educación-Acción en Derechos Humanos, ha rivelato che almeno 35 persone sono state assassinate dai funzionari della polizia durante le proteste anti-governative. «La cifra - ha spiegato Uzcátegui - è corroborata, con nome, cognome, luogo e presunti responsabili degli omicidi». Secondo Marco Ponce, coordinatore dell’Observatorio Venezolano de Conflictividad Social, la maggioranza dei morti sono caduti a Caracas e nei barrios della periferia, con 10 vittime, seguita dallo Stato di Bolívar con 8.
Le violenze e le minacce non sono state limitate a chi ha perso la vita, ma anche ai loro famigliari. «Abbiamo diverse denunce - ha rivelato Uzcátegui - dove si omette la partecipazione delle forze speciali Faes negli omicidi. I parenti si sentono obbligati ad accettare questa menzogna, perché altrimenti li minacciano di non restituire loro i cadaveri».
Riguardo agli arresti, il membro del direttivo di Foro Penal Gonzalo Himiob ha spiegato che le accuse più diffuse sono «associazione a delinquere, terrorismo e danno alla proprietà». Questo è un altro elemento importante, perché consente alle autorità di sostenere che gli arresti sono stati fatti per attività criminali, e non politiche. Non a caso, però, «la maggioranza delle detenzioni sono avvenute dopo le manifestazioni, incluse persone che non erano coinvolte». Solo la metà degli arrestati è comparsa finora davanti a un tribunale, e quindi per molti di loro non sono note né le imputazioni, né il luogo fisico dove si trovano. Le statistiche dei mesi scorsi riportavano che la maggior parte dei detenuti politici erano stati portati nel famigerato carcere di Ramo Verde, dove erano finiti anche l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma e il fondatore del partito Voluntad Popular Leopoldo Lopez. Subito dopo, in termini numerici, venivano gli arresti domiciliari e le persone rinchiuse nel Centro Simon Bolivar. Alcuni però erano anche nella sede del temuto servizio di Intelligence Sebin.
Melanio Escobar, direttore di Redes Ayuda, ha chiesto anche che cessino immediatamente tutte le azioni di intimidazione contro i mezzi di comunicazione, condotte dalla Comisión Nacional de Telecomunicaciones.
La repressione del 2017 era stata molto più evidente: le manifestazioni erano durate a lungo, meno pacifiche di quelle avvenute finora. Nei bastioni dell’opposizione, come Chacao e piazza Altamira, c’erano le barriere di fuoco in strada e i ragazzi incappucciati che sfidavano i poliziotti. I colectivos, cioè i gruppi paramilitari armati dal regime, infiltravano le proteste e sparavano alla gente. Alla fine erano morte circa 200 persone, ma il governo aveva tenuto perché i militari avevano deciso di non scaricarlo. Poi Maduro aveva indetto le elezioni per l’Assemblea Costituente, con cui puntava a esautorare l’Assemblea Nazionale, dove gli oppositori avevano ottenuto democraticamente la maggioranza nel 2015. La dinamica potrebbe iniziare a cambiare con la manifestazione di domani. Proprio per questo Guaidó, che ieri ha esplicitamente ringraziato Macron e Sánchez, ha lanciato un appello ai militari: non sparate sul popolo venezuelano che protesta. Ha detto di aver avviato contatti con i loro leader per convincerli ad abbandonare il regime e appoggiare la transizione pacifica verso nuove elezioni.