Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/01/2019, a pag.17, con il titolo "Ritiro della Nato e lotta all’Isis. Intesa vicina fra Usa e i taleban" l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Manca l’annuncio ufficiale, tutto può andare storto all’ultimo momento, ma l’accordo fra gli Stati Uniti e i taleban è definito nei dettagli, pronto alla firma che dovrebbe mettere fine a 17 anni di guerra in Afghanistan. Le trattative condotte da anni in Qatar hanno avuto la scorsa settimana una accelerazione decisiva, con l’arrivo del più autorevole rappresentate degli studenti barbuti, il co-fondatore del gruppo Abdul Ghani Baradar, rilasciato dalle autorità pachistane lo scorso ottobre proprio per facilitare l’intesa. Ieri l’inviato speciale della Casa Bianca Zalmay Khalilzad ha incontrato il presidente Ashraf Ghani per sottoporgli la bozza concordata, che ruota attorno a due cardini: ritiro delle truppe Nato entro 18 mesi e rottura totale dei taleban con Al-Qaeda e l’Isis, con l’impegno a combatterli e impedire che l’Afghanistan ridiventi un «santuario» dei jihadisti, come ai tempi del mullah Omar e di Osama bin Laden.
Militari americani in Afghanistan
La risposta di Ghani è stata sibillina, ma ha lasciato intendere che l’accordo ha l’avallo del governo di Kabul, tenuto fuori dalle trattative per volontà degli stessi taleban. In un discorso alla tv ha detto che «nessun afghano vuole truppe straniere nel suo Paese», le forze Nato sono in Afghanistan «soltanto in base ai bisogni di sicurezza» e l’obiettivo è «portare il numero di soldati stranieri a zero». È la conferma del primo punto, il ritiro. La Casa Bianca non ha commentato, ma ufficiali anonimi citati da media americani come il Wall Street Journal hanno confermato. I colloqui «hanno fatto progressi significativi», anche se occorrono «nuovi negoziati per la tempistica e per istituire un cessate il fuoco definitivo», mentre Washington «non sente il bisogno di una presenza militare permanente in Afghanistan».
Segno che tutti i 14 mila militari ancora presenti sono destinati a tornare a casa. Il contingente americano ha raggiunto un picco nel 2011, con 110 mila soldati. La Nato in totale è arrivata a schierarne oltre 150 mila. Oggi sono 16 mila, 900 italiani, che il ministero della Difesa ha deciso di far rientrare, in anticipo rispetto agli alleati, anche sull’onda delle indiscrezioni. Ma è stato lo stesso segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ad avvertire che il ritiro non avverrà «prima di avere una situazione che lo permetta». L’Alleanza lavora comunque «per favorire l’accordo di pace» e il clima di ottimismo è stato confermato da funzionari qatarini, dopo un tweet trionfalistico dell’inviato speciale Khalilzad, dall’aereo che lo riportava sabato da Doha a Kabul.
Khalilzad, nato in Afghanistan ma con passaporto Usa, un ex falco dell’amministrazione Bush che aveva persino pensato di candidarsi alla presidenziali afghane prima di essere stoppato da Obama, ha convinto anche Ghani. Era l’ultimo scoglio, perché il governo di Kabul rischia di essere il grande perdente. Dovrà accettare una coalizione assieme ai suoi implacabili nemici, responsabili, ha detto due giorni fa lo stesso Ghani, «dell’uccisione di 45 mila militari». Ora i taleban concentreranno le loro forze contro Al-Qaeda e l’Isis, qualche migliaio di jihadisti irriducibili. Fonti talebane hanno ribadito al Wsj che non sarà mai più permesso «ad Al-Qaeda o all’Isis di fare dell’Afghanistan una base per attaccare gli Stati Uniti». Gli eredi del mullah Omar, che già oggi controllano metà del territorio, non proporranno un regno del terrore come quello instaurato dal 1996 al 2001, ma una forma di legge islamica più moderata simile a quella in vigore in Pakistan, grande sponsor dell’accordo.
A Washington può bastare. Per estirpare i jihadisti ed eliminare Bin Laden, l’America ha combattuto per 17 anni sulle montagne che già videro la disfatta dell’esercito sovietico, e ha perso oltre duemila soldati. Le vittime complessive, fra militari stranieri, afghani, combattenti islamisti e civili, sono stimate fra 110 e 150 mila. Per mettere la parola fine servirà l’imprimatur del presidente Ghani e soprattutto dell’autoproclamato «emiro» Hibatullah Akhundzada, oltranzisti permettendo. Ma in fondo sono tutti Pashtun, compreso l’inviato Usa Khalilzad. E sotto una tenda, dopo una sfilza infinita di bicchierini di tè, un compromesso si trova. Il mullah Omar è morto in un letto di ospedale a Karachi, Bin Laden è stato eliminato dai Navy Seals. È tempo di voltare pagina.
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