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Informazione Corretta Rassegna Stampa
27.01.2019 La gratuita benevolenza per gli ebrei morti nella Shoah e lo scandalo dell'Unione Sarda
Giuliana Iurlano, Deborah Fait ricordano il 27 gennaio

Testata: Informazione Corretta
Data: 27 gennaio 2019
Pagina: 1
Autore: Giuliana Iurlano-Deborah Fait
Titolo: «La gratuita benevolenza per gli ebrei morti nella Shoah- Un esempio di antisemitismo infame»

Anche oggi, come nei giorni scorsi, la memoria della Shoah è presente su tutti i media italiani. Rievocazioni oneste, che non riprendiamo non essendo questo il nostro compito, non siamo una rassegna stampa, ma chi ci legge siamo certi che comprenderà la nostra scelta. Sulla maggioranza dei media, però, il richiamo al 'dovere della memoria' diventa una occasione per spargere i veleni del nuovo antisemitismo, che si nasconde dietro la maschera della 'critica a Israele', nelle forme più becere, che non desta alcuna protesta, come racconta Deborah Fait a proposito del pezzo uscito sull'Unione Sarda firmato dal direttore.

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Giuliana Iurlano: " La gratuita benevolenza per gli ebrei morti nella Shoah"

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il "Giorno della Memoria", a seguito della risoluzione 60/7 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1° novembre 2005. In questi 14 anni molto è cambiato: la Shoah è diventata un evento ormai profondamente conosciuto e condiviso soprattutto tra i giovani; nelle scuole le attività di analisi e di rielaborazione storica sono aumentate in maniera esponenziale, spesso accompagnandosi ai viaggi sui Treni della Memoria per visitare Auschwitz e sentire quell’emozione fortissima che poi porta veramente a non dimenticare. E, tuttavia, non basta ancora a porre un argine all’antisemitismo, che è un fenomeno antico, profondo, poliedrico, capace di trasformarsi e di cambiare volto, adattandosi a sempre nuove situazioni. Ma non è un fenomeno che possa essere indagato, studiato, conosciuto soltanto dal punto di vista emozionale o come un lungo processo persecutorio e pregiudizievole verso gli ebrei accaduto nel passato, o ancora come un percorso di costruzione di uno stereotipo sempre uguale a se stesso, quasi ripetitivo e perciò facilmente controllabile oggi. Il meccanismo della costruzione dello stereotipo antiebraico è, invece, ancora molto attivo e presente e non corrisponde sempre alle caratteristiche che hanno portato alla tragedia della Shoah. Nel lavoro costante tra i giovani e nella società manca ancora un elemento importante, che viene fortemente sottovalutato: i nuovi “attributi” che oggi vanno a definire il concetto di “ebreo” e che sono quelli che rimandano ad un nuovo antisemitismo post-Shoah. Insomma, finché l’ebreo ispira pietà, commozione, emozioni forti per la sua sorte e per le condizioni in cui viene tenuto nei ghetti e nei campi di sterminio, tutto va bene e l’animo di chi ascolta e apprende si predispone in maniera positiva; non appena, però, si va al di là della Shoah, si guarda all’oggi, ad Israele, allo Stato che gli ebrei hanno costruito, allora le cose cambiano. Le domande si fanno “cattive” e provocatorie (“Perché gli ebrei si comportano oggi con i palestinesi come i nazisti si comportavano con loro?”) e si nega proprio agli ebrei quello che è stato il percorso statuale che tutti i popoli, a partire dall'Ottocento, hanno vissuto. Il termine “sionismo” non significa affatto, in tale logica, un percorso “nazionale”, simile e parallelo a quello di tanti altri popoli europei, ma acquisisce un’accezione fortemente negativa, subdolamente implicante tre elementi: il rifiuto della diaspora (che implicitamente diventa lo status costitutivo e il destino segnato di tutti gli ebrei); la volontà di non integrarsi nelle società ospitanti (ritorna sotto sotto il tema della “doppia lealtà”), pur sapendo benissimo che quelle società un tempo ospitanti, dopo la seconda guerra mondiale, hanno tolto loro tutto quello che avevano; la volontà colonialista ed imperialista insita nella costruzione di una realtà statuale sovrana a spese dei poveri palestinesi. Nessuno, cioè, si pone il problema del fatto che gli ebrei in “Palestina” (termine, tra l'altro, improprio) vi stavano da millenni e che anche lì sono stati ridotti alla condizione di dhimmi dai conquistatori arabi, e nemmeno che quelle terre, sin dalla fine dell’800, fossero state acquistate dall’Agenzia Ebraica, e nemmeno che il piano del Gran Muftì di Gerusalemme, alleato di Hitler, fosse proprio quello di sterminarli. Quello che oggi manca è la continuazione, il dopo-Shoah: non è più pensabile che l’ebreo venga accettato solo come vittima, perché così non si fa altro che riprodurre il vecchio stereotipo, senza sforzarsi di capire che il nuovo pregiudizio è molto più pervasivo e pericoloso. Rifiutare l’idea che l’ebreo possa avere un proprio Stato e che possa difendersi in armi da chi lo attacca significa rivitalizzare e adattare i vecchi pregiudizi, così come collegare – durante il Giorno della Memoria – i lager ai campi di accoglienza dei migranti di oggi, oppure sostenere che i sopravvissuti alla Shoah fossero anch’essi “migranti” in cerca di accoglienza, significa veramente non aver chiaro il quadro storico, significa comparare arbitrariamente eventi storici molto differenti e, in tal modo, sminuire quella che fu l’unicità del piano nazista di “soluzione finale”. Un’ultima osservazione: gli ebrei furono perseguitati anche in Unione Sovietica, furono mandati nei gulag e, a partire dagli anni Settanta, costretti a restare nel paese perché veniva negato loro il visto sui passaporti. Insomma, perché il Giorno della Memoria continui a dire ancora qualcosa di importante, soprattutto in merito alla capacità della mente umana di riprodurre stereotipi e pregiudizi, occorre guardare anche a ciò che i sopravvissuti e tanti altri ebrei hanno creato: un loro Stato, Israele, oggi unica realtà democratica del Medio Oriente.

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Deborah Fait: " Un esempio di antisemitismo infame"


Se la memoria non mi inganna credo di non aver mai letto un articolo così barbaramente antisemita, così infame, degno di essere pubblicato sui peggiori giornali oscurantisti e razzisti. La segnalazione ci è arrivata da Mario Carboni, presidente dell'Associazione Chenàbura-Sardos pro Israele e dell'Associazione Italia Israele sezione Sardegna, che ringraziamo. La Sardegna ospita molti studenti arabi palestinesi che hanno creato, come sono soliti fare ovunque si trovino, un'atmosfera ostile agli ebrei e di odio contro Israele. Evidentemente l'Unione Sarda, il giornale più importante dell'isola, da voce all'atmosfera che serpeggia in Sardegna ma mi chiedo come mai il suo direttore non capisca quanto sia aberrante tutto ciò. Il pezzo scritto dal vicedirettore Ivan Paone è talmente indecente che ho impiegato un po' a digerirlo e ancora lo sento come un mattone sullo stomaco. Il disprezzo che si legge nelle parole di Paone, lo scherno volgare, la cattiveria stupidamente inutile in occasione della Giornata della Memoria, danno un senso di rabbia, di nausea. Quello che scrive è meschino, indecente, indegno di qualsiasi persona che abbia il minimo, ma proprio il minimo, di umana sensibilità. Cosa si può dire a chi ha il coraggio di scrivere, senza vergognarsene ( anzi sembra divertito), simili porcherie? Ricordargli cosa fu la Soluzione Finale del Popolo Ebraico? Era questo è il nome del progetto nazista, risolvere, con la morte di tutti gli ebrei, il problema ebraico. Non dei rom o dei sinti, non degli handicappati o dei Testimoni di Geova o degli omosessuali. Questi poveri esseri umani venivano uccisi quando li trovavano, sono stati il contorno al genocidio degli ebrei ma per nessuno di loro scattò mai il progetto di eliminarli completamente dal mondo. Gli ebrei invece dovevano morire tutti, fino all'ultimo, dovevano morire i bambini ebrei, 1.500.000 di bambini, famiglie intere, dovevano morire coloro che li aiutavano a nascondersi, dovevano essere eliminati tutti, fino alla settima generazione. Non era mai successo nella storia che dei burocrati programmassero in modo industriale la morte di un intero popolo e decidessero di mandare un esercito in ogni nazione europea, dalla Scandinavia alla Grecia, per catturarlo e trasportarlo verso i campi della morte polacchi o tedeschi. Gli ebrei e solo gli ebrei! Nessun altro! Ivan Paone vuole una giornata della memoria per i palestinesi cacciati, secondo lui, dai cattivi sionisti. I palestinesi furono convinti di lasciare le loro case non dagli ebrei ma dalle nazioni arabe che avevano loro promesso di distruggere Israele con la guerra. Però se Paone insiste potrebbe chiedere a qualche deputato di aprire una mozione per ricordare il terrorismo palestinese che tanti morti ha fatto nel mondo. La Shoah è stata una e unica, incomparabile a nessun altro genocidio e tale continuerà ad essere, piaccia o no al signor Paone. Gli consiglierei di chiudersi in casa il 27 gennaio per non avvelenare con la sua presenza l'atmosfera di dolore e di solennità di chi ricorderà con cuore sincero lo sterminio di sei milioni di ebrei. Non credo che Ivan Paone, immerso com'è nel suo odio, capirà le mie parole ma spero che il direttore dell'Unione Sarda si renda conto di quanto sia controproducente rovinare un giornale con simile immondizia antisemita.


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