Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/01/2019, a pag.15, con il titolo "Arresti, torture ed esecuzioni in carcere: così l'Iran reprime le rivolte per il pane" l'analisi di Giordano Stabile
La speranza per l'Iran non sta nell'arrivo di qualche ayatollah 'moderato' - una illusione dato che il potere vero è nelle mani dell'ayatollah n°1 - ma in una rivolta che abbatta il regime. Ma anche questa è una utopia, senza un intervento esterno, la repressione del governo è tale che ogni dissenso viene punito anche con la morte.
Sui nostri media appaiono ogni tanto pezzi di costume, innoqui, ovviamente. Il comportamento delle democrazie di fronte alle dittature rimane quello di sempre.
Giordano Stabile
Il 2018 è stato per l'Iran l'anno della grande repressione, con settemila persone arrestate. Le manifestazioni perla crisi economica sono state stroncate a gennaio, ma la macchina delle forze di sicurezza ha continuato a lavorare a pieno ritmo contro altre forme di protesta, come quelle delle attiviste peri diritti umani. Un clima cupo che ha segnato il secondo mandato del presidente riformista Hassan Rohani, messo all'angolo dalle nuove sanzioni americane e dall'erosione della sua base di consenso, che ha favorito il ritorno dei metodi oltranzisti. I numeri del giro di vite sono stati rivelati da un rapporto di Amnesty International. Nel corso dell'anno sono state arrestate settemila persone. Fra loro «studenti, avvocati, giornalisti, ecologisti, sindacalisti e attivisti per i diritti delle donne». Centinaia sono «stati condannati a pene detentive e alla fustigazione». Nove sono morti in prigione, 26 sono stati uccisi durante le proteste. Lo spettro sociale degli arrestati mostra anche la vastità del malcontento, come ha sottolineato il direttore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa, Philip Luther: «Dagli insegnanti che non ricevono lo stipendio agli operai delle fabbriche che faticano a nutrire le loro famiglie, tutti quelli che osano chiedere il rispetto dei loro diritti pagano un prezzo alto». La repressione è stata dura nei confronti dei lavoratori salariati, i più toccati dalla crisi e dall'inflazione. Almeno 467, compresi insegnanti, camionisti, operai delle fabbriche sono stati arrestati e decine hanno ricevuto condanne pesanti. Trentotto anche la fustigazione. Il giro di vite non ha però fermato le proteste, che hanno assunto altre forme. Migliaia di donne che hanno cominciato a togliersi il velo in pubblico e 112 sono state arrestate. Fra loro l'attivista Nasrin Sotoudeh, accusata di reati contro «la sicurezza nazionale». Mercoledì anche il marito Reza Khandan, che si è battuto per la sua liberazione, è stato condannato a sei mesi di prigione. Accanto alle femministe sono cresciuti i movimenti ecologisti, anche questi nel mirino del regime. Almeno «63 attivisti e ricercatori» sono stati arrestati. Sono accusati in genere di «spionaggio», cioè di raccogliere «dati sensibili» nelle aree investite dalle proteste, per esempio vicino a dighe che hanno devastato l'ambiente. Cinque di loro - Morad Tahbaz, Niloufar Bayani, Houman Jokar, Sepideh Kashani, Taher Ghadirian — sono statti accusati di «mofsed-e-filarz», cioè di «spandere corruzione sulla Terra», una imputazione con sfumature religiose che può condurre alla pena capitale. Stesso rischio corrono duecento persone della confraternita sufi dei Gonabadi, protagonisti di una protesta lo scorso febbraio. Uno di loro, Mohammad Salas, è stato giustiziato a giugno per aver investito e ucciso tre poliziotti con il suo pullman. Altri 20 sufi sono stati condannati a lunghe pene detentive e alla fustigazione, così come il giornalista azero Mohammad Hossein Sodagar, accusato di diffondere «fake news». Con l'inizio del 2019, mentre la Repubblica islamica si prepara a festeggiare il 40esimo anniversario della Rivoluzione khomeinista, le proteste sembrano soffocate. A dare il fiato al regime, anche se il presidente Rohani è indebolito, sono alcuni miglioramenti economici. Le sanzioni americane hanno incluso «eccezioni» per l'export di petrolio a otto Paesi. Anche se, secondo i dati ufficiali, le esportazioni sono calate da 2,5 milioni di barili al giorno dello scorso aprile ai 1,3 milioni di dicembre, quelle reali, secondo il sito specializzato CargoMetrics, sono vicine ai 2 milioni e questo dà fiato all'economia. Un altro spiraglio di speranza è stata l'elezione a novembre del riformista Pirouz Hanachi a sindaco di Teheran. Potrebbe essere il nuovo volto dell'Iran.
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