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Il Manifesto Rassegna Stampa
24.01.2019 Demonizzazione contro Israele sul quotidiano comunista
Nel pezzo di Michele Giorgio

Testata: Il Manifesto
Data: 24 gennaio 2019
Pagina: 16
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Gerusalemme sfrattata»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 24/01/2019, a pag. 16, con il titolo "Gerusalemme sfrattata", il commento di Michele Giorgio.

Michele Giorgio descrive Israele come un Paese occupante di terre altrui all'insegna della violenza e delle confische. Come sempre nei pezzi di Giorgio, gli israeliani vengono sempre descritti come "ultranazionalisti religiosi" e soldati "armati di mitra", mentre gli arabi palestinesi sono povere e inermi vittime innocenti. Nessuna traccia dunque del terrorismo palestinese e dell'odio diffuso contro lo Stato ebraico.

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Il dittatore Maduro, molto apprezzato dai comunisti nostrani

Il Manifesto è il giornale che oggi stesso si schiera con il dittatore populista di sinistra Maduro in Venezuela e scrive esplicitamente di golpe, titolando in prima "Prove di golpe". Non esita a schierarsi con le peggiori dittature del pianeta in nome dell' "anti-imperialismo", ovvero del terzomondismo a tutti i costi.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

«Siete tutti degli antisemiti». Un giovane colono israeliano lancia un'accusa infamante al passaggio di giornalisti e diplomatici europei in visita alla famiglia palestinese al Sabbagh minacciata di sgombero.

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Gerusalemme, il Kotel

GLI CHIEDIAMO IL PERCHE’ di quell'insulto privo di senso. «Siete degli antisemiti perché venite ad ascoltare le falsità dei palestinesi ma qui è tutto nostro, Gerusalemme è tutta nostra, Eretz Israele è tutta nostra). Non si calma e insiste con la sua assurda accusa. «Siete antisemiti perché la Corte suprema (israeliana) ha sentenziato che quelle case appartenevano a ebrei e agli ebrei ora stanno tornando», ci dice abbandonando la sua postazione a guardia di uno degli appartamenti in cui vivevano palestinesi e occupato qualche anno fa da una famiglia israeliana legata agli ultranazionalisti religiosi. Sfogata la rabbia, torna al suo posto senza degnare di uno sguardo gli stranieri che gli passano accanto. In alto, un'altra guardia di sicurezza dei coloni, armata di mitra, segue quanto accade. Mohammed Sabbagh, 70 anni e «portavoce» di cinque fratelli e di altrettante famiglie in attesa dello sgombero da parte della polizia, osserva la scena. Poi fa strada alla delegazione di diplomatici europei giunti ad ascoltare le ragioni di chi nel giro di pochi giorni finirà in mezzo a una strada. «La nostra famiglia vive qui da 62 anni—ci dice—I più anziani sono profughi o figli di pro- fughi (della guerra de11948, ndr) giunti da Gialla. Perdemmo tutto nel 1948, Israele ci confiscò le proprietà. Nel 1956, in accordo con l'Unrwa (Onu) i giordani (che a quel tempo controllava no Gerusalemme est, ndr) assegnarono 28 appartamenti ad altrettante famiglie palestinesi, inclusa la nostra. Ora, tanti anni dopo, ci dicono che le case appartenevano a ebrei e ci cacciano via Siamo45 persone, tra cui anziani e bambini, e non ci muoveremo da qui, dovranno usare la forza».

SIAMO A SHEIKH JARRAN. Sul tetto di edifici situati più in alto della casa dei Sabbagh sventolano le bandiere di diversi consolati occidentali e di alcune agenzie umanitarie. I Sabbagh vivono nella parte bassa e più popolare di Sheikh Jarrah. Qui da una ventina di anni si concentrano le attività delle «società immobiliari» che fanno capo alle organizzazioni dei coloni impegnate nella «(ri)conquista» della zona est di Gerusalemme. Tutto è cominciato con il restauro, proprio sotto le case, della tomba di Shimon Tzaddik, un santo ebreo. Per anni gli haredim, gli ultraortodossi, pregavano sulla tomba di Shimon. Tutto filava liscio, senza problemi.

POI SULLA SCENA sono entrati i nazionalisti religiosi ed è cambiato tutto. Nel 2003 si seppe chele terre dove sorgono le case erano registrate a nome di israeliani e che erano state vendute dai «proprietari» alla Nahalat Shimon, una società immobiliare di coloni registrata oltreoceano. Grazie alle sentenze della Corte suprema e a documenti risalenti in parecchi casi all'inizio del secolo scorso, nel 2009 tre famiglie palestinesi sono state costrette ad abbandonare le loro case. I diplomatici europei ascoltano il racconto delle ultime fasi di un procedimento giudiziario durato oltre dieci anni e che i Sabbagh credevano di poter concludere positivamente. Invece è andata come quasi sempre in questi casi, hanno vinto i coloni. «La Corte suprema a novembre ha sentenziato contro di noi — prosegue Mohammed Sabbagh — e il 12 gennaio ci hanno consegnato l'ordine di sfratto e intimato di uscire dalle nostre case entro il 23 gennaio. I nostri avvocati so- no riusciti a far congelare lo sgombero fino a quando non sarà presa una decisione definitiva entro un mese. Ma sappiamo che la sentenza non sarà modificata». Nell'appartamento accanto c'è Ramziyeh Sabbagh, 31 anni, in attesa di partorire e perciò accudita dalle altre donne della famiglia. I diplomatici lasciano la casa.

UN'ANZIANA, in un pianto sommesso e con una voce flebile, come se non volesse turbare gli ospiti stranieri, li attende all'uscita e ripete più volte che il mondo non può chiudere gli occhi di fronte a tutto questo. Il commento di Mohammed Sabbagh è un misto di rabbia e amarezza: «Gli israeliani dicono che queste case appartenevano a ebrei, ok prendetele ma ridateci le case e le terre che ci avete confiscato e noi andremo a vivere li, sarebbe uno scambio giusto». Ma impossibile. La legge dei «presenti-assenti» (Absentees Property Law) approvata nel 1950 dal parlamento del neonato Stato di Israele sancisce che lo Stato ha diritto di confiscare le proprietà di un palestinese che non era fisicamente presente nella sua casa in un certo momento della guerra del '48. Uomini e donne fuggiti o cacciati via con la forza o che erano semplicemente sfollati per la guerra.

ASSENTI DALLE LORO CASE ma presenti in Israele tanto da ricevere la cittadinanza. Sono due milioni, contando anche i palestinesi di Gerusalemme. Pagano le tasse, hanno in tasca il passaporto israeliano ma non possono riottenere le loro proprietà immobiliari, anche a Gerusalemme ovest, assegnate dopo il 1948 a cittadini ebrei. La legge consente di reclamare le case appartenute a ebrei prima della nascita di Israele, anche se ora vi abitano dei palestinesi da decenni. Un palestinese non può fare altrettanto con le sue proprietà registrate prima del 1948. I Sabbagh dopo lo sgombero non potranno andare nelle loro case a Giaffa, semplicemente finiranno in strada.

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