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Il Manifesto Rassegna Stampa
23.01.2019 Il solito articolo di demonizzazione di Israele da parte di Michele Giorgio
Pronto a cogliere ogni pretesto per attaccare lo Stato ebraico

Testata: Il Manifesto
Data: 23 gennaio 2019
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Palestinesi uniti per la sommossa dei detenuti»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 23/01/2019, a pag. 9, con il titolo "Palestinesi uniti per la sommossa dei detenuti", il commento di Michele Giorgio.

Michele Giorgio ci ha abituato al rovesciamento completo della reatà, ma l'articolo di oggi è particolarmente violento e disinformante contro Israele. L'appoggio pieno di Giorgio per i terroristi è evidente, anche se nell'articolo questi vengono descritti  come tali con le virgolette. Demonizzazione piena, dunque, per dipingere l'unica democrazia del Medio Oriente come una feroce dittatura militarista e i terroristi assassini come combattenti per la libertà. Il pretesto per le violenze dei terroristi incarcerati è stato il sequestro di due telefonini da parte delle guardie israeliane, ma è sufficiente a Giorgio per attaccare lo Stato ebraico.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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La prigione di Ofer

Quasi 150 detenuti palestinesi sono stati feriti, tra intossicati dai gas lacrimogeni e feriti dai proiettili di gomma sparati dalle unità scelte delle guardie carcerarie intervenute per spegnere con la forza le proteste divampate tra domenica e lunedì nella prigione israeliana di Ofer. Una sommossa a tutti gli effetti, come non si registrava da tempo, che ha subito generato fermento nelle carceri dove sono rinchiusi migliaia di prigionieri politici, che Israele considera «terroristi». Ancora ieri a Ofer i prigionieri hanno fatto lo sciopero della fame e in diverse località della Cisgiordania e a Gaza si sono tenuti raduni in loro sostegno. La rabbia covava da giorni sotto la cenere. I detenuti politici chiamano Ofer la «Guantanamo» della Palestina. Il paragone è azzardato ma in questa prigione israeliana, a qualche chilometro da Ramallah e che include il tribunale militare, le regole della detenzione non sono leggere. E sono peggiorate ulteriormente quando a inizio anno il ministro israeliano per la sicurezza interna Gilad Erdan, con un occhio rivolto alla campagna elettorale per le politiche del 9 aprile, ha annunciato un inasprimento delle condizioni di reclusione per tutti i detenuti palestinesi. Fine della divisione dei prigionieri secondo settori omogenei per affiliazione politica, stop alla possibilità di preparare pasti nelle singole celle. Divieto assoluto di telefoni cellulari e nuove e più rigide procedure di sicurezza per le visite dei famigliari. Le misure ordinate da Erdan, avevano subito commentato i detenuti e i loro avvocati, equivalgono a «una dichiarazione di guerra». In un raro momento di unità nazionale palestinese, i partiti rivali Fatah e Hamas, il Jihad, il Fronte popolare e il Fronte democratico hanno sottoscritto un documento di protesta annunciando che i detenuti non accetteranno mai le nuove misure israeliane e non cesseranno di contestare la linea del pugno di ferro di Erdan. La scintilla della sommossa sarebbe stata una ispezione a sorpresa nelle celle durante la quale sono stati sequestrati due telefoni cellulari, tessere sim e «oggetti vietati». Alcuni detenuti quindi hanno appiccato il fuoco a una cella innescando le proteste. Poco dopo sono intervenute le unità scelte delle guardie carcerarie che sono riuscite a riprendere il controllo di Ofer solo dopo diverse ore. La tensione nelle carceri, che presto potrebbe sfociare in nuove proteste, coincide con le iniziative tenute nei Territori palestinesi occupati e in alcune città europee, come Berlino e Copenhagen, a favore della liberazione di Ahmed Saadat, il segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina detenuto in Israele. Ieri a Gaza una cannonata sparata da un carro armato israeliano contro un posto di osservazione di Hamas nei pressi di al Burej, ha ucciso un palestinese. L'esercito ha detto di aver aperto il fuoco dopo il ferimento di un soldato colpito sulle linee di demarcazione da un cecchino palestinese.

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