Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/01/2019, a pag.1-4 con il titolo "La ferita europea" il commento di Paola Peduzzi.
Ecco l'articolo:
Paola Peduzzi
Milano. I sommozzatori israeliani hanno iniziato a scandagliare il letto del Danubio, a Budapest, per cercare i resti delle migliaia di ebrei uccisi sulle rive del fiume durante la Seconda guerra mondiale e dar loro una sepoltura: almeno ventimila persone, dice la comunità ebraica ungherese, costrette a spogliarsi, occhi al Danubio, uccisi dalle Croci frecciate con un colpo alle spalle – c’è un memoriale oggi, tra il ponte delle Catene e il ponte Margherita, dietro al Parlamento, che è un urlo secco che si sente a ogni sguardo: delle scarpe abbandonate sulla riva, le scarpe degli ebrei, che ci dicono di non dimenticare. I sommozzatori non hanno ancora trovato nulla, a febbraio è prevista un’altra missione.
La decisione del governo di Viktor Orbán di assecondare una richiesta che Israele aveva iniziato a fare tre anni fa è stata letta come una rassicurazione: siamo amici di Israele, siamo amici degli ebrei, l’accusa di antisemitismo nei nostri confronti è infondata. La questione è molto dibattuta, c’è chi dice che non basta un sonar sul fondo del Danubio a capovolgere una politica orbaniana che ha risvegliato l’antisemitismo – a dicembre, Ira Forman ha scritto sull’Atlantic: “Orbán rivendica la propria policy ‘tolleranza zero’ sull’antisemitismo mentre usa il fischietto per i cani per risvegliare gli antisemiti” – e chi dice che invece Budapest sta facendo i conti con la propria identità e il proprio passato e non ha un approccio assolutorio. I due mondi come ormai capita su ogni tema non dialogano e non si confrontano, e in questa polarizzazione finisce per duplicarsi il problema: la memoria si affievolisce e l’odio aumenta. Ieri è stato pubblicato il documento definitivo dell’indagine Eurobarometro sull’antisemitismo in Europa (alcuni dati erano già stati anticipati a dicembre) e Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, ha sottolineato in un thread su Twitter la gravità dell’esito di questo sondaggio: “L’antisemitismo sta rialzando la sua orribile testa in Europa. Mentre l’odio è diventato uno strumento politico, le nostre comunità ebraiche vivono nella paura di essere l’obiettivo finale della discriminazione, degli abusi e della violenza”. Per Timmermans, “visto che i sopravvissuti dell’Olocausto stanno via via morendo”, la responsabilità di mantenere la memoria resta sulle nostre spalle, ed è una responsabilità enorme. I dati dell’Eurobarometro sono preoccupanti: la percezione dell’antisemitismo è lo specchio esatto dei vasi non comunicanti della nostra politica e della nostra società. Per il 50 per cento degli intervistati, l’antisemitismo è assolutamente un problema; per il 43 non lo è per niente. Cresce l’antisemitismo? Per il 36 per cento sì, per il 39 è sempre lo stesso. Mentre soltanto per un europeo su due, la negazione dell’Olocausto è antisemitismo (dentro le comunità ebraiche la percentuale è al 95 per cento). In un discorso al museo ebraico di Bruxelles, la commissaria europea alla Giustizia, la ceca Vera Jourova, ha ricordato che 4 ebrei su 10 pensano di lasciare il nostro continente e se per 9 ebrei su 10 l’antisemitismo nei nostri paesi è in aumento è, secondo la Jourova, “una vergogna europea”. Per la commissaria bisogna investire sull’istruzione, l’unico modo per tenere viva la memoria dell’orrore antisemita, sul lavoro del coordinatore contro l’antisemiti - smo già nominato assieme a Timmermans, e sul riconoscimento della definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance, che per ora è stata approvata soltanto da Regno Unito, Germania, Austria, Lituania, Slovacchia, Romania e Bulgaria. L’iniziativa europea è spesso criticata: troppo poco e troppo tardi. Ma oltre a un problema di memoria c’è anche quello dell’odio come strumento politico, che viene utilizzato in molti paesi senza che l’Europa possa fare granché. Non si tratta di accusare questo o quell’altro leader di antisemitismo, bensì di valutare come la propaganda politica abbia fatto riemergere complottismi e odi antichi, a cominciare proprio dall’antisemitismo. Il governo ungherese ha speso 260 milioni di euro in propaganda politica negli ultimi otto anni, secondo un report del sito indipendente Átlátszó.hu, 40,5 soltanto nel 2017 e soltanto contro George Soros. Il rapporto tra Orbán e il magnate liberal è ben più complesso del semplice attacco antisemita: Soros fece studiare con una borsa di studio a Oxford l’attuale premier ungherese e gli fornì il primo ufficio con stampante per il partito Fidesz. Poi le loro strade si sono separate, ma la campagna contro Soros è piena di riferimenti a quello che la comunità ebraica a Budapest definisce “stereotipo contro la nostra comunità”. Se alla demonizzazione di Soros si aggiunge la statua eretta lo scorso anno a Miklós Horthy, che era reggente di Ungheria mentre 400 mila ebrei venivano deportati e a migliaia denudati e uccisi sulla riva del Danubio, diventa chiaro che tra memoria che svanisce, rivisitazione della storia in chiave nazionalista e odio come strumento politico, l’Europa rischia di non essere più una casa sicura per gli ebrei.
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