Pericolo a Nord: l'Iran attacca Israele dalla frontiera siriana
Analisi di Antonio Donno
Il ritiro dei soldati americani dalla Siria è certamente un problema per Israele e la stampa internazionale non ha mancato di evidenziarlo. La decisione di Trump è in linea con le sue promesse elettorali ma discorda profondamente con i punti di vista di molti suoi collaboratori. La presenza americana nella regione, per quanto di dimensioni ridotte, aveva, tuttavia, un significato ben preciso per i nemici di Israele e per la tenuta dell’alleanza con i paesi arabi sunniti. Netanyahu non ha gradito la mossa di Trump, ma le sue reazioni sono state molto misurate. Del resto, ciò che il presidente americano ha fatto in precedenza a favore di Israele è di tale portata da impedire al primo ministro israeliano di commentare le sue decisioni in senso apertamente negativo. Se lo facesse, inoltre, farebbe un favore all’Iran: Teheran e le sue formazioni terroristiche interpreterebbero le critiche di Netanyahu come l’inizio di un distacco fra i due alleati; oppure, le sbandiererebbero come tali.
Come Gerusalemme, le capitali sunnite, da parte loro, hanno fatto altrettanto, consapevoli che l’appoggio di Washington è oggi vitale per la loro esistenza. Ora Israele è solo nella regione a parare l’urto di Teheran e dei suoi accoliti. Il recentissimo potente intervento di Gerusalemme in Siria contro postazioni iraniane ha, perciò, un significato di grande rilievo. Certamente l’intervento israeliano ci sarebbe comunque stato, come nelle occasioni precedenti, ma, nella situazione attuale, dopo l’annuncio del ritiro americano, ha una portata militare e politica che non può sfuggire ai suoi nemici. Gerusalemme li ha avvertiti che è pronta a qualsiasi confronto e afferma questo perché i suoi avversari conoscono molto bene la potenza dell’apparato militare di Israele. L’unica differenza, che va a vantaggio dei nemici dello Stato ebraico, sta nella diversa estensione territoriale tra Israele e l’Iran, ma tutto questo era ben noto dal momento stesso della nascita dello Stato ebraico. Eppure, Israele ha retto sempre l’urto dei suoi nemici e li ha sconfitti. A tutto questo occorre aggiungere l’intenso lavoro diplomatico di Netanyahu, soprattutto in Africa, nei paesi musulmani, ma in precedenza nella penisola araba. Si tratta di un’attività di grande importanza che tende a rompere il lungo isolamento di Israele, ma che è ancora più rilevante dopo che Trump ha assicurato i paesi sunniti sull’amicizia americana. Così, il giro diplomatico di Netanyahu si è appoggiato sul sostegno politico assicurato dagli Stati Uniti nei confronti di paesi islamici un tempo nemici giurati dello Stato ebraico. Quindi, sul piano strettamente politico la situazione mediorientale non è sfavorevole a Israele, ma la presenza militare di Teheran e Mosca in Siria è certamente una minaccia per Gerusalemme. La posizione della Russia è apparentemente indefinibile. Tuttavia, il lavorio diplomatico di Netanyahu a Mosca dovrebbe aver dato dei risultati rassicuranti. Ma dei contenuti degli incontri con Putin non si è saputo mai nulla di preciso. Un dato politico dovrebbe, però, essere evidente. L’ambizione di Putin di portare la Russia ad essere egemone nel Medio Oriente non potrà mai conciliarsi con la presenza di Teheran. Una volta che Assad si sarà risistemato in Siria grazie al sostegno russo-iraniano, i nodi verranno al pettine. È difficile prevedere come la matassa sarà sciolta. I tempi politici non sono favorevoli agli ayatollah, in considerazione della protesta sociale che va montando in Iran, ma è impossibile dire quanto ciò influirà sulle ambizioni sciite di dominare il Medio Oriente e eliminare i nemici storici sunniti. Né quando. Diverso è il discorso per la Russia, anche se l’impegno di Mosca nella regione è molto gravoso per le casse dello stato russo. La situazione dell’area è in bilico, né si possono prevedere, per ora, svolte improvvise. L’apparato militare di Israele è in costante allerta, come sempre, ma il suo popolo vive la sua vita quotidiana con tranquillità.
Antonio Donno