Gli arabi palestinesi non sono poveri (in maggioranza) ma antisemiti e antisionisti sì Fabio Scuto su Netanyahu e palestinesi
Testata: Il Fatto Quotidiano Data: 21 gennaio 2019 Pagina: 14 Autore: Fabio Scuto Titolo: «Ramallah, palestinesi fuori dalla polveriera - Bibi Netanyahu e l'oscura battaglia giocata con i social»
Riprendiamo dal FATTO Quotidiano di oggi, 21/01/2019, a pag.14-15 con i titoli "Ramallah, palestinesi fuori dalla polveriera", "Bibi Netanyahu e l'oscura battaglia giocata con i social", due pezzi di Fabio Scuto.
E' giusto chiarire che gli arabi palestinesi per lo più non vivono in povertà - a differenza di come li descrive di solito la propaganda rivolta ai media occidentali, che ripetono questa vulgata. Ben venga dunque una analisi che sottolinea la vita agiata degli abitanti di Ramallah e di altre città arabe palestinesi, anche se nel pezzo di Scuto mancano i riferimenti all'odio diffuso contro Israele ed ebrei. Di conseguenza è un esempio di menzogna omissiva perché attraverso una omissione cambia interamente il senso di quello che il giornalista descrive.
Il secondo articolo è invece dedicato alla comunicazione dello staff di Benjamin Netanyahu. Scuto definisce "oscura" la "battaglia" della comunicazione che si sviluppa in particolare sui social network, ma non giustifica questo giudizio con una argomentazione adeguata. E' il tono di Scuto, inoltre, a essere fazioso - come quasi sempre- contro Israele e Netanyahu.
Ecco gli articoli:
Fabio Scuto
"Ramallah, palestinesi fuori dalla polveriera"
Mentre si sale in auto lungo l'affollata arteria che da El Bireh conduce a Ramallah, la "capitale de facto" dei palestinesi, si vedono già svettare palazzoni e diversi grattacieli in vetrocemento che scintillano alla luce del tiepido sole invernale. La città ha cambiato completamente volto negli ultimi venti anni, quando Yasser Arafat la scelse come residenza dopo gli accordi di Oslo, era un centro agricolo con un importante mercato ortofrutticolo. Oggi somiglia sempre più alle città arabe del Golfo, architetture ardite, condomini, villette col tetto a pagoda che sono il tratto distintivo dei "nuovi ricchi", gli emergenti della società palestinese un tempo legata solo alla terra e oggi è invece spinta soprattutto da manager, web designer, architetti, ingegneri. L'economia della Cisgiordania è cresciuta in questi ultimi tre anni al ritmo del 3,5% e certamente, come spiega l'ultimo Rapporto della Banca Mondiale, con la prospettiva di una pace potrebbe raggiungere persino il 6-7%. Un mondo molto distante da Gaza, dove invece la situazione è drammatica, il reddito pro capite nella Striscia (1.000 dollari) è meno della metà della Cisgiordania.
A RAMALLAH il "Millenium" è certamente l'hotel più lussuoso con i suoi ristoranti, chef internazionali e sale meeting grandi come campi di calcio. Nel parcheggio luccicano delle Bmw, Mercedes, persino una Porsche Panamera. La sera del sabato nella discoteca dell'hotel non c'è posto nemmeno per uno spillo, con il telefonino in una mano e un drink nell'altra, tutta la "jeunesse doree" palestinese si dimena al ritmo di Rihanna. In città è un fiorire di pub e ristoranti sempre affollati. Il segnale più evidente che il denaro sta circolando, che l'economia privata sta crescendo a fianco di quella sostenuta dai donatori internazionali che si assottiglia ogni anno. Questa è la Cisgiordania, un vero vespaio. Quasi tre milioni di palestinesi, pigiati nelle città e nei campi profughi, le brigate dei soldati israeliani che vanno e vengono, 400 mila coloni ebrei che sono venuti per rivendicare una terra che dicono è stata loro assegnata dalla storia e da dio. A dieci chilometri da Ramallah sorge dopo 9 annidi lavori, Rawabi, la New Town nota come la città da "un miliardo di dollari" che promette di ospitare presto 40.000 residenti. Ricca di caffè e negozi di lusso, Rawabi ospita scuole, palestre, centro congressi, uno spettacolare anfiteatro romano da 15 mila posti e persino un campo di calcio. Ma anche ristoranti, complessi per uffici, spazi sociali, farmacie, moschee e chiese. Cofinanziata dal miliardario palestinese Bashar Al Masri e da un Fondo edilizio del Qatar, è una joint venture da 1,4 miliardi di dollari. Rawabi è il progetto più ambizioso nei Territori palestinesi ed è il grande datore di lavoro del settore edilizio. Trasuda l'ambizione e l'opulenza del Golfo, sono 5.000 appartamenti costruiti per la classe media, la nuova realtà che si affaccia nella società palestinese. Un appartamento di tre stanze costa tra i 95.000 e i 125.000 dollari - con un mutuo al 4,95% - molto meno caro che a Ramallah dove i prezzi sono folli e certamente ben al di sopra di quelli che molti palestinesi possono permettersi. La buona notizia è che Rawabi offre una visione ottimista del futuro ai palestinesi. Incoraggia l'espandersi di una classe medio-alta, la spinge a sperare in quello che potrebbe diventare uno Stato palestinese attraente e competitivo. Coltivare questo tessuto socio-economico è della massima importanza per qualunque pace duratura, una classe media è fondamentale per garantire, stabilità, democrazia e crescita in tutti i Paesi in via di sviluppo. L'inaugurazione del grande "QCenter", il più grande shopping mall della Cisgiordania, è il maggiore tratto distintivo di un'utopia borghese in stile occidentale. Borse delle grandi griffe internazionali, marchi blasonati e costosi del fashion. I negozi di abbigliamento riforniti con veri jeans americani, non le solite contraffazioni che si trovano nei bazar di Ramallah. "Vivremo come persone normali, in attesa della normalità", ha detto Al Masri durante l'inaugurazione. Attorno a molti palazzi fervono ancora lavori di costruzione, camion e betoniere vanno e vengono, solo tre quartieri sono finiti. Ma i dati forniti dall'ufficio di Al Masri parlano di oltre 3.000 abitanti negli appartamenti finora venduti. Amjad Qasr e sua moglie Huda sono una giovane coppia di architetti con un bambino piccolo. Si sono trasferiti qui da Ramallah dove i prezzi degli appartamenti sono ancora più alti. Di Rawabi apprezzano la modernità , la sicurezza e l'ordine. Credono nel loro investimento e sperano nello sviluppo dell'area. Ma è necessaria una nuova strategia per spingere l'economia verso il cambiamento. La Banca Mond Tale nel suo ultimo rapporto sostiene che serva una nuova visione dell'economia palestinese in grado di poter raggiungere una crescita del 7% annuo.
PUR RICONOSCENDO l'importanza fondamentale di una soluzione politica, la relazione sostiene che delle misure a medio termine possono creare nuove aree di attività economica, attrarre investimenti privati, generare posti di lavoro e migliorare significativamente gli standard di vita. "Senza un vero cambiamento nelle politiche", spiega Marina Wes, direttore per Cisgiordania e Gaza della Banca Mondiale, "la crescita difficilmente supererà il 3% annuo, meno del ritmo di crescita della popolazione". Il rapporto utilizza un modello economico per un periodo di 10 anni per stimare l'impatto sull'economia palestinese se fossero rimossi vincoli e ostacoli dovuti all'occupazione militare israeliana nei commerci, nell'import e nell'export dai Territori palestinesi. Il profitto economico e sociale sarebbe immenso, traducendosi in un tasso di crescita annuale del 6% in Cisgiordania e addirittura l'8% a Gaza. Con la conseguente creazione di 50 mila posti di lavoro in Cisgiordania e 60 mila nella Striscia. In questa prospettiva la creazione e la crescita dei posti di lavoro saranno guidati dal settore privato. Come a Rawabi che è attualmente il maggior centro di occupazione in Cisgiordania.
"Bibi Netanyahu e l'oscura battaglia giocata con i social"
Benjamin Netanyahu
Quando la scorsa settimana il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato tramite i social media che avrebbe rilasciato una dichiarazione in tv in prima serata, che poteva essere visualizzata tramite il suo profilo Facebook, ha stabilito un record. Quasi 4,5 milioni di persone l'hanno seguito in tv e oltre 150 mila via Facebook. Un successo annunciato. Perché fra le sue molte abilità non c'è dubbio che Netanyahu abbia anche quella di saper gestire la comunicazione come pochi. È un navigante di lungo corso su Internet, nei primi anni 90 fu uno dei primi politici a creare un sito web. I guai giudiziari che sta affrontando - quattro diverse accuse per frode, corruzione e fondi neri - lo hanno spinto a diminuire le sue già rare apparizioni in tv. Netanyahu ha smesso di parlare al pubblico israeliano tramite i media tradizionali. Invece pubblica dozzine di post al giorno sui social media, tra cui visualizzazioni e tweet, e l'alto tasso di risposta dei suoi seguaci influenza gli algoritmi di Twitter, Instagram e Facebook, aiutandolo così ad attrarre nuovi follower. OGNI GIORNO Netanyahu trasmette messaggi a milioni di follower su Facebook, Twitter, Instagram, YouTube e Telegram tramite dozzine di account, alcuni dei quali sono gestiti con fondi statali e altri tramite finanziamenti privati da fondi meno trasparenti. I suoi post hanno migliaia di condivisioni, decine di migliaia di "Mi piace" e uno dei più alti tassi di risposta degli utenti per qualsiasi politico, certamente in Israele. È cosa nota che molti influencer hanno un gran numero di follower falsi, buona parte dei quali provenienti da Brasile e India. In effetti, uno sguardo ravvicinato alle pagine personali di Netanyahu, lascia qualche dubbio. Un numero significativo proviene dall'estero. Il dottor Anat Ben-David della Open University afferma che, al contrario di altri politici israeliani, le pagine di Netanyahu hanno il maggior numero di commenti da utenti che rispondono solo alla sua pagina e anche il maggior numero di commenti da utenti che commentano solo una volta. Il 43% dei suoi fan è all'estero, il 33% vive in Israele, il 47% ha meno di 21 anni. La "macchina da guerra" online di Bibi ha tre diverse branche. Gli account del partito, finanziati dal Likud; le pagine del primo ministro, finanziate dall'ufficio del premier; e quelle personali gestite dai suoi guru da dove proviene il maggior numero di follower. La pagina Facebook di Netanyahu (lanciata nel 2010) ha oggi 2,3 milioni di follower. Primo ministro e Likud non rivelano, perché la legge lo consente, i costi di gestione e da dove provengono i finanziamenti. Netanyahu è una delle personalità più popolari in Israele, i suoi account hanno circa 5 milioni di follower. Al contrario del presidente Donald Trump, che scrive personalmente i suoi tweet, Netanyahu non possiede nemmeno uno smartphone per timore dello spionaggio. Piuttosto, deve il suo successo nei social media ai suoi giovani consiglieri, tutti ex militari dell'Unità del portavoce dell'IDF, le Forze di difesa israeliane. Sono giovani, molto giovani. In tre non arrivano a 80 anni. Dopo il "drammatico annuncio" in tv i guru privati di Netanyahu hanno lanciato una campagna Instagram rivolta ad adolescenti e giovani. Un tentativo di promuovere il messaggio di Netanyahu che una tangente senza soldi non è una tangente. Una risposta, apparente, alle gravi accuse di corruzione contro cui Bibi sta combattendo in questi mesi. La manovra sui social media era abilmente progettata per indirizzare la conversazione lontano dalle accuse e per smussare le critiche a Netanyahu. Sembra aver avuto l'effetto voluto.
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