Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/01/2019 due interventi entrambi incentrati su Vladimir Putin. Il primo, a pag.1/18, l'editoriale del direttore Maurizio Molinari, il secondo, a pag.22, di Anatoly Torkunov, espressione ufficiale del Putin-pensiero. Preceduti dal nostro commento.
L'Italia sceglierà Putin?
L'editoriale di Maurizio Molinari è una apertura di credito alla Russia di Putin, che poi venga giustificata in funzione anti-Cina non contribuisce a renderla accettabile. E' sul piano economico che va combattuto l'impero cinese, un'impresa drammaticamente difficile, se esaminiamo con quanta solerzia l'Occidente ha dichiarato il fallimento delle proprie economie. Allearsi con Putin, si rafforza un regime despota, dal quale l'Europa dovrebbe prendere le distanze.
A pag.22, non a caso, la Stampa ospita una analisi del portavoce ufficiale di Putin, Anatoly Turkunov, con una introduzione firmata F.S. che sostiene la tesi dell'editoriale del direttore.
La scelta di riprendere la frase di Winston Churchill - che nessuno dovrebbe mai dimenticare - accanto al pezzo pro-Putin è quanto mai inopportuna. Churchill si guarderebbe oggi dall'appoggiare un regime come quello russo, semmai inviterebbe gli stati europei e la UE a smetterla di attaccare l'America di Trump, l'unica democrazia che potrebbe ancora difendere l'Europa da due regimi, il russo e il cinese, abili a mantenere sotto repressione, economica e politica, i loro popoli,dove i diritti umani e civili sono carta straccia. Il nuovo Hitler abita a Mosca e a Pechino. Con l'aggiunta di Teheran, l'altro potere che minaccia i nostri valori.
Si chieda scusa a Churchill, per aver interpretato all'incontrario la sua celebre frase:
WINSTON CHURCHILL UOMO POLITICO BRITANNICO (1874 – 1965) I firmatari del Patto di Monaco dovendo scegliere tra la guerra e il disonore, hanno scelto il disonore per avere poi la guerra
Ecco l'editoriale di Maurizio Molinari, segue il sostegno in diretta da Mosca
Maurizio Molinari:"Opzione doppia per Putin"
Maurizio Molinari
Le esitazioni sui visti ai cinesi in Siberia e le aperture all’Europa per salvare il trattato Inf sul disarmo suggeriscono che al Cremlino qualcosa si muove. Nella nuova dinamica delle relazioni internazionali i protagonisti sono tre - Stati Uniti, Russia e Cina - e le mosse del presidente Vladimir Putin suggeriscono la volontà di ritagliarsi un ruolo capace di andare oltre l’apparente, marcata, convergenza con Pechino per sfidare Washington ovunque possibile. Non c’è dubbio che gli ultimi diciotto mesi hanno segnato un’intensificazione dei rapporti fra Putin e Xi, dalle imponenti manovre militari congiunte nel Pacifico all’intensificazione degli scambi commerciali, portando il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ad affermare pochi giorni fa che «le relazioni sino-russe sono un modello di cooperazione internazionale e non hanno limiti di amicizia». Ma c’è dell’altro: la resistenza di Mosca a liberalizzare l’entrata di cinesi in Siberia, e soprattutto nel porto di Vladivostok, evidenzia il timore di subire l’impatto economico della crescita dell’incontenibile vicino lungo la frontiera del conflitto del 1969, così come i segnali a Bruxelles a favore del salvataggio del patto contro i missili nucleari in Europa siglato fra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, lascia intendere la volontà di frenare il domino di tensioni con l’Occidente per scongiurare una corsa al riarmo nucleare. È come se il Cremlino volesse tenersi strette due opzioni alternative, con Cina e Occidente. S ono segnali che coincidono temporalmente con quelli arrivati da Washington, dove il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton si è detto a favore di «colloqui strategici» con Mosca sulla «minaccia cinese» e Victor Davis Hanson, uno dei maggiori analisti militari nel fronte conservatore, ha suggerito alla Casa Bianca di «adoperare i rapporti con la Russia per evitare che nel 2025 la Cina domini il Pacifico ed a metà secolo il mondo intero». D’altra parte la decisione della Casa Bianca di ritirare le truppe dalla Siria sottolinea la comunanza di interessi con Mosca in Medio Oriente, dove la collaborazione contro il terrorismo islamico resta un punto di incontro fra Trump e Putin. Ma al di là dei singoli tasselli del mosaico, è la dinamica della «triangolazione» - come l’ha definita Henry Kissinger - che porta Russia e Occidente ad una potenziale convergenza per arginare la Cina. Per due motivi. Primo: la capacità di Xi di sfidare l’America sul fronte della tecnologia obbliga Washington a disegnare nuove alleanze per contenere Pechino. Secondo: il mega-progetto infrastrutturale di Xi «One Belt, One Road» punta a integrare l’Europa alla Cina relegando la Russia nel ruolo di piattaforma logistica asiatica per realizzare i propri interessi economici nel XXI secolo. Nulla da sorprendersi dunque se in un recente rapporto del «Council on Foreign Relations» di New York si legge: «I progetti di forte sviluppo cinese in Estremo Oriente, Asia Centrale e nell’Artico minacciano la sovranità nazionale russa» trasformando Mosca e Pechino da «alleati in possibili rivali». Ciò non toglie che su singoli dossier - dall’Ucraina all’Iran al cyber - gli interessi russi ed americani restino divergenti. Ma tali conflitti tattici non devono far perdere di vista l’opportunità di una convergenza strategica più vasta fra le potenze dell’Emisfero Settentrionale, accomunate da matrici storiche e culturali comuni. Saranno i prossimi mesi a dire quanto tali segnali fra Mosca e Washington possano aver un seguito concreto, certamente per Paesi come l’Italia - da sempre di frontiera fra Est ed Ovest - si tratta di uno scenario che tende a coincidere con l’interesse nazionale.
Il testo che segue - firmato F.S. - introduce l'analisi dell'esperto ufficiale del Putin-pensiero:
E se l’Europa, nel voler mantenere le distanze dalla Russia, non stesse facendo i propri interessi? Attraverso la rilettura di uno dei capitoli più importanti della storia del Novecento, quello sulla conferenza di Monaco del settembre 1938, Anatoly Vasilyevich Torkunov, storico e membro dell’Accademia delle Scienze di Mosca e del Centro Studi del ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa, pone la questione sottolineandone il carattere di stringente attualità. Regno Unito, Francia e Italia siglarono con la Monaco, settembre ’38; da sinistra, il britannico Chamberlain, il francese Deladier, il tedesco Hitler e gli italiani Mussolini e Ciano Germania un accordo che portò alla spartizione della Cecoslovacchia e non riuscì, come era nelle intenzioni dei negoziatori, a scongiurare la guerra. La sottovalutazione del ruolo che avrebbe potuto avere un coinvolgimento dell’Unione Sovietica in quella fase è, secondo Torkunov, una delle ragioni che trasformò quella conferenza non solo in un fallimento, ma in «una trappola». E, suggerisce l’autore attualizzandone la prospettiva, dovrebbe essere un invito a non ripetere gli stessi errori. F. S.
Anatoly Torkunov:" Perché fidarsi di Putin"
Anatoly Torkunov
L a storia prebellica dell’Europa ci insegna che il male deve essere contrastato tempestivamente e con l’impegno di tutti. Monaco, cuore della Baviera, è una delle città più belle d’Europa che tutti associamo al suo patrimonio culturale e museale - gli istituti Max Planck e Heinz Maier Leibnitz, orgoglio della scienza mondiale - ma anche all’Oktoberfest, la festa della birra, dei pretzel e delle giostre. Tuttavia, nel citare Monaco, la memoria storica ci costringe a tornare ancora una volta sull’episodio che ha costituito il prologo e, in sostanza, l’effettivo inizio della seconda guerra mondiale, la catastrofe più terribile nella storia dell’umanità. Il patto di Monaco firmato il 29 settembre 1938, o per essere precisi, il cinico patto tra Hitler e i capi di Gran Bretagna e Francia con la partecipazione dell’Italia, ha aperto la strada all’aggressione totale della Germania nazista. Questo fatale errore di calcolo, commesso dalle potenze occidentali che scelsero una politica di «appeasement» dell’aggressore, alla fine è costato molto caro a tutta la comunità mondiale e agli stessi contraenti del patto. In seguito Winston Churchill, che fin dall’inizio si era pronunciato contro l’accordo con Hitler, avrebbe dichiarato seccamente che i firmatari del patto, dovendo scegliere tra la guerra e il disonore, «scelsero il disonore per avere poi la guerra». L’élite politica delle democrazie occidentali ha sottovalutato il potenziale della miIl presidente russo Vladimir Putin , 66 anni, entra in un salone del Cremino per incontrare il Consiglio presidenziale per la società civile AP naccia nazista, non ha visto il fanatismo e l’insaziabile aggressività di Adolf Hitler che non aveva neanche mai pensato di limitarsi alla regione dei Sudeti e in generale non riteneva necessario vincolare sé stesso né le proprie ambizioni politiche a un qualsiasi accordo. Neppure i patti bilaterali di non aggressione, firmati in tutta fretta dopo Monaco con la Germania nazista, sono riusciti a salvare Gran Bretagna e Francia Proprio allora, nell’autunno del 1938, i vertici di Gran Bretagna e Francia puntarono su una Germania forte che avrebbe potuto servire da efficace contrappeso a quella Unione Sovietica loro aliena. Il contrasto ideologico con i bolscevichi è risultato più forte delle idee politiche e dell’interesse per la propria sicurezza. I leader occidentali ingenuamente credevano (oppure fingevano di credere) che Hitler, seppure pericoloso, fosse comunque un politico troppo razionale per indirizzare le baionette del proprio esercito contro i pilastri della civiltà occidentale e che in un secondo tempo sarebbe stato facile ripagarlo a discapito dei piccoli paesi europei. Anche alcuni fattori banali, quali l’egoismo gretto dei paesi europei, il tentativo di allearsi con il più forte e al contempo trarre profitto a nocumento di altri, ebbero la loro importanza. In questo senso è emblematico il comportamento di Polonia e Ungheria che non mancarono di dichiarare le proprie pretese territoriali ed ottennero rispettivamente la regione di Techen e alcune province della Slovacchia meridionale. L’Unione Sovietica fu deliberatamente esclusa dalle decisioni sulla Cecoslovacchia, benché Mosca avesse ripetutamente dichiarato la propria disponibilità ad aiutare Praga se quest’ultima si fosse rivolta alla Lega delle Nazioni. Il presidente della Cecoslovacchia Edvard Beneš, avversario ideologico del regime staliniano, considerava l’Urss «un alleato indesiderabile» e preferì fidarsi della Francia. Di fatto, ignorare l’Urss e i suoi interessi ha portato, in ultima analisi, al logoramento di tutto il sistema di alleanze e «quasi» alleanze che avrebbe potuto costituire un contrappeso al nazismo. Le conseguenze degli eventi del 1938 sono state cruciali nella storia delle relazioni internazionali. Monaco non solo ha scosso le fondamenta del sistema VersaillesWashington, ma ha anche messo in pericolo l’esistenza stessa della civiltà europea. Quella decisione è costata la spaventosa perdita di decine di milioni di vite. La storia non si fa con i se, ma se a suo tempo le potenze occidentali e l’Unione Sovietica avessero messo da parte i reciproci sospetti e i loro contrasti ideologici, e avessero unito le forze nella lotta contro gli aggressori, i paesi dell’Asse avrebbero potuto essere fermati. L’ultima opportunità di impedire quel fatale smottamento verso la guerra mondiale è andata persa nella primaveraestate del 1939 quando i partecipanti ai negoziati trilaterali a Mosca non riuscirono di nuovo a trovare un accordo. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, quando le minacce hanno assunto portata e dimensione completamente diversi rispetto alla metà del secolo scorso, dobbiamo essere consci che una politica amorale presto o tardi si rivolta contro i suoi stessi autori. Il gioco solitario secondo il principio «ognuno per sé» produce una situazione in cui «ognuno» rischia di ritrovarsi in una solitudine inerme di fronte a una minaccia inevitabile. Al grande male è necessario contrapporsi in tempo e con l’impegno di tutti. Molto si è detto e scritto della lezione dei fatti di Monaco, ma purtroppo la lezione non è stata compresa nella maniera dovuta, altrimenti le pluriennali e caparbie proposte della Russia sulla creazione di un’architettura moderna della sicurezza in Europa sarebbero già state oggetto di negoziati seri e della ricerca di soluzioni reciprocamente accettabili.
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