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La Stampa Rassegna Stampa
19.01.2019 Proviamo a pensare se fosse avvenuto in Israele invece che a Gaza
Paolo Matrolilli intervista l'inviato Onu, ma le domande non sono quelle che dovrebbe fare un giornalista

Testata: La Stampa
Data: 19 gennaio 2019
Pagina: 14
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Oltre un giorno di trattative con Hamas per aiutare i tre carabinieri assediati a Gaza»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/01/2019 con il titolo "Oltre un giorno di trattative con Hamas per aiutare i tre carabinieri assediati a Gaza! l'intervista di Paolo Mastrolilli a Nickolay Mladenov, la cui funzione è " inviato speciale Onu per il processo di pace"

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Nickolay Mladenov

La funzione dell'Onu continua a riempirci di sdegno. Invece di mettere sul banco degli accusati Hamas per aver tentato di uccidere i nostri tre carabinieri, vanta addirittura il merito di aver risolto il "caso".  Se questo 'caso' fosse avvenuto in Israele, la risposta Onu sarebbe stata ben diversa, ma l'atto criminale è avvenuto a Gaza, quindi trattamento di riguardo per il movimento terrorista è d'obbligo.
Le domande di Mastrolilli sono troppo accondiscendenti, caute, ben altro andava chiesto all'inviato dell'Onu, troppo spesso si confonde la professione del giornalista con quella del diplomatico, con il risultato che al lettore si nasconde la verità di quanto accade

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Paolo Mastrolilli

"Sono felice per la soluzione positiva del caso dei tre carabinieri, che ha avuto momenti tesi, però Gaza resta sull’orlo della guerra e serve l’aiuto dell’Italia per evitarla". L’ex ministro bulgaro Nickolay Mladenov, inviato speciale dell’Onu per il Processo di Pace in Medio Oriente, ha facilitato la liberazione dei tre militari italiani, che lunedì si erano rifugiati negli uffici dell’Unrwa.
Cosa è successo?
«I carabinieri si sono trovati in una situazione difficile e sono venuti da noi. Abbiamo chiarito cosa era accaduto con le autorità de facto a Gaza e il Consolato italiano a Gerusalemme. Devo ammettere che ad un certo punto la situazione è stata abbastanza tesa, perché la gente a Gaza è tesa, a causa delle circostanze in cui vive, ma sono felice della soluzione positiva».
Perché i carabinieri non si erano fermati al check point di Hamas?
«Sono dettagli che dovete discutere con le autorità italiane. Il nostro ruolo è stato chiarire il malinteso».
Ma è vero che il vostro ufficio è stato assediato?
«Sono stati nel nostro compound, mentre facevamo da collegamento con i vari attori che dovevano essere consultati. Ciò ha richiesto oltre un giorno, per chiarire la situazione». Erano in missione per preparare la visita del console?
«Sono responsabili per la sicurezza del Consolato italiano, non c’era nulla di illegale nel lavoro che stavano facendo».
Hamas pensava che fossero agenti israeliani?
«La situazione a Gaza è molto tesa. In estate abbiamo rischiato la guerra tra Israele e Hamas. Ciò rende tutti sospettosi».
Il pericolo di una guerra esiste ancora?
«In estate siamo arrivati molto vicini ad un conflitto, e abbiamo lavorato con l’Egitto per evitarlo. Se ci fosse la guerra ora sarebbe devastante per la gente di Gaza, e gli israeliani oltre il confine, ma avrebbe anche conseguenze regionali. Non credo che qualcuno possa volerla. A luglio e agosto, ma anche dopo, ci sono stati incidenti che hanno spinto entrambe le parti sull’orlo del conflitto. Sono contento che l’escalation sia stata evitata, ma i rischi restano alti, perché fattori umanitari, di sicurezza e politici minano la stabilità. Anche oggi duemila persone stanno protestando, il rischio di un incidente è molto alto».
Lei ha proposto un piano basato su aiuti umanitari, sicurezza e dialogo. A che punto è l’applicazione?
«Alla fine dell’anno scorso abbiamo varato un piano, sostenuto dalla comunità internazionale, che prevede lo stanziamento di 210 milioni di dollari in 6 mesi per stabilizzare Gaza. Alcune parti hanno già avuto successo. La più visibile è l’aumento dell’energia elettrica, passata da 3 a 10 ore al giorno, grazie ai fondi del Qatar. Ora con i nostri partner vogliamo concentrarci sulla creazione del lavoro, e programmi per sostenere il settore sanitario ed energetico. È parte di un approccio più ampio per stabilizzare la situazione, e consentire negoziati che permettano al governo legittimo palestinese di tornare a Gaza e avere la riconciliazione interna. È l’unica soluzione». Come può aiutarvi l’Italia?
«Unendosi agli sforzi per sostenere il pacchetto umanitario. La priorità è la sanità, ma soprattutto il lavoro».
Come giudica le anticipazioni uscite sul piano di pace americano?
«Spero che se gli Usa presenteranno la loro proposta, sarà in linea col consenso internazionale sulla soluzione dei due Stati. La nostra sfida intanto è fare in modo che la situazione sul terreno non peggiori, creando lo spazio politico per il dialogo».

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