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La Stampa Rassegna Stampa
18.01.2019 Errori e voci di corridoio nel pezzo di Giordano Stabile su Gerusalemme e il 'piano Usa per la pace'
Che dà credibilità alle dichiarazioni inattendibili di Barak Ravid

Testata: La Stampa
Data: 18 gennaio 2019
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «'Gerusalemme divisa ma la sovranità a Israele'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2019, a pag. 10, con il titolo 'Gerusalemme divisa ma la sovranità a Israele' il commento di Giordano Stabile.

Le elezioni in Israele si svolgeranno il 9 aprile, e non il 9 marzo come indicato erroneamente da Giordano Stabile. Tutto il pezzo si fonda sulle dichiarazioni del giornalista di Haaretz Barak Ravid, che ha l'obiettivo di togliere voti da destra a Benjamin Netanyahu, che viene dato nettamente favorito dai sondaggi. Gli Usa hanno giustamente smentito le dichiarazioni di Ravid, che ancora una volta si è dimostrato inattendibile e fazioso: Consigliamo a Giordano Stabile la massima attenzione quando cita Haaretz, il quotidiano arabo in lingua ebraica, dietro a una notizia c'è sempre una ideologia a guidarla.

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

La rivelazione bomba è stata lanciata da un decano del giornalismo politico israeliano, Barak Ravid, sulla tv Reshet 13. Un «leak» ottenuto da un «funzionario della Casa Bianca» con i dettagli dell’atteso piano di pace americano per il Medio Oriente. Le speculazioni si sono succedute in questi due anni a ritmo serrato, assieme a tweet sibillini di Donald Trump, come quello sul fatto che Israele, dopo aver ottenuto il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, dovesse fare «concessioni importanti» ai palestinesi.

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Barak Ravid


I dettagli emersi in parte confermano. Il piano prevede «un massiccio allargamento» delle zone «A» e «B» della Cisgiordania, quelle sotto controllo parziale o totale dei palestinesi, e questo dovrebbe portate alla nascita di uno Stato palestinese «sul 90 per cento della Cisgiordania». Israele conserverà gli insediamenti costruiti lungo la frontiera del 1967 ma dovrà evacuare o «congelare» quelli all’interno. In cambio otterrà la sovranità sulla Città vecchia di Gerusalemme e sulla Spianata delle moschee, che però sarà gestita in accordo con la Giordania e forse «altri Stati arabi». La capitale della Palestina si stenderà sulla «maggior parte dei sobborghi arabi» della Città Santa.

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Jason Greenblatt con Donald Trump


Tutti scontenti
È un piano destinato a scontentare tutti. Nel 2000 Arafat, per esempio, aveva rifiutato l’offerta del 97 per cento della Cisgiordania. E per la stragrande maggioranza dei partiti politici israeliani Gerusalemme «capitale unica e indivisibile» è un dogma intoccabile. Lo stesso funzionario della Casa Bianca avrebbe ammesso che secondo il team di negoziatori della Casa Bianca il piano è destinato «a essere rigettato dei palestinesi». Ma gli americani avrebbero invitato i dirigenti israeliani ad accettarlo, come segno di «buona volontà a impegnarsi nella trattative».

La Casa Bianca ha liquidato il leak come «speculazioni». Uno dei tre negoziatori, l’inviato della Casa Bianca Jason Greenblatt, ha aggiunto che «anche se rispetto Barak Ravid, questo servizio non è preciso, le speculazioni sul contenuto del piano non aiutano, pochissime persone sul nostro Pianeta sanno che cosa c’è dentro, per ora».

Le reazioni israeliane
Le reazioni dei politici israeliani sono state più prudenti, anche se i partiti della destra religiosa hanno messo in chiaro che «non accetteranno di negoziare la divisione di Gerusalemme». Ma una chiave di lettura è stata data dall’ex ambasciatore a Washington Dan Shapiro che ha parlato di ballon d’essai, indiscrezioni lasciate trapelare per tastare il terreno.
«È certo che nessun piano di pace verrà presentato prima delle elezioni e la formazione di un nuovo governo israeliano - ha spiegato -. Ma la presentazione di una proposta articolata può servire a tenere in vita l’ipotesi dei due Stati, in vista dell’emergere di nuove leadership», sia in Israele che fra i palestinesi. Una modo per non far precipitare la situazione da qui al 9 marzo, quando sono previste le elezioni israeliane.

Ieri, con la candidatura ufficiale dell’ex capo della Forze armate Benny Gantz, il fronte centrista ha per la prima volta visto la possibilità di battere Netanyahu, anche se resta una impresa difficilissima. E un generale d’acciaio, come a suo tempo Yitzhak Rabin, potrebbe essere propenso alle «grandi concessioni» necessarie per lo storico compromesso.

 

 

 

 

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